24 Settembre 2018
di Riccardo Lancioni
da Geopolitica.info
Nel 2018 è l’Asia centrale il teatro dell’esercitazioni stagionali. In “Vostok 2018”, sono stati impegnati i distretti militari meridionale e centrale a partire dall’11 settembre, schierando più di 300.000 militari federali con 1.000 aerei e 36.000 veicoli blindati, un numero non precisato di alleati mongoli e soprattutto 3.200 soldati cinesi. Vastissimi preparativi hanno permesso che si svolgesse il più grande wargame dai tempi del Maresciallo Ogharkov e dal suo “Zapad ‘81”. Gli osservatori stranieri hanno potuto osservare grandi concentrazioni di artiglieria ed elicotteri che aprono la strada ad attacchi di sfondamento operati da forze corazzate su scala ben maggiore rispetto a “Zapad ‘17” dello scorso anno. Lo stato maggiore russo dando prova di poter manovrare efficacemente con una tale massa di uomini, carri, cannoni, sistemi missilistici, elicotteri e aerei in sinergia con un alleato tanto importante lancia un monito per tutta l’area ex-sovietica ma anche per la NATO. La Russia può e vuole dimostrare di contare in Asia centrale, almeno sul piano delle capacità militari.
Finalmente un mare caldo
La marina ha un obiettivo ancora più ambizioso, consolidare la presenza russa nel Mediterraneo orientale attraverso una dimostrazione di forza. Le manovre navali svolte hanno coinvolto 25 navi, 30 aerei e unità di fanteria di marina. L’unità flagship della flottiglia mediterranea è stata l’incrociatore Marshal Ustinov, costruita ai tempi dell’URSS. Vanta una dotazione missilistica anti-nave e anti-aerea di considerevole potenza, frutto di un upgrade che ha visto importanti lavori di ammodernamento. Gli otto complessi di S-300F di cui è armata insieme ai suoi radar ne fanno il cardine per la difesa aerea di quella sottile striscia di territorio siriano che affacciandosi sul mare è così importante a livello strategico. Nel suo insieme un tale numero di navi e aerei garantiscono elevate capacità di early warning, surveillance e target acquisition, che integrata con le batterie di S-400 a terra e i satelliti permettono di controllare l’intero spazio aereo del Mediterraneo nord-orientale. Israele, Cipro e la Turchia, saranno probabilmente le direttrici da cui la marina di Mosca si addestrerà a contrastare una minaccia diretta contro Damasco. Un mare stretto però non è adatto a vaste manovre navali di una flotta oceanica. Le dimensioni del Marshal Ustinov e ancora più quelle del Pyotr Velikiy, il più grande incrociatore missilistico del mondo che ha fatto parte dell’intervento in Siria nel 2015, vanno a loro discapito in quanto qualunque unità NATO è in grado di localizzarle a mezzo sonar. Le particolari caratteristiche oceanografiche del Mediterraneo lo rendono invece ideale per i sottomarini diesel-elettrici e il Krasnodar ha dimostrato nel 2017 quanto siano all’avanguardia i russi nella costruzione di tali economiche unità. L’area prescelta è stata limitatissima e ha consentito di osservare da vicino le esercitazioni e i sistemi in azione molto più facilmente di quanto si possa fare nel mare di Barents, tradizionale area addestrativa della flotta del Nord. L’inizio della battaglia per Idlib non può essere una coincidenza, piuttosto sarebbe credibile un notevole coinvolgimento russo nell’abbattimento di eventuali sciami di missili cruise alleati contro Assad.
Ma allora l’orso è tornato?
Cerchiamo di fare chiarezza. Sarebbe miope sottovalutare gli sforzi che la Federazione Russa e il suo presidente Vladimir Putin stanno facendo per promuovere un’immagine di forza a livello globale. I recenti interventi hanno dimostrato un netto incremento delle capacità russe nell’ultimo decennio ma non bisogna farsi ingannare dalla maskirovka. Le manovre di questi giorni sono l’ennesimo tentativo di celare la propria debolezza dietro una grande forza quasi solo apparente. Il paese ora più che mai è incapace di promuovere sforzi out of area soprattutto per tempi lunghi. Se osserviamo da vicino l’annessione della Crimea ci accorgiamo che non ci sono state operazioni di combattimento e che la vittoria è stata ottenuta grazie alla temerarietà della leadership politica e militare. Nel conflitto ucraino hanno combattuto principalmente i separatisti e comunque non vi è stato il massiccio intervento corazzato visto in Georgia nel 2008. In Siria vi sono state unità russe ingaggiate in combattimenti ma su piccola scala prediligendo invece il close air support alle forze governative, l’uso di forze speciali e missioni di bombardamento su obiettivi strategici. La capacità di proiezione all’estero è indubbiamente molto limitata se paragonata a quella statunitense che secondo la National Security Strategy di Trump è e dovrà rimanere soverchiante rispetto a qualunque avversario. La Russia non ha superato i suoi problemi endemici così come non è riuscita a rilanciare la sua economia, il PIL permette di comprendere come il paese non abbia quasi nessuna possibilità di alimentare uno sforzo all’estero di grandi proporzioni. Ulteriore conferma della debolezza russa sono i nuovi sofisticatissimi sistemi quali il SU-57 e la piattaforma Armata che rimangono in disponibilità limitatissime per mancanza di fondi. La vendita di armi e sistemi all’estero se consentono di andare avanti con la R&D non sono in grado di finanziare un massiccio riarmo. Valutando attentamente le capacità russe si comprende però come siano adeguate agli obiettivi politici fin ora stabiliti. Armamenti sovietici aggiornati combinati con poche modernissime armi sono in grado di garantire una rapida vittoria sull’Ucraina o su qualunque stato ex-sovietico perciò in binomio con il più vasto deterrente nucleare oggi esistente consentono una politica opportunistica fatta di rapidi ed efficaci balzi che il presidente Putin ha dimostrato di saper manovrare egregiamente. La Russia non è relegata al ruolo di potenza regionale come definita da Obama nel 2014, e grazie agli exploit degli ultimi anni, di cui nessuno la riteneva capace, ha rotto il suo isolamento. Il più grande paese del mondo costituisce la maggiore minaccia militare agli Stati Uniti, in virtù delle sue capacità convenzionali e nucleari, ma Mosca oggi ben lontana dai fasti dell’URSS non è una super potenza in grado di rivaleggiare per l’egemonia mondiale.