Cerca nel Portale

1593 results:
1061. E fuori dalla bolla cosa c’è? Viaggio oltre Netflix  
06 Maggio 2020 di Valentina Re Le prime anticipazioni dei risultati dell’ottavo Rapporto di Ricerca dell’Osservatorio Generazione Proteo, realizzato in piena emergenza Covid-19, parlano chiaro: tanti, tantissimi ragazzi hanno scelto di trascorrere molto del loro tempo libero in quarantena guardando film e serie tv. Sono il 27,6%, più del triplo di quelli che l’hanno trascorso sui social (9,1%) e quasi il triplo di quanti hanno l’hanno trascorso con i videogame (10%). Seppur il dato di per sé non ci dica dove i ragazzi li guardino, film e serie tv, la risposta alla domanda “Cosa preferisci tra Netflix e Amazon Prime Video?” è a dir poco eloquente, se consideriamo che addirittura l’81,1%, stando alle prime anticipazioni, esprime una preferenza per Netflix e solo il 12,3% dichiara di non usare nessuna delle due piattaforme globali di streaming. Già, lo streaming: perché la “cultura on-demand” perfettamente rappresentata da un gigante come Netflix, e che al Dams della Link Campus studiamo nel corso di “Digital media and Internet entertainment”, sembra corrispondere in pieno alle esigenze della quarantena. Netflix ci appare come un’autentica miniera di contenuti sempre nuovi da scoprire, un “serbatoio” potenzialmente infinito per alimentare il nostro bisogno di storie e di intrattenimento; un ricchissimo catalogo che ci permette di scegliere sempre che cosa guardare, quando guardarlo, senza dover sottostare a vincoli esterni alle nostre esigenze, e dove guardarlo – in famiglia se lo desideriamo, ma anche nel privato del nostro smartphone se lo preferiamo. Va detto però che i ragazzi non sembrano trascorrere online la totalità del loro tempo, e anzi i dati preliminari forniti dall’Osservatorio Generazione Proteo ci restituiscono uno scenario mediale e una “dieta mediale” più articolati e più complessi, in cui ciascun medium sembra in qualche modo fare quello che gli riesce meglio. Così, i ragazzi non disdegnano affatto di affidarsi alla cara e vecchia televisione lineare quando si tratta di informarsi (52,8%), ma si rivolgono naturalmente ai social per continuare a coltivare quella socialità che il distanziamento ha modificato, ma non certo annullato (il 35,7% dichiara che i social permettono di sentirsi meno soli). E i social tornano in qualche modo protagonisti quando si tratta di capire meglio quali sono le ragioni di una preferenza così marcata per Netflix. Se infatti per una netta maggioranza (58,4%) è l’opportunità economica (l’inclusione nell’abbonamento per le spedizioni Prime di Amazon) a motivare l’uso di Prime Video, la preferenza per Netflix è nettamente motivata dalla popolarità dei suoi contenuti: il 57,4%, infatti, dichiara di guardare Netflix perché “ci sono serie tv e film di cui si parla molto”. E dov’è che, principalmente, se ne parla? Ma sui social, naturalmente. Su questo “parlare molto dei contenuti Netflix” possiamo fare almeno due osservazioni. La prima: la cultura on-demand non è tutto. Anche nell’epoca della scelta, nell’epoca in cui possiamo vedere quello che vogliamo quando lo vogliamo, permane l’esigenza di continuare a vivere esperienze collettive, sincronizzate, condivise: quando finalmente esce su Netflix La casa di carta, lo vogliamo guardare insieme ad altri, vogliamo commentarlo, vogliamo discuterne, vogliamo sentirci parte di una comunità di gusti e di interessi. La seconda: perché si parla tanto delle serie di Netflix? Perché sono migliori di altre? Forse. Perché sono più originali? Forse. Ma c’è sicuramente una ragione, tra le molte possibili, che non possiamo ignorare: perché Netflix sa fare marketing. Perché, proprio a partire dai social, Netflix detta la sua agenda, stabilisce i “must see” del momento, costruisce i suoi molti pubblici, orienta i trend, e alimenta con grande abilità quello che oggi chiamiamo “audience engagement”, il valore del coinvolgimento. Ma allora, chi decide che cosa guardiamo? Su questo punto, i dati forniti dall’Osservatorio ci restituiscono uno scenario dove prevale una forte percezione di autonomia decisionale, o libertà di scelta. Solo il 2,9% dichiara di essere molto influenzato dai suggerimenti sulla piattaforma, mentre il 27,9% dichiara di non esserlo per nulla – a cui si somma un 43,3% che dichiara di esserlo poco. E tuttavia: abbiamo mai pensato al fatto che la nostra home page è diversa da quella di ogni altro nostro amico? Che gli algoritmi ce la costruiscono e ricostruiscono ogni giorno sulla base di tutte le nostre anche minime interazioni? Che ci sono contenuti che vediamo ripetersi più e più volte, e altri che non appaiono a meno di non andarli a cercare? Che l’intero catalogo di Netflix nessuno di noi lo vedrà mai, perché non possiamo accedervi se non attraverso i filtri che sono stati predisposti? Proprio mentre finisco di scrivere questo articolo, come se l’avessi evocato, Netflix mi manda una mail: “Vuoi guardare Netflix, stasera? Guarda uno dei titoli scelti per te”. E allora vi propongo un gioco: no, non guardiamo Netflix stasera. Proviamo a uscire dalla “bolla” e, per farlo, divertiamoci a usare le stesse strategie di raccomandazione e orientamento che Netflix utilizza per guidarci nel suo catalogo. Eccovi, allora, una serie di titoli da provare su altre piattaforme, consigliati come ve li consiglierebbe Netflix. Buon viaggio fuori dalla bolla! Killing Eve – TIM Vision Sandra Oh, la dott.ssa Cristina Yang di "Grey's Anatomy", è Eve, un’agente dell’MI5 sulle tracce di una killer seducente e spietata. Una caccia appassionante che si trasformerà in ossessione… Generi: Drammi TV di genere crime, thriller TV, serie TV britanniche Caratteristiche: Suspence, tensione crescente, protagoniste femminili forti Perché hai guardato Grey's Anatomy, Orange Is the New Black, Russian Doll The Good Fight – TIM Vision L’atteso spin-off di “The Good Wife” con protagonista Diane Lockhart, avvocatessa dal carattere forte e risoluto, liberale convinta, da sempre schierata in favore delle donne. Generi: Serie TV americane, drammi TV Caratteristiche: Intellettuale, spiritoso, avvincente Perché hai guardato The Good Wife, Suits, Le regole del delitto perfetto Tales of the Loop – Amazon Prime Video Una serie corale visivamente emozionante che racconta la vita quotidiana di una piccola comunità ai bordi del Loop, una macchina straordinaria costruita per esplorare i misteri dell’universo. Generi: Fantascienza TV, thriller TV, drammi TV Caratteristiche: Inquietante, profondo, emozionante Perché hai guardato Black Mirror, Dark, Mad Men Upload – Amazon Prime Video Nel 2033 le persone vicine alla morte possono essere uploadate in “paradisi” virtuali. Il protagonista Nathan ha un incidente e la sua ragazza lo fa uploadare, ma non tutto è come sembra… Generi: Fantascienza TV, thriller TV, gialli e misteri TV Caratteristiche: Spiazzante, avvincente, ingegnoso Perché hai guardato Black Mirror, Altered Carbon, The Good Place The Morning Show – Apple TV+ Alex Levy e Mitch Kessler conducono “The Morning Show”, un popolarissimo programma di notizie. La loro vita e quella di tutta la troupe viene sconvolta quando il giornalista viene accusato di molestie sessuali. Generi: Drammi TV, serie TV americane Caratteristiche: Avvincente, emozionante, intellettuale Perché hai guardato Unbelievable, When They See Us, Friends For All Mankind – Apple TV+ Cosa sarebbe accaduto se il primo uomo a sbarcare sulla Luna non fosse stato un americano, ma un russo? Dall’autore di “Battlestar Galactica”. Generi: Drammi TV, serie TV americane Caratteristiche: Intellettuale, profondo, spiazzante Perché hai guardato Battlestar Galactica, Altered Carbon, The Killing  
1062. I potenziali impatti a medio e lungo termine generati dai rischi di natura nucleare e radiologica sull’ambiente  
18 Maggio 2020 di Stefano Scaini e Claudia Petrosini,(CYRCE - CYBERSECURITY RESEARCH CENTER) da Safety and Security Magazine Benché caratterizzati da aspetti diversi, sia sostanziali che afferenti alla loro stessa natura, i due mondi della Safety e della Security, ai quali ci riferiamo quotidianamente in riferimento alla prevenzione e protezione da eventi di natura rispettivamente colposa e dolosa, sono accomunati tra di loro da aspetti trasversali che li rendono complementari e interdipendenti; ci riferiamo in particolare alle criticità di Health ed Environment, aspetti spesso legati all’impatto (sia diretto che indiretto) generato da incidenti che hanno visto il coinvolgimento di sostanze pericolose di natura chimica, biologica, radiologica e nucleare. L’aspetto di Health, ovvero la salvaguardia della salute delle persone non limitatamente alla permanenza nei luoghi di lavoro, bensì durante l’intero arco di vita, ha assunto col passare del tempo un’importanza sempre maggiore, correlandosi strettamente all’evoluzione dei nostri stili di vita; similmente la componente Environment, rappresentata dalla protezione del sistema Ambiente in tutte le sue dimensioni, rappresenta una delle maggiori criticità evidenziate dalla Comunità scientifica internazionale fin dal secolo scorso, in quanto caratterizzata da svariate vulnerabilità alla luce di attività antropiche sempre più impattanti e, purtroppo, spesso irreversibili. In particolare quando si parla di sicurezza e la si abbina al termine “nucleare”, è immediato immaginare scenari apocalittici e minacce invisibili e pervasive che vanno a colpire dall’ambiente alla salute degli individui, fino a raggiungere il patrimonio genetico, facendo così nascere paure irrazionali spesso alimentate ulteriormente dalle fiction. Le principali minacce nucleari che la storia ricorda fanno prevalentemente riferimento alla possibilità dell’impiego di armamento nucleare da parte delle potenze internazionali, il quale avrebbe potuto portare alla Mutual Assured Destruction, seguite dagli incidenti occorsi all’interno delle centrali negli Stati Uniti d’America (Three Mile Island), nell’ex Unione Sovietica (Chernobyl, Ucraina) e in Giappone (Fukushima); ulteriori minacce sono principalmente associate agli effetti sull’ambiente: tra gli anni ’70 e ’80 furono formulate ipotesi relativamente a uno sconvolgimento climatico causato da esplosioni atomiche denominato “inverno nucleare”, rivelatosi poi scientificamente infondato, nonché condotti studi sul contenimento, la gestione e lo stoccaggio delle scorie nucleari. Tale problematica non è stata, ad oggi, ancora risolta a causa della complessità e della durata dell’emivita dei rifiuti radioattivi, suddivisi nel 2009 da IAEA – International Atomic Energy Agency in ben sei differenti categorie; è all’interno delle pubblicazioni sugli standards della sicurezza nucleare della  IAEA (GSG n.01 – Classification of Radioactive Waste), che è possibile trovare come ufficialmente viene definito e considerato il materiale radioattivo nell’ambiente (Capitolo III, paragrafo 23). i residui radioattivi, depositati nei decenni sulla superficie terrestre a seguito di molteplici attività, includono i residui dei test sulle armi nucleari, gli incidenti negli impianti nucleari e pratiche passate, come ad esempio l’estrazione dell’uranio, le quali erano soggette a un controllo normativo meno rigoroso di quanto previsto e richiesto dalle attuali norme in materia di sicurezza. I rifiuti derivanti da operazioni di bonifica, ad esempio, dovevano essere gestiti come rifiuti radioattivi, attraverso una stabilizzazione in situ o lo smaltimento in apposite strutture dedicate: tali rifiuti, depositatisi sui terreni e nei boschi spesso di zone altamente contaminate, quali ad esempio quelle attorno all’impianto nucleare di Chernobyl, sono frequentemente oggetto non solo di incendi di piccole e medie proporzioni, ma anche di eventi di maggior magnitudo come quello occorso nel 2015, ove circa 400 ettari di bosco sono stati interessati da incendi incontrollati il cui fronte è giunto a soli 20 chilometri dalla centrale nucleare. Ciò ha causato un rilascio ancora maggiore di radioattività, imputabile alla diffusione delle particelle radioattive assorbite dalla vegetazione coinvolta negli incendi e trasportate dal fumo degli stessi; di recente – tra il 4 e il 30 aprile 2020 – un vasto incendio ha parimenti interessato la zona di esclusione, disposta dalle autorità ucraine all’indomani dell’incidente del 26 aprile 1986, la quale si estende per 30 km intorno alla centrale nucleare di Chernobyl e per una superficie complessiva di 3100 km². Nel corso di un test volto a verificare il corretto funzionamento dell’impianto in condizioni degradate, a causa di concomitanti effetti legati alla progettazione della struttura e alla violazione di svariate norme di sicurezza da parte del personale coinvolto nel test, il nocciolo del reattore n. 4 della centrale subì un brusco e incontrollato aumento della potenza e, conseguentemente, della temperatura; ciò determinò la scissione dell’acqua di refrigerazione in idrogeno e ossigeno, causando un innalzamento delle pressioni nelle tubazioni del sistema di raffreddamento del reattore tale da provocarne la rottura. Il contatto dell’idrogeno e della grafite incandescente delle barre di controllo con l’aria, a sua volta, innescò una fortissima esplosione che divelse sia la copertura che l’intera struttura del reattore causando un vasto incendio; una nuvola di materiale radioattivo fuoriuscì dal reattore ricadendo su vaste aree intorno alla centrale, contaminandole pesantemente e rendendo necessaria l’evacuazione e il successivo reinsediamento in altre zone di circa 336.000 persone. Furono così istituite delle aree sottoposte ad esclusione, di controllo permanente, di controllo periodico e a bassa contaminazione, che si estendono per quasi 200.000 Km² dalla zona dell’incidente. L’incendio sprigionatosi il passato 4 aprile sembra aver avuto origine, a detta delle autorità ucraine, da un uomo di 27 anni, residente nel villaggio di Ragivka, che ha ammesso di aver dato fuoco a erba e rifiuti urbani in ben tre punti differenti, non riuscendo però più a controllare i roghi nel momento in cui il vento si era intensificato; la polizia nella regione di Kiev ha altresì identificato un ulteriore uomo, di 37 anni e sempre del luogo, coinvolto in un altro incendio nell’area di Chernobyl nello stesso periodo. L’incendio è stato favorito dalle condizioni meteorologiche, connotate dall’assenza di piogge e forti venti nei dieci giorni successivi, impegnando più di 500 operatori a terra, due aeromobili Antonov An-32p del Servizio di Emergenza dello Stato, due elicotteri Mi-8 e oltre 90 veicoli autobotte; i quattro diversi focolai d’incendio hanno portato il fuoco a raggiungere i confini di Pripyat, distante appena due chilometri dall’impianto di stoccaggio di rifiuti radioattivi di Pidlisnyi, il quale ospita i rifiuti pericolosi di gran lunga più attivi dell’intera zona di Chernobyl. Il 14 aprile le squadre antincendio di Chernobyl hanno riferito che gli incendi attivi in zona erano stati estinti, fortemente assistiti dall’arrivo di provvidenziali piogge; tuttavia, dal pomeriggio di giovedì 16 aprile, forti raffiche di vento hanno ostacolato le operazioni e favorito nuovamente lo spostamento delle fiamme, facendo comparire tre nuovi focolai nella zona di esclusione. Secondo le autorità locali, dal 2 maggio nuovi piccoli incendi si sono estesi nella zona di esclusione di Chernobyl e nei vicini boschi di Kiev e Zhytomyr, ove più di 200 persone sono ancora impegnate a combattere le fiamme; inoltre, al centro dell’incendio nelle giornate tra il 6 ed il 14 aprile, le radiazioni rilevate sono state di circa 16,5 volte superiori ai valori normali, ben 2,3 microsievert rispetto al valore di 0,14. Secondo l’Autorità di sicurezza nucleare ucraina, le concentrazioni di Cesio-137 misurate nella città di Kiev si sono mantenute a livelli molto bassi, quasi sempre inferiori a 1 milliBq/m3 che, se paragonato con il fondo usuale di circa 6 microBq/m3, dimostra il passaggio di aria contaminata sebbene in maniera lieve; tuttavia, nella giornata del 13 aprile in concomitanza con lo spostamento dei fumi dell’incendio su Kiev, sono state le stesse autorità ucraine a consigliare di chiudere le finestre. In Italia, l’ISIN – Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione ha confermato che non sono stati rilevati valori anomali: “Tali concentrazioni, anche nelle ipotesi più cautelative che si possono formulare (ad esempio la persistenza della concentrazione massima per l’intera durata degli incendi e la presenza anche di Stronzio-90, l’altro radioisotopo oltre il Cesio-137 presente nell’ambiente a seguito dell’incidente di Chernobyl), risultano diverse decine di migliaia di volte inferiori al limite di dose previsto per la popolazione, non costituendo pertanto un pericolo per la salute e non rappresentando nulla di rilevanza radiologica”; analogamente si sono espresse le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (Arpa), rassicurando che in Italia non sono stati rilevati valori anomali. L’IRSN – Institut de Radioprotection et de Sûreté Nucléaire francese ha effettuato una simulazione attraverso strumenti di modellizzazione inversa, partendo dal presupposto che le emissioni radioattive medie avvenute tra il 3 e il 12 aprile 2020, continueranno dal 14 al 20 aprile 2020, e modellando la radioattività mossa dagli incendi; secondo lo studio “sarebbero circa 200 gli GBq5 emessi dalle ore 12:00 del 3 aprile 2020 alle ore 12:00 del 13 aprile 2020”. Su questa base, attraverso l’analisi delle condizioni meteorologiche e delle loro previsioni, “le simulazioni IRSN indicano che le masse d’aria dall’area degli incendi, verificatisi il 5 e 6 aprile, sono state in grado di raggiungere la Francia nella serata del 7 aprile 2020”; tuttavia, i livelli di radioattività prevista sono estremamente bassi, inferiori a 1 µBq / m3 nel Cesio-137 (ovvero mille volte inferiori a quelle rilevate nella città di Kiev dall’Autorità di sicurezza nucleare ucraina). I rischi più rilevanti in tale situazione sono quelli relativi alla sicurezza dell’impianto di Chernobyl e al degrado delle sue capacità, in riferimento, ad esempio, all’interruzione di energia elettrica che assicura il funzionamento dell’impianto di contenimento del nucleo e degli strumenti preposti al monitoraggio continuo; tale scenario, analizzato nel 2011 a seguito dell’incidente di Fukushima in Giappone, ha visto coinvolta l’Europa intera nell’effettuazione di stress test dedicati. La maggior sicurezza in questo tipo di incidenti è proprio da ricercare nel continuo aggiornamento alle più recenti lessons learned, attraverso l’effettuazione di stress test e il continuo impiego di reti di monitoraggio per il controllo sia in situ che esteso a territori più ampi; infine, risulta determinante l’uso estensivo di sistemi satellitari, quali ad esempio la rete di monitoraggio FIRMS – Fire Information for Resource Management System della NASA, che distribuisce praticamente in tempo reale mappe sugli incendi attivi ottenute attraverso lo spettro-radiometro per immagini a risoluzione moderata (MODIS) e le immagini radiometriche a infrarossi visibili (VIIRS). Gli studi e gli interventi per assicurare la sicurezza non si sono mai interrotti nella zona di Chernobyl; dalla costruzione del New Safe Confinement, l’arco di acciaio che ricopre il reattore della centrale ultimato nel luglio del 2019, ai più recenti studi condotti nell’aprile dello stesso anno da un team di esperti guidato dall’NCNR – National Center for Nuclear Robotics, un consorzio di otto Atenei (con Birmingham quale capofila) che ha mappato i 15 km2 della Foresta Rossa e dei suoi dintorni attraverso l’impiego di veicoli aerei senza equipaggio (UAV), utilizzando la tecnologia LIDAR per misurare gli spettrometri del paesaggio e dei raggi gamma per i livelli di radiazione. L’uso di questi velivoli ha consentito di raggiungere distanze ridotte dalle fonti radioattive senza esporre i ricercatori alle radiazioni, confermando che il 90% della radioattività nella Foresta Rossa rimane nel suolo; inoltre, in un contesto di politiche per una generale riduzione della radioattività, sono stati identificati “punti caldi” di materiale radioattivo che non compaiono sulle mappe ufficiali e che, in futuro, potrebbero rappresentare ulteriori pericoli per la sicurezza globale qualora non considerati e adeguatamente monitorati.  
1063. V Festival di Limes: Lo stato del mondo  
3 MAGGIO 2018 L’edizione 2018 del Festival di Limes si terrà dal 4 al 6 maggio a Genova, nella splendida cornice del Palazzo Ducale. Il Festival quest’anno ha come tema “Lo stato del mondo”: una ricognizione dei principali temi geopolitici all’ordine del giorno, la cui evoluzione ha subìto negli ultimi anni una notevole accelerazione. Lo Stato del mondo è anche il titolo del nuovo numero di Limes, che uscirà il 3 maggio e verrà ampiamente discusso durante il Festival. Il 4 maggio 2018 è previsto l'intervento del prof. Schiavazzi, docente di Geopolitica vaticana su Francesco e lo stato della Chiesa. Per info visita il sito di LIMES Tavola rotonda “Francesco e lo stato della Chiesa” con Piero Schiavazzi (relatore e moderatore), Lucio Caracciolo, Massimo Franco, Padre Antonio Spadaro, Direttore di Civiltà Cattolica, e Mons. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna.  
1064. Cosa non dimentico di Giovanni Falcone. Il ricordo di Vincenzo Scotti  
25 Maggio 2020 da Formiche.net In occasione del 28esimo anniversario della strage di Capaci, Scotti ripercorre gli ultimi sedici mesi trascorsi insieme a Falcone che cambiarono il suo approccio e la sua partecipazione alla politica, alla società e alla stessa religione cattolica Erano passate più di dodici ore dalla strage di Capaci e i corpi di Giovanni Falcone, della moglie e degli agenti di scorta entravano nel Palazzo di Giustizia. Ero con Claudio Martelli e Gerardo Chiaromonte. Eravamo arrivati in una Palermo avvolta da una cappa di afa e con un silenzio insolito, interrotto solo dalle sirene delle forze dell’ordine. Erano ormai ore che l’Italia si era fermata: incredula, smarrita, indignata. Dinanzi alla bara di Falcone continuavo a pensare alle ore che avevamo trascorso insieme, durante gli ultimi sedici mesi, per attuare una strategia di guerra contro la mafia. L’avevamo concepita con Claudio Martelli e i vertici delle forze dell’ordine. Qualche mese prima di incontrarlo a Roma, avevo partecipato con lui a una tavola rotonda sui processi alla mafia. Eravamo seduti vicino e più volte il discorso tornava alla mafia non come normale criminalità ma come forza capace di riconfigurare gli Stati. Non pensavo assolutamente che un giorno sarei diventato ministro dell’Interno: mi interessava però studiare la mafia come forza anti-sistema. In quegli anni la Suprema Corte di Cassazione si era espressa per l’inesistenza del fenomeno: al massimo si poteva pensare a una mafia antica e rurale, ritenuta buona, in grado di assicurare la conservazione di un equilibrio sociale della povertà, garantito da regole spietate e gestite dal potere di una cupola che esercitava un potere benevolo e giusto, anche se violento. La connivenza mafia-istituzioni trovava conferma documentata nella relazione del presidente della Commissione antimafia, il genovese Francesco Cattanei, che, parlando della mafia come fenomeno ben esteso rispetto ai suoi confini storici, presentò un complesso di elementi rappresentativi “dell’esistenza di una effettiva convivenza, oltre che connivenza, con la mafia non solo di ampie aree della società ma delle stesse Istituzioni pubbliche, comprensive della magistratura, dei partiti e degli enti locali. le ripetute assoluzioni confermano – indipendentemente da ogni altra valutazione dell’opera della magistratura – l’impressione di una permanente impunità per i grossi mafiosi, attraverso un meccanismo che sfuggiva al controllo della legge”. L’alba cominciava a illuminare le bare e io continuavo a sentire forte la presenza di Falcone in quei sedici mesi che cambiarono il mio approccio e la mia partecipazione alla politica, alla società e alla stessa religione cattolica. Mentre ci incontravamo per la prima volta al ministero, usciva nelle librerie il suo saggio scritto con Marcelle Padovani, che tracciava una strada da percorrere partendo dalla scelta della guerra contro la pax mafiosa. Lessi più volte il saggio: volevo capire cosa fare. Falcone aveva concluso il grande sforzo del maxi-processo remando contro il mondo della giurisdizione, dell’avvocatura. E della politica. Era consapevole che senza smettere di far ricorso a leggi speciali ed emergenziali non avremmo messo la guerra alla mafia su istituzioni adeguate e permanenti che non lasciassero nell’incertezza dell’emergenza quello che lui aveva fatto con il maxi-processo. Falcone aveva lanciato un messaggio e così riassumeva la zona grigia della convivenza tra istituzioni e mafia: “La classe dirigente, consapevole dei problemi e delle difficoltà di ogni genere connessi a un attacco frontale alla mafia, senza peraltro nessuna garanzia di successo immediato, ha compreso che, a breve, aveva tutto da perdere e poco da guadagnare nell’impegnarsi sul terreno dello scontro. Ed ha preteso di fronteggiare un fenomeno di tale gravità con i pannicelli caldi, senza una mobilitazione generale, consapevole, duratura e costante di tutto l’apparato repressivo e senza il sostegno della società civile. I politici si sono preoccupati di votare leggi di emergenza e di creare Istituzioni speciali che, sulla carta, avrebbero dovuto imprimere slancio alla lotta antimafia, ma che, in pratica, si sono risolte in una delega delle responsabilità proprie del governo a una struttura dotata di mezzi inadeguati e privi di poteri di coordinare l’azione anticrimine, il famoso commissario contro la mafia, creato sull’onda dell’emozione suscitata dall’assassinio del generale Dalla Chiesa, ne è l’esempio evidente. Senza fare attenzione a quello che accadeva intorno a noi quella notte, compresi i fischi dei magistrati contro il ministero Martelli ed evidentemente anche contro di me, mi ricordai di una cena nello scantinato di una buona e modesta trattoria, Mario in via della Vite a Roma, quando tracciammo una strategia politico-legislativa che andava dalla nascita della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia, una intelligence sulla criminalità, alla prima legge sui collaboratori di giustizia, alle legge sul riciclaggio (quando non ne esisteva alcuna), alla legislazione sulle infiltrazioni mafiose nelle istituzione (scioglimento di consigli comunali) e al Decreto legge dell’8 giugno dopo la strage di Capaci e prima di quella di via D’Amelio. Tutti questi provvedimenti furono adottati dal governo ma trovarono la più feroce ostilità che costrinse a dover cambiare alcune innovazioni significative che decidemmo, fin quando Falcone fu vivo, di tentare di introdurre. Lo scontro maggiore avvenne con il Decreto Legge dell’8 giugno 1992 quando io ero stato già allontanato dal ministero dell’Interno. A conclusione di quella cena la cosa più importante fu di proporre al Parlamento, ai partiti politici e alle forze sociali di dichiarare guerra alla mafia e di chiamare tutti ad una mobilitazione. Da una parte proponemmo alle istituzioni (a partire dal presidente Cossiga e dai presidenti delle Camere) di realizzare annualmente un incontro sulla legalità; al primo, anche l’ultimo, intervenne il papa Giovanni Paolo II e fu presente Falcone. In quell’alba e nel viaggio di ritorno a Roma fui preso da una grande angoscia ricordando gli attacchi e gli improperi ricevuti in Parlamento quando avevamo dichiarato – con il Capo della Polizia – lo stato di emergenza, accusandomi di protagonismo inutile e di superficialità perché avevo annunciato la fase stragista che avrebbe, per primo, colpito proprio Falcone. Dopo l’uccisione di Lima, alla commissione antimafia, eravamo lontani dalla strage di Capaci, avevo detto che eravamo di fronte ad una guerra lunga e difficile ma rispetto alla quale non erano “possibili scelte alternative, a meno che non ci si volesse accontentare di un clima di tranquillità e di normalità, quello cioè che la pax mafiosa rendeva possibile, con l’acquiescenza degli organi dello Stato… Se la democrazia italiana vuole salvarsi da un condizionamento crescente della criminalità, allora dobbiamo essere pronti ad affrontare un calvario doloroso, segnato anche da fatti estremamente preoccupanti”. E conclusi: “La pericolosità è diventata quindi maggiore nel momento che la criminalità organizzata, vista l’impossibilità di avvalersi dei metodi tradizionali, ricorre alle tecniche terroristiche come avviene sempre più di frequente”. L’aereo quella mattina atterrò a Roma Ciampino ma non eravamo riusciti a parlare tra noi, con Chiaromonte e Martelli; ed io avevo continuato a pensare alla seduta delle commissioni riunite di Camera e Senato, quando avevo dichiarato lo stato di allerta. Il Presidente della Commissione al Senato mi aveva invitato a chiedere scusa al Paese per aver dato un falso allarme (una patacca) nel pieno di una campagna elettorale. Arrivando al Viminale mi riunii con i miei più stretti collaboratori e continuammo a chiederci se la strada della guerra e dei provvedimenti (non ultimo il riportare in carcere tutti i condannati all’ergastolo rimessi in libertà per decorrenza dei termini dimostrando che lo Stato era più forte della mafia) fosse quella giusta o se, invece, una pax mafiosa avrebbe potuto portare a migliori risultati. La nostra posizione era ferma, soprattutto in vista della formazione del nuovo governo. Il giornalista D’Avanzo scrisse: “Il ministro ha confessato: sono convinto, e lo vado ripetendo da mesi, che il calvario non è finito, che la mafia colpirà più in alto, tanto più in alto quanto più efficace diventerà l’azione dello Stato”. E d’Avanzo commenta: “La strana coppia, Scotti-Martelli, ha trovato una sintonia a ideare, promuovere e organizzare una politica antimafia che ha rotto con la vecchia tradizione governativa delle leggi dell’emergenza, degli organismi eccezionali, dell’inasprimento puro e semplice delle pene… La strana coppia si è avvalsa dell’esperienza dei consigli di Giovanni Falcone!”. Io direi oggi una stagione straordinaria, che tuttavia fu piena di ostacoli e di amarezze. Una cosa non posso dimenticare. Dopo l’istituzione della Procura nazionale Antimafia si doveva nominare il primo procuratore; mi permisi allora di scrivere una lettera al Consiglio Superiore della Magistratura per sottolineare l’importanza della scelta, specie dopo alcune mutilazioni del testo legislativo e, per questo, nella mia responsabilità di ministro dell’Interno suggerii il nome di Giovanni Falcone. Dopo pochi giorni la commissione votò contro Falcone e durante una cena con Falcone e i membri eletti dal Parlamento su indicazione del gruppo Democratico-Cristiano avemmo la certezza che solo uno di questi membri aveva deciso di votare per Falcone. Uscimmo da quell’albergo e vidi sul volto di Falcone una terribile amarezza perché al gruppo degli eletti dal Parlamento – contrari alla nomina di Falcone – su indicazione del Pds si aggiungeva quello della Dc. Falcone, successivamente, dovette anche difendersi di fronte al Consiglio Superiore della Magistratura dall’accusa di tenere nel cassetto dossier riguardanti collusioni di mafia! Dopo il maxi-processo l’unico momento di soddisfazione fu quando con Martelli riuscimmo a far approvare un Decreto Legge per far tornare in carcere i condannati all’ergastolo ed evitare a Falcone un colpo duro da parte della Mafia. Il 28 giugno del 1992 sentii alla televisione che non ero più ministro dell’Interno e nessuno sapeva se era vero e perché. Oggi, 23 maggio, mi sento di suggerire al procuratore Nazionale Antimafia di sviluppare un progetto di ricerca sulla legislazione di quei due anni e sulla sua applicazione, coinvolgendo le migliori intelligenze dei giuristi italiani e anche di studiosi di altre discipline per affrontare non solo le questioni allora lasciate aperte ma anche le nuove questioni esplose con l’era digitale e nel mondo globale. Il pericolo principale, oggi, non è forse più rappresentato dalle stragi ma dalla riconfigurazione degli Stati da parte della criminalità organizzata ora anche transnazionale.  
1065. Giornata mondiale senza tabacco  
01 Giugno 2020 Crotone. L’emergenza coronavirus non ferma il progettodi ricerca scientifica della Lega tumori denominato “Lilt smoking free school”. Il 31 maggio, Giornata mondiale senza tabacco, gli studenti dell’Istituto Nautico Mario Ciliberto di Crotone, dell’Iti Panella di Reggio Calabria e del Liceo Artistico Russoli, sedi di Cascina e Pisa, hanno messo su una campagna di sensibilizzazione, con un video, che girerà su media e social, che è il risultato della sinergia tra le tre istituzioni scolastiche, e che vuole ricordare a tutti l’importanza della lotta al tabagismo. Il fumo rappresenta ad oggi, nel mondo, la causa principale del cancro al polmone, con circa 7 milioni di decessi all’anno nel mondo. Il progetto Lilt smoking free school, finanziato dal bando 5 X 1000 della Lilt nazionale, ideato dalla sezione provinciale di Crotone, capofila, in partnership con le sezioni Lilt di Reggio Calabria e Pisa, in collaborazione con Link Campus University, ha preso il via lo scorso settembre, nei tre istituti individuati. La sua durata è biennale e  quello appena concluso è il primo step. Il progetto promuove percorsi di comunicazione, informazione, peer Education e disassuefazione, tutti finalizzati a contrastare il tabagismo nel microcosmo scolastico. Gli studenti, nel corso dell’anno, hanno frequentato incontri con esperti (pneumologi, oncologici, nutrizionisti ecc) sui danni che il fumo causa, hanno partecipato a incontri di Fitwalking, la camminata veloce inventata dai gemelli olimpionici Maurizio e Giorgio Damilano, e, in contemporanea, hanno frequentato dei laboratori artistici, per mettere in piedi la campagna- evento in occasione del 31 maggio, Giornata mondiale senza tabacco. L’evento avrebbe dovuto svolgersi a scuola,a causa dell’emergenza coronavirus, sarà mediatico. In ogni istituto, inoltre,per tutto l’anno, un gruppo simbolo di adulti della comunità scolastica (docenti o ATA) ha costituito un modello e uno sprone per i ragazzi, frequentando un percorso di disassuefazione, tenuto da psicologi e allenatori di Fitwalking. Il video, intitolato “L’ultimo pacchetto” realizzato per il 31 maggio è la somma delle esperienze artistiche maturate dagli studenti dei tre territori coinvolti. Si tratta di un monologo recitato dall’attrice crotonese Antonia Gualtieri dell’Accademia Kroma, che ha seguito gli studenti crotonesi insieme a Marco Pupa. Il testo originale è stato scritto dalla reggina Katia Colica, scrittrice e giornalista. “il testo - ha spiegato Colica, che ha lavorato con i gli studenti di Reggio Calabria- è scaturito dall'incontro con i ragazzi. Soprattutto alcuni di loro si sono messi in gioco raccontando quanto il fumo in famiglia, unito alla comunicazione distorta dei media, abbiano contribuito a far nascere in loro l'idea del "fumatore come persona migliore". Quando abbiamo cercato di approfondire qual era la caratteristica dei fumatori che a loro piaceva di meno, più del pericolo di vita o del rischio malattie si è fatta spazio quella connessa al cattivo odore addosso. Così è nato questo piccolo monologo, reso possibile esclusivamente dalla sensibilità dei ragazzi che, anche se spesso volutamente celata e ben protetta, è emersa dai loro preziosi ricordi, spesso dolorosi, che hanno ritenuto di regalarmi”. La grafica invece è stata elaborata dagli studenti di Pisa.    
1066. The Constitutional Reform in Cuba A Few Introductory Remarks  
04 Giugno 2020 This is an edited translation of the introduction to “Constitution and Private Law. A Reform for Cuba”. Edited by Andrea Barenghi, L.B. Pérez Gallardo, and Massimo Proto, Costituzione e diritto privato. Una riforma per Cuba. (2019). Italy: Editoriale Scientifica. By https://horizontecubano.law.columbia.edu/ On the sixtieth anniversary of the Revolution (1959), a new Constitution was promulgated in Cuba on April 10, 2019, the first important act of the new presidency of the Republic. Although the Constitution introduces limited institutional political changes - it continues the single-party political system and does not contemplate constitutional interpretation by the courts - it opens a path towards economic modernization and introduces a very modern catalogue of civil rights. According to the new Constitution, the Cuban Republic is a socialist state committed to the rule of law.  The Constitution identifies several key characteristics: social justice, the centrality of the working class (work revenues must constitute the 'main' source of income, although not the only one), humanism, dignity, equity, equality, and solidarity. The Constitution emphasizes the centrality of human dignity and describes ways in which the individual is to be legally protected. It identifies humanism as the pivotal value of society and specifies in modern terms the need for social, economic, and technological development and, in particular, the right of future generations to a healthy environment. To these rights, the new charter introduces the concepts of the "prosperity" of individuals and society and gives that equal status with the objective of "individual well-being".  In short, the Constitution now expresses an aim to provide the individuals and the collective “bienestar” (well-being) while guaranteeing the individual and collective “prosperidad” (prosperity). This new perspective - giving equal emphasis to obtainment of prosperity along with equality, solidarity, and equity - is a significant development.  It is the foundation of this new "economic constitution" that now contemplates a system based on an economic plan with an acknowledged role for an open market. This new Constitution recognizes a variety of forms of property: Property held by the State (“for all the people") continues to be the principal form of property. Private property is no longer limited to "personal" property, as has usually been the case in socialist systems. Land and the means of production (except those that are strategic or of national interest) may be owned or managed by private individuals, cooperatives, and foreign institutions whose investments in the country are now explicitly guaranteed by the Constitution. The State enterprise, therefore, is no longer the exclusive actor in the national economy; it is exclusive only in the management of essential social and public functions.  This reflects a move towards a mixed economic regime, in which co-exist State economic activities, joint ventures with foreign investors, and private enterprises of a much larger scale than the domestic micro-enterprises the Cuban government has typically tolerated in the past. The adoption of the new constitutional charter also serves as a concrete force for political and juridical transformation.  The Constitution calls on Cuban society to revise prior relationships to implement the new goals.  Moreover, it empowers the legislature to adopt legislation defining and implementing the new constitutional concepts. Accomplishing such an ambitious program of reform can only be achieved through the hard and detailed work of reviewing and revising existing legislation and adopting new legal norms to create the new legal order.  All of which could lead to a decisive, even if as yet unrealized, innovation of the Cuban economic and political system. Andrea Barenghi is a full Professor of Civil Law at the University of Molise, JSD at the University 'La Sapienza'.  He has been a visiting scholar and visiting professor at leading academic institutions abroad (including Panthéon-Assas, Heidelberg, Harvard, Havana and BSB-Dijon.  Professor Barenghi is an honorary member of the Cuban Society of Civil and Family Law.  He serves on the Advisory Board of the Italian Hub of the European Law Institute.  Professor Barenghi is author or editor of several books and numerous articles as well as a handbook on Consumer Law (Cedam-WKI, 2017). Massimo Proto if a full Professor of Private Law at the Link Campus University in Rome, Italy.  Professor Proto has been a visiting research scholar and lecturer at the Pontifícia Universidade Católica do Rio Grande do Sul, Brazil, Universidad Complutense de Madrid, Spain, and the Universidad de la Habana, Cuba.  He serves as a member of the ABF (Bank of Italy’s alternative dispute resolution committee for banking and financial disputes.  Professor Proto is author of two monographs and many articles on current issues of private law, primarily contract law and human rights.  
1067. L'industria europea della difesa: situazione e prospettive  
3 MAGGIO 2018 VENERDÌ, 04 MAGGIO, ore 17.15 Link Campus University - Antica Biblioteca Via del Casale di San Pio V, 44 - Roma Lectio Magistralis Ing. Giuseppe Giordo Aero Vodochody Aerospace Industry - President & CEO Confederation of the Czech Aviation Industry - President Saudi Arabian Military Industries - Board Member INTRODUZIONE Prof. Vincenzo Scotti Presidente Link Campus University Scarica la locandina Per informazioni: segreteriamaster@unilink.it  
1068. Il bivio dell’Europa  
09 Giugno 2020 di Marco Emanuele da Formiche.net Di fronte al COVID-19, pandemia planetaria, l’Europa è a un bivio. Ne scrivono diversi autori, coordinati dall’economista Luigi Paganetto, nel volume “Europa e sfide globali. La svolta del Green Deal e del digitale” edito da Eurilink University Press (marzo 2020). Gli sguardi proposti nel libro sono diversificati e tutti assai utili a comprendere le sfide in atto per il “vecchio” Continente. Non basta questa breve riflessione per esaurire la complessità degli apporti. Immersi in una crisi sanitaria ma anche, come si vede ogni giorno di più, sociale ed economica, tornano al centro alcune parole-chiave che occorre ripensare con capacità di mediazione tra gli interessi in campo e di visione politica in un realismo necessario: ricerca, innovazione, solidarismo, responsabilità collettiva, investimenti pubblici, infrastrutture materiali e immateriali, politiche macro-economiche e fiscali, resilienza agli shock. COVID-19 è rivelatore di evidenti difficoltà strutturali dell’Europa. Il libro pone questioni di grande attualità e urgenza. Pur se le iniziative europee si sono moltiplicate dalla sua uscita a oggi, il libro è uno strumento adatto alla comprensione del “realisticamente possibile” e guarda dentro a dinamiche con le quali occorre confrontarsi ogni giorno. Ciò che conta è l’apertura di scenari di approfondimento che riguardano INVESTEU e la sfida della produttività e dell’innovazione (Luigi Paganetto), l’Europa come player nel nuovo contesto economico globale (Paolo Guerrieri), la coerenza della politica economica europea (Giandomenico Magliano), l’eccesso di risparmio in Europa (Rainer Masera), la politica industriale (Riccardo Perissich), l’European Green Deal in funzione del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 (Claudio De Vincenti), le politiche commerciali dell’Unione Europea (Beniamino Quintieri), la dimensione geopolitica e di sicurezza dell’Unione Europea (Maurizio Melani), il caso italiano (visto attraverso la demografia, la bassa occupazione e l’immigrazione) e le sue implicazioni per le politiche europee (Luigi Bonatti). C’è molta materia, a ben guardare, per ragionare di strategie europee. Dal nostro sguardo, di chi crede nell’Europa e nel bisogno della sua esistenza nell’attuale quadro geopolitico, poniamo un ulteriore tema che, auspicabilmente, potrà continuare il lavoro “in progress” del quale questo libro costituisce una tappa importante: il cammino verso leadership, classi dirigenti, in grado di ricomporre politicamente le varie Europe o, se si preferisce, le diverse anime europee. Non viviamo di nostalgie ma c’è stata una stagione, che tutti conosciamo, nella quale la politica aveva un ruolo chiaro, di dialogo all’interno e di proiezione esterna, dove si praticava il “giusto” rapporto tra mezzi e fini. Era un altro mondo, certamente: ma quella lezione può valere ancora oggi. Pensiamo che un modo per ritrovare un’Europa davvero politica possa essere di “specchiarsi” nelle sfide globali: dove vanno, se non alla deriva, i singoli Stati nazionali ? La politica europea deve tornare, con approcci nuovi, a fare il suo mestiere. Green deal e digitale sono punti di svolta, elementi di un futuro già presente: pandemia compresa e a parte.  
1069. In chiave sistemica  
09 Giugno 2020 di Marco Emanuele da Formiche.net Nel mese di febbraio 2020 Eurilink University Press ha pubblicato un volume prezioso, Internazionalizzazione e comunicazione del “sistema Italia”, opera collettanea che nasce dall’esperienza della prima edizione del Master in Governance dei processi di internazionalizzazione e comunicazione del sistema Paese di Link Campus University. Il volume ha la prefazione di Vincenzo Scotti ed è curato da Ottorino Cappelli. Oggi, più che mai, la questione della valorizzazione del sistema Paese diventa decisiva. Nella fase post-emergenza del COVID-19, certamente complicata, ci vogliono – come richiamato nel sottotitolo dell’opera – principi, linee guida, esperienze. Il libro è molto ricco e si snoda lungo diversi filoni di riflessione, importanti singolarmente ma che acquistano valore solo in una visione d’insieme. Molti sono gli autori e, di conseguenza, i temi. Si parla di soft power, dell’Italia negli Stati Uniti e in Cina, delle misure pubbliche di sostegno all’internazionalizzazione, di golden power. Particolare attenzione è dedicata al ruolo della diplomazia italiana vista in chiave complessa (economica, linguistica, culturale, scientifica), considerando la partita decisiva dell’attrazione degli investimenti diretti esteri e il ruolo delle istituzioni scolastiche italiane all’estero; vi sono, altresì, testimonianze del lavoro “sul campo” a cura di rappresentanti della nostra rete diplomatica. Una parte specifica del volume riguarda il sistema di promozione e l’impresa con uno sguardo sul rapporto tra istituzioni e promozione del “made in Italy” e la raccolta di alcune significative esperienze dal mondo imprenditoriale all’estero. Infine, ma non da ultimo, si parla del sistema di promozione del turismo, uno degli ambiti più importanti della nostra economia del cui rilancio di discute molto in queste settimane guardando alla ripartenza e alla ricostruzione. Il testo, che nasce nel lavoro di alta formazione universitaria, ha l’ambizione di essere uno strumento positivo e utile per il decisore politico. Particolarmente in questa fase, infatti, il “sistema Italia” va riproposto in una rinnovata alleanza tra università, impresa, pubblica amministrazione, diplomazia. L’espressione “cabina di regia”, tante volte utilizzata e abusata, deve assumere carattere di pragmaticità e non rimanere un auspicio. Il tempo che stiamo vivendo, anche guardando alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, può trasformarsi in un tempo positivo se sappiamo mettere a sistema le nostre tante, spesso non dialoganti, potenzialità. L’organizzazione dell’ordinario vince in tempi straordinari: ciò che fa la differenza è, anzitutto, la volontà di tutti i player di uscire dall’autoreferenzialità e di mettersi a disposizione di un disegno d’interesse generale. Questo volume, non  un unicum, è parte di una strategia accademico-progettuale, in linea e in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Accanto al “come” dei processi di internazionalizzazione occorre, infatti, porre avanti – e in maniera davvero integrata – le ricchezze del nostro Paese che, in vari ambiti, deve ritornare a giocare da leader a livello globale.  
1070. Sicurezza e cambiamento climatico: l’approccio della NATO ad una sfida alla sicurezza globale  
10 Giugno 2020 di Stefano Scaini e Ralitsa Bakalova - Centro di Ricerca CYRCE da Safety&Security Magazine Poiché la nostra società si basa su determinate condizioni ambientali, ci si aspetta che un radicale cambiamento climatico, capace di alterare tali condizioni, possa impattare pesantemente sulla vita umana, sulla società intera, nonché globalmente sugli aspetti della sicurezza ad esso correlati; comprendere la complessità delle interazioni tra i fattori di stress climatico, i conseguenti impatti e le strategie di risposta, è l’elemento cruciale per un assessment delle possibili implicazioni in termini di sicurezza e di conflitto. Il sistema del nostro pianeta è formato da tre sottosistemi tra di loro complementari, ovvero il clima, la natura e l’essere umano; ognuno di loro influenza gli altri sia direttamente che indirettamente, formando un unico sistema complesso, denominato socio-ambientale, caratterizzato da un’elevata incertezza. Per questa ragione è essenziale considerare la relazione esistente tra clima e sicurezza poiché, esistendo un solo sistema climatico, il verificarsi di problemi ad esso connessi potrebbe generare pesanti ripercussioni a livello internazionale, trascendendo in brevissimo tempo la distanza tra il luogo d’origine e quello oggetto d’influenza. Pur trattandosi di un fenomeno naturale, il riscaldamento globale riceve un notevole impulso da parte delle attività antropiche, col risultato di indurre cambiamenti climatici in molte parti del mondo; le principali conseguenze sono l’innalzamento del livello dei mari, lunghi periodi siccitosi, inondazioni di notevole magnitudo, eventi meteorologici estremi, degradazione degli ecosistemi, minor produzione di alimenti, perdita di biodiversità e il diffondersi di malattie. A detta dell’I.P.C.C. – Intergovernmental Panel on Climate Change, i costi di carattere economico, sociale e connessi alla sicurezza, in seguito ad eventi meteorologici estremi, sono destinati ad avere un notevole incremento, e gli impatti del cambiamento climatico “si diffonderanno dalle aree e dai settori direttamente impattati ad altrettanti contesti attraverso complessi ed estesi collegamenti”. Ci attendono seri rischi associati a questo cambiamento, capaci di danneggiare pesantemente e globalmente le condizioni di vita delle persone: i sistemi cosiddetti fragili o vulnerabili sono tanti, tra cui ad esempio le risorse idriche, l’agricoltura, le foreste, la salute delle persone, il comparto energetico e l’economia. Anche la NATO, col suo Concetto strategico per la Difesa e la Sicurezza, ammette che il cambiamento climatico rappresenti uno dei fattori che plasmeranno il futuro scenario della Security, in quanto connotato da una potenziale e notevole capacità di destabilizzare sia i singoli che le Organizzazioni, non solo dal punto di vista della pianificazione ma anche dell’operatività; collaborazione, coordinamento, prevenzione, mitigazione e resilienza, rappresentano parole chiave per la futura sopravvivenza del genere umano nonché dell’intero pianeta. Nel processo di sviluppo del succitato Concetto strategico, il Segretario Generale della NATO è stato assistito da un gruppo di specialisti i quali hanno preparato analisi e redatto una serie di raccomandazioni, mettendo particolare enfasi sulle caratteristiche di non-convenzionalità delle future minacce in ambito Security & Defence; notevole attenzione è stata posta proprio sugli aspetti climatici, criticità “relativamente” emergenti nonché potenziali boosters per future crisi globali. La NATO, in quanto Organizzazione di matrice sia politica che militare, non si trova ad essere un attore primario in relazione alle policies per il contenimento delle dinamiche di mutazione climatica; gli sforzi, pertanto, sono stati principalmente fatti per raggiungere e mantenere una consapevolezza di base sul tema, sponsorizzare e condividere eventi, nonché fornire assistenza alle Nazioni firmatarie. Nell’ultimo decennio sono state profuse parecchie energie nell’esaminare gli impatti, sia diretti che consequenziali, del cambiamento climatico sullo scenario della Security, ove la NATO riconosce esservi presente una palese e indiretta influenza; la Comunità internazionale della Security sta diventando sempre più consapevole della necessità di dover anticipare e gestire l’insorgenza di criticità collegate al clima, nonché di capire quali saranno le ricadute in termini organizzativi sia a livello nazionale che continentale. Questa la dichiarazione ufficiale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord: “As an Alliance, NATO does not have a formal role in regulating the greenhouse gas emissions that experts believe lead to global warming. NATO could, however, be called upon to help cope with security challenges stemming from such consequences of climate change as a melting polar ice cap or an increase in catastrophic storms and other natural disasters. The Alliance should keep this possibility in mind when preparing for future contingencies”. Il particolare expertise nel campo dei cambiamenti climatici di Anders Rasmussen e Jens Stoltenberg rappresenta una forte posizione della NATO nei confronti dell’importanza dell’argomento; A. Rasmussen iniziò, infatti, ospitando in Danimarca la quindicesima Conference of the Parties to UNFCCC – United Nations Framework Convention on Climate Change (COP15) e la quinta sessione del Meeting of the Parties to the Kyoto Protocol (COP15/MOP5), mentre J. Stoltenberg è stato per lungo tempo un Delegato speciale delle Nazioni Unite per il clima. Oltre a questo, va ricordato che tutti i ventinove Paesi membri della NATO sono altresì membri dell’IPCC – Intergovernmental Panel on Climate Change, attori proattivi di considerazioni costruttive sulle implicazioni del cambiamento climatico con la sfera della Security a livello globale. La NATO si dedica al cambiamento climatico, ai suoi impatti e alla sua influenza sui futuri scenari di sicurezza globali, attraverso il proprio programma denominato Long-Term Military Transformation, ed è compito dell’ACT – Allied Command Transformation anticipare i tempi preparandosi ad un futuro così ambiguo, complesso e caratterizzato da cambiamenti repentini; il programma è costituito da due componenti, SFA e FFAO, rispettivamente Strategic Foresight Analysis, e Framework for Future Alliance Operations.> La SFA ha il compito di descrivere i trends futuri, la difesa e le implicazioni per la sicurezza, definendo come il cambiamento climatico stia attirando su di sé un’attenzione internazionale senza precedenti, poiché gli impatti generati interesserebbero pressoché tutti gli ambiti, rischiando di pregiudicare la vita a livello globale. La FFAO è chiamata a descrivere lo sviluppo del futuro contesto della Security e delle situazioni d’instabilità, causate da evidenti effetti maggiormente pervasivi che in passato; tali situazioni dipendono infatti strettamente dal cambiamento climatico, il quale con molta probabilità darà un impulso ai disastri naturali sia dal punto della frequenza che degli impatti. Dopo aver analizzato i reports, sia di SFA che di FFAO, la conclusione è stata che le maggiori preoccupazioni deriveranno dalle peggiorate condizioni di sicurezza a seguito del disagio sociale indotto dal cambiamento climatico, aspetto che va ben oltre la fisicità di un danno generato a uno specifico contesto. Le potenziali conseguenze dell’impatto di questo peggioramento delle condizioni di sicurezza – che, ricordiamo, appartenere alla scala dei bisogni caratterizzanti la nota piramide di Maslow – dipendono dalla natura dell’impatto, dalla tipologia di evento climatico e, aspetto primario tutt’altro che trascurabile, dal livello di resilienza del target; è per questo motivo che i conflitti e gli eventi maggiormente severi sono attesi nei Paesi più poveri e, quindi, più vulnerabili. I contesti caratterizzati da elevati livelli di welfare non sono certo da considerarsi immuni da ciò, poiché a causa del sistema globalizzato nel quale stiamo vivendo, gli impatti indiretti e consequenziali riescono a trasmettersi non solo in breve tempo ma anche su vasta scala (l’esempio di quanto accaduto ed in accadimento con la recente pandemia ne costituisce un esempio mirabile). L’approccio omnicomprensivo è fondamentale e necessario per far fronte alle future sfide al comparto Sicurezza & Difesa, ove la linea di confine tra minacce di natura militare e non tenderà a diventare sempre più confusa e indistinta; il cambiamento climatico è stato definito infatti come quell’insieme di minacce che attraverserà trasversalmente sia la sfera civile che quella militare, caratterizzando il cosiddetto panorama di nuove minacce unitamente a sicurezza energetica, cybersecurity e conflittualità asimmetrica di matrice terroristica. Per questo motivo si ritiene che la cooperazione tra mondo civile e militare sia alla base della gestione delle sfide lanciate dal cambiamento climatico, come sottolineato dalle parole dell’attuale Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg: “NATO is a military alliance, so NATO doesn’t have the tools to address climate change. Having said that, climate change is important for our security, meaning that climate change will most likely lead to that people will start to move, it may lead to new conflicts about water, about agriculture, and it may also, you know, change for instance transport routes. (…) So, climate change has security consequences and NATO has recognised that in what we call the Strategic Concept. (…) It’s important that NATO Allies engage in that, but it’s not for NATO to in a way develop windmills or clean energy, because we have other institutions and organisations for that”. Le implicazioni alla sicurezza generate dalle problematiche di natura ambientale, aspetti critici per leaders politici e cosiddetti decision-makers, appartengono a un’area nella quale è auspicabile che l’Alleanza reciti un ruolo assoluto di pilastro fondamentale. Per salvaguardare la pace e la sicurezza, la priorità sarà senz’altro quella di essere precisi quanto necessario nel trovare un punto d’intersezione tra quali forze debbano essere presenti, quali debbano agire e quali caratteristiche abbiano i nuovi scenari della sicurezza relativamente alle conseguenze generate nella società, ovvero conflitti, malcontento e instabilità, povertà, flussi migratori, nonché la codipendenza e il collasso di realtà statuali.  
Search results 1061 until 1070 of 1593