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991. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Luigi Paganetto  
4 APRILE 2020 Un bazooka finanziario anti-crisi (di Luigi Paganetto)  di Luigi Paganetto pubblicato su La Stampa, 4 aprile 2020 Che ci sia, a seguito dell’emergenza coronavirus, un problema  di liquidità per il sistema economico e’ a tutti chiaro. Su come risolverlo le idee sono assai  meno messe a punto. Qualche giorno fa la Germania, seguita dalla  Francia (ma anche dalla Danimarca) ha presentato le proprie proposte di intervento alla Commissione  europea nell’ambito del “Temporary Framework”, strumento creato da poco che consente agli Stati membri di essere autorizzati ad interventi diretti a mitigare le conseguenze economiche del coronavirus. Si tratta di interventi ,in questi casi,che possono essere descritti come veri e propri “bazooka” perche’ ,con una scelta senza precedenti, il Governo tedesco ha chiesto l’autorizzazione,che gli e’ stata concessa ,all’immissione nella propria economia di “un illimitato ammontare di liquidità. La Francia si e’ limitata a proporre l’immissione di 300 miliardi. Elemento comune alle due richieste  e’ lo strumento  preposto a realizzare gli interventi .Si tratta di due Istituzioni finanziarie KFW  e BFI France , Istituti che agiscono sul mercato in regime privatistico ma sono posseduti interamente dal settore pubblico. Entrambi gli Istituti hanno la funzione di investire per lo sviluppo ,con la differenza che BFI diversamente da KFW  ha anche natura e funzioni di banca. Ciò che importa e’ che entrambi gli Istituti sono in grado di far arrivare la liquidità necessaria, tempestivamente e  direttamente, alle imprese che ne hanno bisogno in presenza di una garanzia pubblica . In questa occasione  il finanziamento di KFW alle imprese viene garantito dallo Stato per  80% del suo valore e addirittura fino al 90% per il  caso di attività di investimento. Non e’ dunque lo Stato che interviene direttamente ma  lo fa, in maniera assai più agile ed efficace  attraverso Istituti che operano sul mercato e sono in grado di valutare le esigenze dell’economia e delle imprese. Si parla molto in questi giorni di interventi di sostegno al reddito delle famiglie che ,per quelle bisognose e’ indispensabile,C’e’ poi l’altro lato della questione altrettanto importante che e’ quello di chi ha visto venir meno le sue fonti di reddito per la  chiusura,ovviamente necessaria ,  delle attività non essenziali. Ciò che va considerato e’ che le filiere produttive nell’economia di oggi sono così complesse da mettere in crisi anche le imprese che, per essere definite essenziali, sono rimaste aperte. E ciò è vero non solo perchè in molti casi vengono  a mancare, per chiusura, le sub forniture senza le quali non e’ possibile realizzare il  prodotto finito ma anche per le difficoltà finanziarie che mettono in crisi  molte piccole e medie imprese  che lavorano per quelle più grandi. Ciò è grave, in questo momento, per il settore sanitario, soprattutto per la produzione di apparecchi medicali e strumenti diagnostici. La verità è che la crisi in corso ha determinato strozzature dell’offerta oltre che caduta della domanda. Perchè l’economia riprenda e’ necessario intervenire su queste strozzature, tanto più se riguardano settori rivolti all’export. Perdere il passo con i concorrenti in quest’occasione può significare perderlo anche per il futuro. Servono perciò interventi mirati che rimedino al venir meno di anelli essenziali del processo produttivo. La scelta tedesca e quella francese di intervenire a sostegno delle imprese con un’immissione immediata di liquidità realizzata da chi agisce sul mercato ed ha un mandato a favore dello sviluppo  garantisce l’adeguatezza dell’intervento oltre che la sua tempestività. L’ampia garanzia dello  Stato sui prestiti concessi consente un’azione che ha il solo limite della responsabilità  degli Istituti cui e’ demandato il compito del finanziare il sistema produttivo nel condurre le valutazioni necessarie per il finanziamento. Ma si tratta di Istituzioni che hanno nel loro genoma non solo la competenza finanziaria ma anche quella dello sviluppo, due aspetti da coniugare come non mai, oggi. Il tema della ripresa non può essere rinviato e  giustifica anche nel nostro Paese l’uso di un “bazooka” finanziario simile a quello tedesco. Torna all'Appello  
992. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Massimo Cacciari  
16 MARZO 2020 Ricordando oggi il lontano giorno in cui tutta l’Italia fu dichiarata “zona rossa” e miriadi di confini dividevano o cercavano di dividere comuni, provincie, regioni, anzi: una casa dall’altra, sembra incredibile misurare il cammino percorso. A molti  quella grande crisi sanitaria apparve come il sigillo di un processo di irreversibile decadenza delle istituzioni nostre ed europee, il simbolo della loro inettitudine a governare quel generale “mutamento di stato” che la nostra epoca rappresenta. E invece fu quel toccare il fondo da cui rimbalzò volontà politica, grande Politica. I giovani nati dopo quella data non possono immaginare la vera e propria “conversione” che la crisi produsse nell’intera classe dirigente del Paese, dalle forze politiche a tutte le organizzazioni di categoria. Mai, certo, il male è provvido, ma quello risvegliò intelligenze, fece comprendere i disastri del precedente trentennio, ne iniziò la sistematica cura. I primi segni della nuova fase, d’altronde, si potevano cogliere già nella gestione dell’emergenza stessa. Sotto il profilo medico-sanitario non vi era altra scelta, infatti, che seguire le indicazioni delle autorità scientifiche, del Consiglio superiore della sanità. Ma il Governo non si limitò affatto a questo né a stanziare confusamente qualche risorsa a fronte della scontata catastrofe per vitali settori della nostra economia. No, grazie anche a un’approfondita concertazione con le stesse opposizioni, il governo indicò le priorità di intervento, criteri e modalità di erogazione. Dimostrò subito di comprendere benissimo come non ci si ammali soltanto di corona virus, ma anche, e forse son mali di più lunga durata, e facilmente somatizzabili, di crescita ulteriore della disoccupazione, di precarietà dilagante, di smarrimento di ogni fiducia. Perciò si rivolse ai settori più colpiti dalla crisi (e fondamentali per l’economia del Paese), garantendo anzitutto ai lavoratori ogni forma di tutela (cassa integrazione o altro), e promettendo alle imprese una precisa riformulazione complessiva dei loro obblighi fiscali. Non solo, il Governo disegnò già durante i giorni in cui sembrava che l’unico imperativo categorico fosse “io sto a casa” (“padroni a casa propria” finalmente, scherzava qualcuno) le linee per affrontare le eccezionali difficoltà economico-finanziarie in cui ci si sarebbe trovati a “liberazione” avvenuta. I conti erano presto fatti e vennero esposti con chiarezza ai cittadini: erano in ballo centinaia di miliardi del PIL (solo turismo, con annessi e connessi, valeva il 13%); altro che qualche miliardo in più di deficit; occorreva finalmente porre mano a riforme strutturali della spesa. Vennero cosi richiamati in servizio i Cottarelli, i Cassese, ed altre voci prima sistematicamente ignorate. Si indicarono i colossali risparmi ottenibili da una radicale spending review collegata a una autentica riforma anti-burocratica e federalistica del nostro Stato. Si ammisero francamente i ritardi, gli errori, le impotenze dei governi passati. E soprattutto si dichiarò solennemente che i costi della piccola guerra non sarebbero stati “spalmati” sui cittadini, tantomeno su quel 50% di essi che paga regolarmente e in toto le tasse. Finalmente la lotta all’evasione non sarebbe rimasta il solito ritornello. Tutto questo rassicurò, rincuorò, fece intendere che dalla crisi nascevano volontà e progetti nuovi. Mentre medici, infermieri, protezione civile lottavano nel loro campo con tutti i mezzi a disposizione, malgrado i tagli susseguitisi per tutto il precedente trentennio e le disuguaglianze immense tra le strutture sanitarie delle diverse regioni, il ceto politico compiva cosi il proprio dovere, anche girando Europa e mondo per difendere l’immagine del nostro Paese e combattere lo sciacallismo di “amici” concorrenti. I risultati di tutte queste iniziative e decisioni venivano illustrati ogni sera dopo i bollettini medici. Il buon giorno si vide cosi fin dal mattino, anzi: dal buio della notte. Il nostro Governo, forte di quella dolorosissima esperienza, si battè in ogni sede perché una nuova cultura politica si affermasse, coerente con il mondo globale in cui, ci piaccia o no, dobbiamo vivere. L’emergenza corona-virus non era “logicamente”diversa da tante altre che tormentavano quell’epoca fortunatamente passata. Nessuna crisi poteva restare locale. Si trattasse di finanza, di movimenti migratori, di ambiente, di malattie. Nessun muro ci difende dal dilagare del contagio. Se non quello che sappiamo costruire attraverso la cooperazione, l’intesa tra Stati, la definizione di regole e norme internazionali che si incardino nel diritto positivo di ciascuno. E ciò vale per ogni materia. La crisi sanitaria mise a nudo la necessità di questo salto. È vero che la sua natura, come quella dei terremoti, sembra trascendere ogni potenza politica, ma non è cosi. Il caso trascende soltanto una politica che non sia capacità di analisi e di previsione. Ma su tutte le grandi questioni noi abbiamo la capacità di prevedere e dunque prevenire. Una politica che insegue l’emergenza non poteva essere all’altezza dell’epoca. Per il semplice fatto che  l’emergenza in essa si fa fisiologica e cessa perciò di essere tale. Scoprimmo allora che era necessaria una cultura politica in grado di prevenire, come la buona medicina, pronta, cioè, ad affrontare quello che una volta sarebbe sembrato mero accidente. Ma per saper prevenire occorre sapere; le forze politiche divennero coscienti di ciò, si riorganizzarono in tal senso; interiorizzarono, per cosi dire, specialismi e competenze; moltiplicarono sforzi e risorse per la formazione di ceti amministrativi, burocratici, tecnici in grado di convivere con la “rivoluzione permanente” del nostro tempo. Ciò che vent’anni fa sembrava si potesse soltanto sperare contro ogni speranza, nel corso di questa generazione si è quasi realizzato. Le nostre forze politiche hanno saputo far leva su quella crisi sanitaria per iniziare insieme la fase costituente che avevano ignobilmente mancato trent’anni prima, alla caduta del Muro. Per questo celebriamo oggi l’anniversario del 10 marzo 2020. (articolo pubblicato su L’Espresso del 15 marzo 2020) Torna all'Appello  
993. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - De profundis Europa, Il contributo di Massimo Cacciari  
23 MARZO 2020 De profundis Europa di Massimo Cacciari L’età della globalizzazione potrebbe diventare quella delle pandemie? Certo che si. Come un collasso finanziario in un nodo del sistema contagia l’intero in tempi infinitamente più rapidi che nel passato, come una guerra, una carestia, una crisi mettono in movimento interi popoli che premono su frontiere sempre più virtuali, lo stesso è inevitabile avvenga per le malattie infettive. Natura matrigna perciò? No, cecità culturale e politica. Non eravamo stati forse “avvisati” del trauma finanziario che blocca lo sviluppo economico e sociale dell’Occidente dal 2007-2008? Occorreva grande fantasia per comprendere che il modo in cui siamo intervenuti in Iraq, in Siria, in Libia avrebbe se non generato, certo moltiplicato i disperati flussi migratori di questi anni? E’ diverso ora per il corona-virus? Fino a un certo punto. L’Organizzazione mondiale della sanità( WHO – appunto, chi è? Chi la conosce nei palazzi del potere?) da molti anni ha lanciato l’allarme. Le modifiche radicali dell’ambiente, la deforestazione, gli allevamenti intensivi, l’uso massiccio di antibiotici per gli animali( con conseguente resistenza all’antibiotico nell’uomo), il commercio illegale di fauna viva cosi come di carni o parti di animale, costituiscono una serie di cause precisamente documentabili per l’emergenza di gravissime pandemie. In un incontro del WHO del 2018  l’esplodere di un’Epidemia X esattamente con le caratteristiche( e sembra anche la genesi) del corona-virus era stata prevista. Evola, Sars, Mers non avevano insegnato nulla. Lo staffilococco aureo aveva fatto 7000 morti in Europa nel 2015; nello stesso anno 33000 persone avevano perso la vita per infezioni resistenti alle cure. Quando in Cina o in Corea trovano un’infezione in un allevamento altro non sanno fare che prendere in massa gli animali, cacciarli in una fossa e bruciarli vivi. Si vedano in rete le agghiaccianti immagini di stragi di maiali, in violazione tra l’altro di leggi internazionali sottoscritte dai vari Stati. Di tutto questo pochi o nessuno stanno a parlare; solo l’emergenza la fa da padrona, come per le crisi finanziarie e sociali, e per l’immigrazione. (Emergenza perenne, che alla fine “sospenderà” parlamenti e elezioni, o ne dimostrerà l’inefficacia…è questa la tendenza generale? Fondamentale discorso che non possiamo qui svolgere). Nessuna analisi di lungo periodo, nessuna coscienza dei pericoli ( cosi come delle grandi opportunità) che fisiologicamente appartengono all’epoca in cui ci tocca di vivere. Strategie totalmente inadeguate. Si attende che il male arrivi, e poi a caccia di cure e vaccini. Gli scienziati prevedono e ammoniscono invano. Voci che chiamano nel deserto.Se ne invoca l’aiuto nell’emergenza, e poi via a tagliare di nuovo per formazione, ricerca, posti letto,ecc. Tanto nessuno sa e quel che si sa si dimentica. Di una politica incapace di essere all’altezza del mondo globale, di sapere e di prevedere, l’Europa ha fatto sfoggio in questa crisi più ancora che nelle precedenti. Ed è cosa incredibile a pensarci, poiché questa volta non si trattava di egoismi locali, psicologicamente anche spiegabili se non giustificabili, come nel caso di difendere il proprio bilancio a scapito dell’”amico” o i sacri confini della patria dalla presunta invasione dell’alieno – no, questa volta si trattava di un’epidemia in corso e necessariamente destinata a coinvolgerci più o meno, prima o poi, tutti. E invece per settimane e settimane ognuno “padrone a casa propria”, come anche il corona-virus potesse essere bloccato nei lager libici o in quelli di Erdogan o alle frontiere del Brennero o tra Ventimiglia e Nizza. Abbiamo forse toccato il fondo? Una Unione europea che non riesce a disporre tempestivamente un piano comune di fronte a un nemico di questo genere come potrà mai superare gli abissi che la dividono dalla attuazione di una qualche convergenza nelle politiche finanziarie e sociali, da una presenza politica decente sulla scena internazionale? La pandemia finirà – non le sue numerose, dichiarate concause, se non ci si mette tutti mano. E finirà con un’immagine della politica europea ancora più frammentata, occasionale, incapace di previsione e prevenzione, di prima. Senza un grande sforzo in queste prossime settimane per interventi su scala continentale davvero coordinati, simbolo di questa crisi resteranno il cieco e sordo tecnicismo finanziario della Lagarde, della BCE orfana di Draghi, o le follie di Johnson e del suo staff (degne di uno Swift le loro battute sulla “terapia del gregge”). Anzitutto a coloro che la crisi potrebbe colpire ben più gravemente dello stesso virus la politica europea è chiamata a prestare la massima cura, e cioè proprio a quei ceti e a quelle classi le cui sofferenze essa ha ignorato, ad esempio, quando dovette affrontare la catastrofe della Grecia. A chi non può “stare a casa” perchè  non ce l’ha, o ce l’ha, per cosi dire, troppo stretta per viverci a lungo comodamente, o a chi perdendo lavoro e reddito magari rischia di perdere anche quella. Non possiamo più permetterci una politica all’inseguimento degli eventi, fatta di semplici raccomandazioni, molta retorica, poco sapere e niente progetto. Se questa crisi segnerà la svolta, la ricorderemo tra vent’anni quasi con gioia. Ciò che è certo è che nulla deve essere più come prima. (pubblicato su L’Espresso del 22 marzo 2020) Torna all'Appello  
994. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Roberto Esposito  
16 MARZO 2020 Istituzioni e reti: il sistema immunitario del Paese di Roberto Esposito L’altra sera a ‘Otto e mezzo’ Marco Damilano ha fatto un riferimento assai pertinente ai ‘Due corpi del re’ di Ernst Kantorowicz (Einaudi): il re ha due corpi, quello fisico e dunque mortale, e quello, immortale, dell’eredità dinastica, che passa di padre in figlio. Questa duplicità non caratterizza solo le monarchie, ma anche le democrazie. Nelle quali al periodico ricambio dei leader fa riscontro la permanenza delle istituzioni. Ciò vale anche, e tanto più, quando uno o più leader si ammala, come accade oggi per effetto del coronavirus. Una corona, speriamo, meno duratura di quella che cingeva la testa dei re. Ciò che fa la differenza è comunque la pluralità di una leadership collettiva che si rivela ben più affidabile dei capi soli al comando, come nota ancora Damilano nell’ultimo numero dell’‘Espresso’. L’unica sorpresa positiva, tra le tante negative del momento, è stata la tenuta non solo degli amministratori politici, ma anche dei medici di servizio e della Protezione civile. È questa leadership diffusa il vero contraltare di un possibile ‘stato d’eccezione’. Certo, quella che viviamo è una situazione di emergenza. Ma determinata, piuttosto che da una volontà sovrana, dalla necessità obiettiva di proteggere il Paese da un ospite aggressivo e impercettibile. Come nessun corpo umano, così nessun corpo sociale sarebbe in grado di sopravvivere senza un sistema immunitario – che nella fattispecie è costituito appunto dalle istituzioni, più resistenti di coloro che temporaneamente le occupano, perché prive di corpo fisico. Allora si può tradurre la metafora dei due corpi del re in tal modo: ciò che salva un Paese, quando i suoi leader s’indeboliscono o falliscono, è la saldezza permanente delle istituzioni. Naturalmente a patto che le istituzioni abbiano la capacità di adattarsi alle contingenze, anche le più drammatiche, come quella che stiamo vivendo. Ciò è possibile a due condizioni. Che da un lato si allarghi il recinto delle istituzioni ben al di là di quella – pure insostituibile – dello Stato sovrano. È precisamente questa sottrazione dell’architettura istituzionale all’unicità della sovranità a impedire lo scivolamento nello stato di eccezione sinistramente evocato da Carl Schmitt. Come sosteneva il grande giurista italiano Santi Romano ne ‘L’ordinamento giuridico’ (ristampato recentemente da Quodlibet), istituzioni sono tutte le associazioni, interne, esterne o addirittura estranee allo Stato, dotate di un’organizzazione, come ad esempio le Ong, le reti di volontariato, i presidi medici locali o internazionali. La seconda condizione è che venga meno l’annosa contrapposizione tra istituzioni e movimenti. Nel doppio senso che i movimenti che vogliono durare nel tempo devono, almeno in parte, istituzionalizzarsi. E che le istituzioni devono essere capaci di mobilitarsi, come, dopo una fase di inevitabile vacillamento sotto l’urto del coronavirus, hanno cominciato a fare quelle italiane. Probabilmente ci vorrà tempo per uscire dalla crisi. Ma, quando alla fine ce la faremo, anche le nostre categorie politiche risulteranno cambiate. In meglio, si spera. (articolo pubblicato su L’Espresso del 15 marzo 2020) Torna all'Appello  
995. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Maurizio Melani  
17 MARZO 2020 Le sfide attuali e le risposte necessarie dell’UE di Maurizio Melani Il flagello sanitario che sta colpendo l’Italia, l’Europa e il Mondo interviene su corpi già provati con diverse intensità da una crisi ormai più che decennale. Per alcuni, come la Cina, si è trattato del rallentamento di una crescita impetuosa negli anni precedenti fino all’arresto improvviso delle ultime settimane. Per altri, situazioni di stagnazione o di crescita del tutto anemica stanno diventando di recessione più o meno marcata in presenza comunque di gravi disagi sociali, di aumento delle diseguaglianze e di contrazioni dei livelli di benessere e di fiducia nel futuro. E’ questa la situazione in cui si trova l’Europa. La priorità assoluta va data all’aspetto sanitario e alla cooperazione da sviluppare in questo campo ai livelli europeo e mondiale. E’ urgente che all’Unione Europea siano fornite le competenze e le risorse necessarie  a realizzare quel che gli Stati membri non possono fare o fanno insufficientemente da soli. Immediate sono anche le gravissime conseguenze economiche dell’epidemia in corso alle quali occorre fare fronte. Questa esigenza si aggiunge all’enorme impegno finanziario richiesto dal contrasto ai cambiamenti climatici, posto dalla Commissione come una priorità caratterizzante, tenendo anche presente la necessità di preservare una biodiversità le cui mutazioni dovute alle conseguenze del riscaldamento globale non sono probabilmente estranee alla diffusione dell’attuale epidemia con il rischio che altre possano svilupparsi. Questo stato di cose ripropone più che mai per l’Unione, ed in particolare per l’Eurozona, la necessità da tempo evidenziata di una capacità fiscale comune, e quindi di spesa, di acquisizione di risorse proprie e di ricorso al mercato dei capitali con capacità di garanzia delle relative obbligazioni. Le vicende attuali confermano infatti che in relazione alle sfide cui sono confrontati i paesi europei la risposta nazionale è insufficiente o è comunque condizionata da problemi correlati soprattutto all'ammontare dei debiti sovrani dei singoli stati membri. Tra le esigenze determinate da tali sfide vi sono: - la realizzazione di un programma di investimenti pubblici ad alto moltiplicatore nelle infrastrutture, per l'innovazione e per la conoscenza, in grado di contribuire a far crescere la domanda aggregata con il conseguente indotto di investimenti privati e al tempo stesso di stimolare e facilitare il miglior funzionamento e l'efficacia dei fattori dell'offerta, nonché di sviluppare quali beni comuni settori cruciali come quello sanitario; - il sostegno ad una politica industriale basata sull'innovazione che sia coerente con il Green Dealannunciato dalla Commissione e voluto dal Parlamento Europeo anche quale nuovo volano di crescita; - l'istituzione di una assicurazione europea per la disoccupazione ed altri interventi di protezione sociale per contrastare povertà e disagi, con particolare riguardo a quelli in campo sanitario, assieme all’adeguamento dell’istruzione e delle capacità professionali alle nuove esigenze nella produzione di beni e servizi; - la partecipazione ad un sistema di garanzie nell'ambito dell'unione bancaria che vada oltre o integri il "bail in"; - il contributo in termini finanziari alla gestione dei flussi migratori e delle frontiere esterne sostenendo i paesi di transito e di primo arrivo, l’equa distribuzione dei richiedenti asilo e la loro integrazione ed inclusione; - la cooperazione con i paesi di origine e di transito delle migrazioni, diretta a sostenere rimpatri volontari e assistiti, a gestire canali di migrazione legali, ad orientare in tali paesi una crescita più inclusiva, equilibrata e sostenibile, a contrastare i danni ambientali, ad affrontare efficacemente i temi della salute, la questione demografica e l'empowerment della componente femminile, a sostenere istituzioni e capacità di governo dotate di legittimazione democratica e in grado di gestire i processi di sviluppo; - il contributo ad una parte delle spese per la sicurezza, la difesa e la gestione delle crisi e dei conflitti, in una prospettiva di progressivi processi di messa in comune e condivisione di assetti, capacità, acquisizioni e relativa base industriale per il perseguimento di una autonomia strategica, pur nell’ambito dell’Alleanza Atlantica, come ripetutamente affermato in diverse conclusioni del Consiglio Europeo ed avviato con la costituzione de Fondo Europeo di Difesa e di un meccanismo per il coordinamento delle acquisizioni. Tale lista non è tassativa né esaustiva ma le sue dimensioni e articolazioni potranno essere oggetto dell’intesa tra gli Stati Membri che lo vorranno. Questo sforzo comune richiede una capacità di spesa comune, e quindi un bilancio comune. Se specifico dell'Eurozona esso andrebbe separato da quello dell'Unione (pari attualmente a circa l'1 % del Pil dell'UE) ed essere ad esso parallelo. La sua gestione andrebbe affidata ad un centro di responsabilità politica in un contesto di condivisione di sovranità riguardo alle specifiche competenze individuate e di controllo e decisione da parte del Parlamento Europeo ma con una specializzazione e una partecipazione differenziata rispetto alle competenze riferite all'Europa a 27. Tale bilancio dovrebbe essere in grado anche di garantire obbligazioni europee (eurobonds) per il finanziamento di iniziative nei settori considerati, senza mutualizzazione dei debiti nazionali il cui assorbimento deriverebbe gradualmente anche dalla crescita indotta da quegli investimenti. Si tratterebbe quindi di una capacità fiscale che affianchi quella monetaria, la cui esigenza è stata ripetutamente evidenziata dall’ex-Presidente della BCE Mario Draghi, accanto ad un rafforzato ruolo della BEI nella raccolta del risparmio e nell’erogazione di finanziamenti. Si tratterebbe in altri termini di uno strumento che contribuisca ad evitare errori di politiche pro-cicliche, come quelle del Presidente americano Hoover e del Cancelliere tedesco Bruning dopo la crisi del 1929, o risposte assai diversa da quella degli Stati Uniti date dall’Unione Europea ai seguiti della crisi del 2008-2009 con la giustificazione dello scarso spazio fiscale dovuto all’alto livello dei debiti sovrani di alcuni paesi membri. In relazione alle competenze, tale capacità di spesa dovrebbe essere di alcuni punti del Pil dell'Eurozona. Su questo tema, seppure in forma alquanto generica, si sono espressi alcuni dei Governi italiani succedutisi negli ultimi anni, nonché il Presidente francese Macron che non ha però a lungo trovato la necessaria sponda dal lato tedesco. Per questa capacità occorrerà fare ricorso a risorse proprie attingendo ad almeno una parte della tassazione delle multinazionali ICT nell'ambito anche di una perequazione o quanto meno armonizzazione dell'imposizione fiscale sui proventi delle società tra i paesi dell'Eurozona, nonché dell’imposizione su ciò di cui vanno limitati l’impiego industriale e i consumi ai fini della transizione energetica. Si tratta certamente di un compito non facile. Necessita di visione e di capacità di elaborare tecnicamente progetti per la sua realizzazione, Esso va tuttavia perseguito con determinazione, con gli strumenti già previsti dai Trattati vigenti o con strumenti nuovi tra chi li voglia in un contesto di integrazione differenziata ma aperta ad una progressiva inclusività. A questo scopo andrà impostata una robusta iniziativa politica, costruendo bene le necessarie alleanze e il sostegno delle opinioni pubbliche e della società civile, con gli opportuni coordinamenti in ambito G7, OCSE e G20. La recente lettera congiunta dei Ministri delle Finanze di Francia, Germania, Italia e Spagna sembra andare nella giusta direzione cosi come molti degli orientamenti espressi dalla Commissione europea e da alcuni Stati membri soprattutto dopo l’esplosione dell’attuale emergenza sanitaria. 16 Marzo 2020 Torna all'Appello  
996. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Piergiorgio Valente e Luca Bagetto  
17 MARZO 2020 Quale Europa uscirà dal Coronavirus? di Piergiorgio Valente e Luca Bagetto Col sangue di generazioni in persistente lotta si è trovato un ordine in Europa, nell’assetto di Stati nazionali. La spada ne ha disegnato i confini, fucili e cannoni li hanno resi mobili, ferro e fuoco li hanno forgiato. Ma - cauterizzati i mostri dello spirito - solo le macerie del 2^ conflitto mondiale rappresentano il vero catalizzatore per la “ricostruzione della famiglia dei popoli europei” (secondo la feconda espressione di Winston Churchill nel discorso di Zurigo, 19.9.1946) mediante l’integrazione a carattere regionale che chiamiamo l’Europa. Verticalità e sovranità La verticalità dell’ordinamento sovra-nazionale si fonda sulla capacità di aprirsi a un nuovo inizio. Essa avverte,con l’emergenza epidemiologica del Coronavirus,una frattura, una crepa, una faglia, e non più pienezza di una identità. L’identità europea sembra raccogliersi oggi intorno all’interruzione della normalità e della sua rassicurante ripetizione. E allora? L’apertura al nuovo cui siamo costretti ospita in sé grande forza, unita ad altrettanta debolezza. La forza è quella della fiducia e della tenacia che accompagnano la meta che si insegue. La debolezza riguarda quella specifica vulnerabilità che appartiene a ogni inizio, quando ci si trova di fronte a una pagina bianca. Mancano i riferimenti, il sostegno di una continuità pregressa, la capacità di procedere speditamente. In questo orizzonte disorientato, la potestasdirectadell’Europa, cioè la sua capacità di decisione esecutiva, non può essere a tutto tondo. L’Europa deve cercare la sua potenza attuativa chiamando a raccolta la percezione di ogni Stato e di ciascuna istituzione circa la criticità del momento. Solo in un orizzonte allarmato si dà infatti sensibilità per il nuovo, e apertura alla decisione che interrompe la continuità. Percepire l’allarme per una difficilecomune sfida dischiuderà forse lo spazio politico di un’Europa che sa decidere. Un pericolo condiviso può fondare una sovranità effettivamente condivisa, sotto il segno dell’interruzione della normalità della legge. Le differenti potestatesindirectaedegli Stati e delle istituzioni europee costruiranno la decisione politica europea avvalendosi del venir meno, nel momento della crisi e del pericolo, della tradizionale linearità della storia e delle sue catene di comando? Pensiamo di sì. La sensibilità per il pericolo e per la vita nuova costituisce quella forza unita alla debolezza che l’Europa di questi tempi fraintende e capovolge. La forza sta nella nozione di un potere inteso come la capacità di far nascere qualcosa di nuovo, laddove l’Europa equivoca la forza nei termini di un potere inteso come pura imposizione, o come neutralizzazione formalistica. Solidarietà e integrazione Ora, la solidarietà nell’anima comunitaria impone di (ri)formulare in modo nuovo e creativo le identità territoriali, da re-interpretare in chiave non esclusiva né escludente. Si dovrebbe quindi rimanere fedeli all’apertura dell’oikos per stare in modo emancipativo dentro la globalizzazione. Ciò richiede: l’assunzione dei conflitti nell’ordine politico della serietà del reale e la loro rimozione dall’ordine della morale; la negazione del rigorismo sacrificale della ricerca costante del colpevole; il venir meno di quell’ossessione smascherante che eleva ogni problema locale a sintomo della Spectre malvagia degli arconti di questo mondo. Di più. Bisognerebbe saper pensare l’economia come un sistema di promesse che trasforma la dipendenza reciproca in una garanzia generale: tra cittadini-contribuenti di uno Stato membro con cittadini-contribuenti di un altro Stato membro; tra Stati membri diversi della stessa Unione. Obiettivo auspicabile sarebbe quello di trasformare il latente conflitto di sovranità in sforzo di cooperazione, in quanto i singoli interessi nazionali possono essere più efficacemente perseguiti in un contesto comunitario. Solo attraverso l’apertura di un vuoto al centro di ciascun ordinamento, si apre la possibilità di una sovranità sovranazionale, alla quale i singoli Stati non si sottomettono, ma si riferiscono. Il processo di integrazione comunitaria rappresenterebbe così un punto di riferimento fondamentale per la cooperazione a livello globale. E nel giusto equilibrio tra coordinamento sovranazionale e competizione internazionale, l’Europa riscoprirebbe l’anima solidale dei nostri Padri, risorti savi dall’orrido abisso del conflitto mondiale... Torna all'Appello  
997. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Gianfranco Leonetti e Umberto Triulzi  
2 APRILE 2020 Ipotesi di politiche economiche nazionali ed europee di condivisione dei fattori rischio di Gianfranco Leonetti e Umberto Triulzi  1.Introduzione Partendo dalla situazione di emergenza in cui si trova l’Italia a seguito della diffusione di Covid-19, formuliamo alcune proposte di politiche economiche da attivare nel brevissimo, breve-medio e lungo periodo per contribuire a riprendere il sentiero (smarrito da tempo) della crescita. La strategia non prevede un prima e un dopo, ma un programma unico di interventi finalizzato al conseguimento di due obiettivi: il primo, l’avvio in tempi brevi di interventi volti a fornire la liquidità necessaria alle famiglie, alle imprese, ai lavoratori, ai professionisti autonomi, per affrontare la situazione di emergenza e il lockdown di molte attività economiche e di sevizi ai cittadini e alle imprese; il secondo, il reperimento delle risorse necessarie alla ripresa della crescita (finance for growth) e l’indicazione di un percorso che ci conduca a un vasto piano di investimenti di medio-lungo periodo. L’orizzonte è di consentire alle imprese che operano nei settori delle infrastrutture materiali ed immateriali, della ricerca e sviluppo, dell’energia, dell’ambiente, della sanità, del manifatturiero e dei trasporti e dei servizi connessi alle nuove tecnologie di comunicazione, del turismo e dell’Housing sociale di disporre, terminata la fase dell’emergenza, di risorse finanziarie da destinare alla riqualificazione del capitale umano, al rafforzamento delle capacità produttive e allo sviluppo di nuovi modelli organizzativi, anche auspicando la partecipazione sociale dei lavoratori alle scelte delle imprese. La premessa necessaria, per dare sostenibilità alla proposta di politiche economiche qui avanzate, è che la guerra sanitaria in atto per il dilagare dell’emergenza sia vinta in un arco di tempo di breve-brevissimo periodo (nell’ipotesi più ottimistica fatta dal governo entro il mese di luglio, in quella più pessimistica entro la fine dell’anno 2020). Qualora, infatti, la situazione sanitaria dovesse prolungarsi in tempi più lunghi o addirittura aggravarsi, e non solo nel contesto italiano ma a livello europeo e globale, il quadro macroeconomico e sociale di riferimento delle politiche pubbliche verrebbe a cambiare in modo radicale, ed in questo caso le politiche qui esposte dovrebbero essere riviste in direzioni ed intensità oggi difficilmente prevedibili. Una seconda premessa è da collegare alla seguente considerazione. L’Italia e tutti gli Stati membri dell’UE sono oggi interessati da una crisi senza precedenti e con effetti di impatto sui sistemi economici che tenderanno ad aggravarsi con l’estensione delle misure di lockdown avviate a livello nazionale e che, evidentemente, non possono essere affrontate con interventi ordinari as usual. Occorre pensare a strategie di medio-lungo periodo e a riforme che siano condivise e che diano fiducia a tutti gli operatori economici e ai singoli cittadini. Non è, infatti, immaginabile proporre iniziative che possono riguardare solo pochi settori, sia su scala nazionale o europea, e non è solo la sanità che, alla luce di quanto sta accadendo nel nostro sistema ed in altri sistemi europei vicini al collasso, è da riformare e riprogrammare per fare fronte alle esigenze di prevenzione e difesa della salute pubblica. Anche i modelli economici e finanziari che hanno caratterizzato ed influito sulle dinamiche dei processi produttivi e di scambio a livello globale vanno profondamente riformati, partendo dalla rivalutazione e dal rafforzamento della presenza dello stato-imprenditore nella erogazione dei servizi da valorizzare perché di pubblico interesse (sanità, istruzione, infrastrutture e servizi strategici), e da modelli di business finanziario costruiti su una più ampia partecipazione del capitale pubblico e privato nell’approvvigionamento delle risorse finanziarie necessarie ad assicurare la realizzazione del piano industriale e di investimenti per la ripresa della crescita. Ben più complessa la riflessione sull’Unione Europea, costruita come Europa dei diritti, del libero mercato e della circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali, con un percorso in itinere di Unione bancaria, di Unione dei capitali e di Unione energetica, ma distantissima dall’avviare politiche fiscali e di bilancio comuni volte a consentire interventi di emergenza nei confronti degli Stati maggiormente colpiti dalla crisi sanitaria ed economica. I terribili momenti che viviamo devono spingere l’Europa a fare molto di più della sospensione momentanea delle regole di bilancio dell’eurozona, compreso il fiscal compact, o della sospensione (se pure limitata) del regime di aiuti, ma indurre i Paesi membri dell’Unione Europea a immaginare un bilancio pre-federale, l’introduzione semplice ma rivoluzionaria di un intervento pubblico nelle economie europee. Servirebbe una spinta verso un processo di unificazione politica europea, che porterebbe a valorizzare non solo l’Europa economica, ma l’Europa sociale e solidale, come luogo dei “Patres”, uniti nelle nostre specifiche e ineludibili diversità. 2. Il contesto italiano e il mood europeo: ipotesi di risk-spreading policies Questa guerra, che vede in prima linea uomini e donne, medici ed infermieri, addetti alle pulizie e operatori delle utility, operai, semplici cittadini e professionisti si vincerà solo accorciando i tempi, e avendo a disposizione la liquidità necessaria. Il fermo di molte attività produttive e commerciali in atto nel nostro paese, a cui occorre aggiungere nei prossimi mesi la chiusura di molte imprese trade oriented che non potranno esportare o rifornirsi sui mercati internazionali in conseguenza di misure analoghe avviate dai nostri partner commerciali, impongono di attivare misure straordinarie per fornire la liquidità di cui hanno bisogno le famiglie, i lavoratori e le imprese per superare la fase dell’emergenza. La natura della crisi economica e la recessione nella quale ci troviamo non hanno molti precedenti in letteratura. Le conseguenze indotte da uno shock dal lato della domanda (contrazione dei consumi) unitamente ad uno shock dal lato dell’offerta (contrazione della produzione), potrebbero scatenare una eventuale e non auspicabile instabilità finanziaria e innescare un deleveraging globale. Sicuramente i danni maggiori saranno avvertiti dai paesi che più dipendono, come il nostro, dagli scambi commerciali internazionali, dai paesi che non sapranno evitare i fallimenti delle proprie imprese, ancor più se di piccole dimensioni, o mantenere la base occupazionale proteggendo il reddito e il valore del lavoro autonomo dei commercianti e dei professionisti, e quindi non in grado di proteggere il loro sistema previdenziale. Gli effetti che la crisi avrà sull’inflazione sono sicuramente in una prima fase deflattivi, ma gli impatti successivi saranno da valutare con attenzione perché dipenderanno da chi, tra i paesi colpiti, saprà più rapidamente riavviare i motori della crescita. In assenza di collaborazione e di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri dell’UE è anche possibile immaginare il diffondersi di focolai inflattivi in Europa. La buona notizia, ci auguriamo, è quella di uscire prima di altri paesi dal lockdown e quindi iniziare a ripartire. Relativamente al fabbisogno di liquidità, per sopperire al crollo dei ricavi e delle entrate tributarie ed extra tributarie, per erogare misure di sostegno e per sopperire al fabbisogno ordinario dello Stato (spese correnti, spese per interessi sul debito, spese in conto capitale, rimborso prestiti), formuliamo una ipotesi oscillante tra i 70-80 miliardi di euro al mese. La presenza di un piano anti-spread Omt (Outright monetary transaction) per l'acquisto di titoli di Stato a sostegno dell'economia dell'Eurozona sterilizzerebbe lo spread italiano, non influenzando negativamente e ulteriormente il servizio del debito pubblico, e quindi i ratio patrimoniali degli istituti di credito. Gli interessi a servizio del debito dell’Italia erano calcolati per l’esercizio 2020 in circa 80 miliardi di euro, con un avanzo primario previsto di oltre 66 miliardi di euro. Sia l’ammontare del debito che gli interessi connessi, saranno da ricalcolare e, sicuramente, non potrà essere considerato attendibile il dato dell’avanzo primario programmato. Immaginando che l’emergenza possa terminare in pochi mesi, come tutti noi ci auguriamo, si tratta di dovere reperire liquidità, per il periodo aprile-luglio (è l’ipotesi più ottimistica), tra i 280 e i 320 miliardi di euro, e una extra liquidità per l’uscita dalla crisi (interventi di garanzia al credito, sostegno al credito, tutela delle aziende strategiche, defiscalizzazioni per il rafforzamento del capitale delle imprese, interventi nelle filiere produttive più collegate agli scambi commerciali internazionali, interventi nei territori maggiormente penalizzati, misure e piano strategico di rilancio del paese, istituzione di soggetti pubblici di partecipazione) è quantificabile in almeno altri 100 miliardi di euro, da utilizzare nei mesi successivi. Una liquidità imponente da reperire a debito, o attraverso linee di credito, o emissione di debito sovrano, o accordi internazionali di supporto. Reperire liquidità nell’Eurozona ricorrendo al MES, senza modifiche delle regole previste, non avrebbe che delle condizionalità parziali e molto rigorose per l’Italia, oggi definite dall’art.12 del Trattato istitutivo. Reperirla attraverso l’emissione di Stability bond senza condizionalità è la strada auspicabile, perché non aprirebbe ad un percorso di mutualizzazione dei debiti, ma rafforzerebbe l’unificazione politica europea, oggi fortemente avversata da molti Stati europei, privi di una visione strategica ed ingabbiati in regole e trattati di difficile riscrittura. I valori messi in campo in quota parte per i 19 paesi Membri dell’Eurozona potrebbero non essere sufficienti e, comunque, in assenza di modifiche alle regole di funzionamento dell’Unione Europea e dei Trattati istitutivi, l’Europa rischia di arrivare tardi o di non arrivare affatto rispetto alle nostre necessità e a quelle del sistema delle imprese. Auspichiamo maggiore consapevolezza e responsabilità nelle Istituzioni europee per le difficoltà che stiamo vivendo, anche se il mood non ci pare essere quello auspicato nella convinzione che l’assenza di un progetto europeo di condivisione di risk sharing, minerà qualsiasi disegno futuro di Europa solidale, anche dal punto di vista delle politiche monetarie, mettendo a rischio la stabilità finanziaria dell’eurozona, mentre sarebbe opportuno da subito lavorare ad un piano congiunto europeo per l’emergenza e per programmare le necessità future. Partendo quindi da ciò che ci unisce e non ci divide crediamo che l’Europa debba arrivare velocemente ad adottare modelli di risk-spreading policies, per attenuare l’impatto derivante da shock macroeconomici, anche ricorrendo a strumenti di debito. Un primo possibile strumento europeo di Risk sharing europeo può essere rappresentato dal Piano di investimenti per l’Europa Sostenibile (Sustainable Europe Investment Plan), proposto nell'ambito del “Green New Deal” e presentato a dicembre del 2019 dalla Presidente della Commissione Europea Ursula don Der Leyen. Nel piano che prevede di mobilitare investimenti pubblici e privati per almeno 1000 Miliardi di euro confluiscono risorse finanziarie provenienti da fondi UE che coprirebbero circa la metà del bugdet, da co-finanziamenti nazionali, a cui si aggiungono 279 miliardi mobilitati da investEu, con il coinvolgimento della Banca europea degli investimenti e delle National Promotion Banks and Institutions, ovvero le CDP dei singoli stati membri dell’UE. Negli obiettivi della neutralità climatica, a queste risorse si andrebbero ad aggiungere un co-finanziamento nazionale per altri 114 miliardi, oltre i ricavi del mercato europeo delle emissioni (circa 25 miliardi di euro). Nella programmazione finanziaria europea 2021-2027, per sostenere la transizione delle economie dei paesi membri verso la neutralità climatica, è previsto inoltre un “Meccanismo per una transizione giusta”, che dovrebbe mobilitare altri 145 Miliardi di euro nel decennio. Riteniamo che basterebbe prevedere di moltiplicare il piano di investimenti esistente per giungere ad un piano Europeo per la transizione energetica e per la realizzazione di un New Green Deal per un valore di oltre 5000 miliardi di euro in 10 anni e per modificare alcuni elementi costitutivi del piano fino ad ora immaginato per trasformarlo in una Risk-spreading policy. Occorre aumentare la partecipazione dell’Unione Europea dai previsti 250 miliardi di euro del budget EU fino a 1500 miliardi, da  finanziare con l’emissione di Stability Bond emessi dal Fondo Europeo degli Investimenti, sotto l’egida della Banca europea degli investimenti e con la garanzia delle Istituzioni europee, a cui unire la partecipazione degli intermediari finanziari e di credito europei. Ovviamente prevedendo l’inclusione di una regola verde per la quale gli investimenti degli Stati membri a favore della sostenibilità e per il contrasto ai cambiamenti climatici saranno esclusi dai calcoli del deficit di bilancio e i fondi strutturali vedano, per la prossima programmazione, elisa la partecipazione del cofinanziamento degli Stati e delle Regioni. Avere a disposizione di tutta l’area euro un piano di una tale portata in una visione condivisa per la transizione verde e lo sviluppo, indicherebbe una prospettiva futura di crescita e di creazione di valore per l’intera Unione Europea. Un nuovo e vero New Green Deal i cui beneficiari non sarebbero solo gli attori dell’energia e le utility, ma i settori dei mezzi di trasporto, dell’edilizia, della chimica, dei metalli, dell’elettronica ed elettrotecnica, oltre all’informatica e innanzitutto gli enti locali. Inoltre, uno strumento di Risk sharing, tra gli strumenti finanziari già presenti nel panorama europeo, è sicuramente l’ELTIF, che necessiterebbe subito di una modificazione del regolamento istitutivo, per ampliare le attività di investimento ammissibili (anche in società con maggiore capitalizzazione) e con la previsione non eventuale, ma certa, della partecipazione della BEI negli strumenti di Long-Term Investment. A questi primi esempi da attivare devono seguire rapidamente altre Risk-spreading policies. 3. Una risposta di tutti a sostegno del nostro futuro La strada indicata rafforzerà la credibilità dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri ma non impatta sulle necessità di liquidità, e pertanto va accompagnata da altre iniziative urgenti. Sovente quando la realtà si presenta nella sua durezza, si cercano delle scappatoie e la tentazione di trovare dei salvatori della patria rischia di prevalere e di indurre a errori irreparabili. La forza del nostro paese è di avere costruito relazioni euro atlantiche solide, di essere il luogo del dialogo nel Mediterraneo, aperto ad Est come la nostra storia millenaria ci racconta. Ma quando si parla di debito, non si parla solo di rapporti e di relazioni, bensì di sovranità, e chi detiene il debito di uno Stato ne limita la sovranità. Qualsiasi tentativo di accordi unilaterali di sostegno al nostro debito sovrano sono da attenzionare, un monito chiaro per i policy maker, ricordandoci un antico adagio, che recita con chiarezza “il formaggio gratis, si trova solo nelle trappole per topi”. Le operazioni di Emergency Liquidity Assistance svolte dalla Banca di Italia, per tramite del sistema europeo delle banche centrali, costituiscono uno strumento straordinario per finanziare le istituzioni bancarie in crisi di liquidità e per assicurare condizioni ordinate sul mercato. Ma i bisogni di liquidità necessari a supportare le impellenti politiche fiscali sono di dimensioni ingenti. Occorrono linee di liquidità ben superiori agli 11 miliardi di euro che la Commissione Europea non richiederà all’Italia per il mancato utilizzo delle risorse dei fondi strutturali assegnati nella programmazione 2014-2020, o eventuali sterizilizzazioni o estensione di utilizzo di altri fondi strutturali. Intanto, avanziamo la proposta di richiedere alla Commissione Europea il permesso di utilizzare per almeno 12 mesi le risorse del Fondo sociale europeo anche in politiche passive, e non attive, per fornire ulteriori strumenti di sostegno al reddito. Il ricorso all’emissione di ulteriore debito, senza un paracadute europeo, deve essere attentamente valutato per evitare che il paese perda l’investment grade delle principali Agenzie di Rating e la fiducia dei mercati, con una attenta politica di Emergency Liquidity Assistance della  Banca d’Italia e, a nostro parere, con la partecipazione dei risparmiatori italiani. L’emissione di titoli del debito pubblico nell’ordine di 10-20 punti di Pil (178/356 miliardi di euro), come recentemente proposto anche da autorevoli economisti, è immaginabili solo in presenza due condizioni: - un collocamento riservato e interamente sottoscritto dai risparmiatori e dalle famiglie italiane - un piano di investimenti credibile per la ricostruzione, il rilancio e la semplificazione del paese. Proponiamo l’emissione di un primo BTP “Crescita Italia” indicizzato all’inflazione europea riservato solo ai detentori del capitale paziente italiano, in particolare i fondi negoziali chiusi, i fondi negoziali aperti, i fondi preesistenti e le Fondazioni bancarie. I titoli di Stato forniranno agli investitori una protezione contro l’aumento del livello dei prezzi e cedole pagate semestralmente, avranno una durata temporale tra i 15 e i 30 anni, per non confliggere con i criteri prudenziali indicati dai Regulators e avranno per i primi dodici mesi la sterilizzazione delle cedole. Un piccolo sacrificio per contribuire al rilancio dell’economia italiana, a cui seguirà una seconda collocazione rivolta direttamente ai risparmiatori italiani, detentori di una massa di liquidità pari ad almeno 1400 miliardi di euro, e alle famiglie italiane la cui ricchezza finanziaria è oltre 8 volte il Pil nazionale. Il titolo di Stato non avrà capital gain per tutta la sua durata. Grazie al meccanismo di indicizzazione utilizzato, alla scadenza verrebbe attivata una grande operazione di fixed-income nella quale si riconosce ai possessori il recupero della perdita del potere di acquisto realizzatasi nel corso della vita del titolo, ma contestualmente viene avviata una grande opera di sostegno al paese, con l’abbattimento per 12 mesi del servizio all’extra debito, chiamando gli attori previdenziali, assicurativi e i cittadini a finanziare un piano di fiducia e di coesione per la stabilità finanziaria del paese. Ma anche chiamando le parti sociali e le parti datoriali unite nello spirito della bilateralità a contribuire al rilancio del sistema economico nazionale. Accanto a questo intervento di liquidità, auspichiamo, come già proposto da alcune personalità politiche, che si attivi un luogo di supporto bipartisan alle scelte strategiche ed economiche del Governo, per realizzare una proposta per il lavoro e un piano credibile di rilancio della nostra economia. La complessità delle scelte da effettuare nel nostro paese richiede di trovare un solido accordo di governance tra i partiti al governo e i partiti all’opposizione, sotto l’egida del Capo dello Stato, che rappresenta l’unità nazionale. Proponiamo l’istituzione di una Commissione strategica per il lavoro e per le imprese, come già avvenuto in passato per motivi differenti e in momenti diversi della storia repubblicana, presso la Presidenza della Repubblica Italiana. Non si uscirà dalla recessione e dalla trappola della bassa crescita e, quindi del debito, se non attraverso la partecipazione e la collaborazione delle componenti più rappresentative dell’economia e della società italiana. Perché questa iniziativa abbia successo è importante che siano condivisi gli obiettivi che si intendono raggiungere e il ruolo che ogni istituzione partecipante potrà assumere. Lo Stato deve essere l’attore principale della proposta e deve intervenire con strumenti nuovi, dei quali si sarebbe già potuto dotare in precedenza. E se rassicura il Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), il nuovo programma di acquisto per l’emergenza pandemica varato dalla BCE che riforma la regola aurea dei limiti di acquisto per emittente, con la specificazione che gli oneri del sovraindebitamento ricadranno sui conti pubblici dei singoli stati Membri, dell’Italia in particolare, e solo in parte sull’Europa. I decisori italiani si presentino ai partner europei e ai mercati con un credibile piano di rilancio e con un cambio di strategia nelle politiche di stabilizzazione del debito. Saranno allora ascoltati e avranno la forza per chiedere di cambiare le regole europee e per liberarci dalla trappola del debito. Il valore del lavoro e la tenacia degli italiani aspettano solo di essere indirizzati da una classe dirigente credibile per affrontare le sfide in campo energetico, per la promozione delle tecnologie abilitanti e dei cambiamenti climatici, per la tutela del patrimonio culturale e artistico, per il rilancio di un turismo unico al mondo, per lo sviluppo della sostenibilità ambientale e per l’eliminazione delle nuove povertà, per l’avvio di un piano di housing sociale e per la realizzazione di infrastrutture strategiche e innovative che ci ripongano al centro del Mediterraneo e dell’Europa. Non solo una richiesta per interventi di emergenza, ma una proposta accompagnata da un piano nazionale ed europeo per fare ripartire un paese fermo nella crescita da troppi anni e che intende onorare, come sempre ha fatto, i propri impegni. Torna all'Appello  
998. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Marco Emanuele  
18 MARZO 2020 In virus veritas. Per una Europa-in-comune di Marco Emanuele (18 marzo 2020) Come di fronte a ogni virus che si rispetti, i confini fisici si sciolgono come neve al sole. Eppure la nostra idea di confine, di ciò che traccia una chiarissima separazione tra noi e gli altri, tra gli amici e i nemici, tra la civiltà e la barbarie, tra la purezza e l’impurità, è ancora lì a farla da padrona. Illusi che alzando i confini vinciamo la paura e guadagniamo in sicurezza, L’Europa rischia di essere solo una sommatoria di trincee. Eppure abbiamo lottato tanto, creduto nell’Europa come possibilità transnazionale di ripensamento di democrazie rappresentative, e nazionali, in evidente crisi de-generativa. Ancora oggi, lo diciamo con amarezza, è con noi l’annoso problema di collettivi umani che non si sentono rappresentati, che faticano a sentirsi comunità. Perché, diciamolo chiaramente, nella politica che conosciamo abbiamo lasciato troppo poco spazio al sentimento, a quel “mistero istituente” che abbiamo sacrificato sull’altare di un realismo senza respiro storico. Ed eccoci qua, società dedite alla esasperazione dell’immunitas verso un nemico molto spesso immaginato (i migranti) o invisibile ma molto reale (il virus). Ben considerando la pratica dell’immunizzarsi come un qualcosa che ci appartiene nel difenderci, scopriamo – attraverso il virus di turno – la nostra verità profonda. In virus veritas. Siamo impauriti, smarriti, incapaci di cogliere le possibilità in una incertezza che, volentieri, viviamo come insicurezza. Un passo alla volta. È chiaro che, per uscire dal virus, occorre che i tutti Paesi europei si uniformino nell’adottare le misure che stiamo vivendo in Italia. Il virus, infatti, non ha preferenze di nazionalità: attacca indistintamente. Ciò che non vorremmo, invece, è che il distanziamento sociale, necessario in questa fase, diventasse, nell’Europa del dopo-virus, una pratica di vita, che si cogliesse l’occasione per ribadire l’ “ognuno a casa propria”. Di fronte alle sfide planetarie, infatti, non vale più l’idea di “piccole Patrie” come zattere nell’oceano della storia. L’appello libero che abbiamo sottoscritto, “Per l’esistenza dell’Europa”, chiama in causa ciascuno di noi. I decisori politici, i rappresentanti delle Istituzioni, i diplomatici, gli economisti, gli scienziati,  gli imprenditori, i comunicatori ma, soprattutto, noi intellettuali.  Se consideriamo il virus, fenomeno planetario, come un punto di svolta, ne viene che vi è la responsabilità di immaginare un “dopo” che è già nell’ “ora”. Ogni voce si sente meglio se entra in dialogo con ogni altra e se, nell’elaborare contenuti e visioni, esce dall’autoreferenzialità e con-divide il “comune”. Per questa ragione, immergendoci nel dopo, val bene rivolgere un appello nell’appello. Si colga questa occasione per costituire una rete internazionale, informale e libera, di intellettuali per l’Europa-in-comune; va dato un segnale chiaro e forte da parte degli intellettuali che intendano, con gli uomini di buona volontà, assumersi il carico di costruire il futuro-nel-presente, aderendo all’idea mirabilmente espressa da Panikkar di “tempiternità”: è la nostra grande storia a essere messa in gioco come potenzialità che vorremmo diventasse possibilità. Per fare questo è necessario aprirci a sguardi davvero e profondamente progettuali. Noi intellettuali possiamo lavorare insieme per far nuovamente respirare il realismo. Domandiamoci: di cosa ha bisogno l’Europa ? Non basta più dire che la bellezza e la cultura salveranno il mondo, quasi che la loro sola esistenza costituisse una giustificazione alla inazione. La bellezza e la cultura devono uscire dai libri e dai musei per alimentare decisioni strategiche comuni in una Europa la cui realtà (solo) intergovernativa non è né sufficiente né inevitabile. L’Europa ha bisogno, anzitutto, di ritrovare la sua anima. Chi scrive è allievo intellettuale di un Maestro che, da partigiano, ha combattuto per la libertà. Questo, insieme a molte altre cose che altri potranno sottolineare, basta per dire che chi firma questa riflessione intende rappresentare un tassello di un mosaico di responsabilità che va progressivamente allargato: la libertà non si costruisce chiudendosi in casa, al sicuro ma vive nell’oltre del livello di immunizzazione necessario. La libertà è un rischio e l’Europa deve correre il rischio di essere un soggetto strategico nella storia planetaria. Il ruolo degli intellettuali e degli accademici può farsi storico in un’alleanza con i rappresentanti politici, delle istituzioni, dell’impresa e della scienza. Collocandoci noi sul piano di immaginare il principio di un’anima europea coesa perché con-divisa, vanno ripensati una serie di punti. Come si può costruire un’Europa davvero comune dal punto di vista istituzionale ? Qui non è solo questione degli Stati (peraltro, l’idea stessa di Stato-nazione presenta evidenti limiti strutturali e forse è venuto il tempo di una sua problematizzazione) ma di immaginare anche nuove forme di rapporti tra il centro del potere europeo e i centri territoriali (le città, le regioni) in una logica complessa, non più solo top-down. Le tecnologie dell’innovazione giocano un ruolo crescente, soprattutto in questa fase critica, per aiutare a trovare soluzioni sempre migliori per garantire il benessere dei cittadini. Se l’Europa deve avere un suo ruolo nella “guerra fredda” in atto a livello planetario per il controllo delle tecnologie dell’innovazione, attraverso queste ultime si possono migliorare possibilità di con-divisione critica del progetto europeo verso forme di cittadinanza più consapevoli e, come si diceva prima, per aiutare l’Europa a diventare progressivamente, dal punto di vista istituzionale, una “casa comune”. A queste idee, naturalmente, vanno associati i grandi progetti strategici, e pluriennali, che il livello europeo richiede nei campi della politica estera e della diplomazia, della fiscalità, del mercato del lavoro, della difesa, dell’intelligence, delle infrastrutture. Mai dimenticando, in conclusione, che l’Europa può reggere solo a condizione che la coesione e la resilienza dei singoli contesti nazionali siano inquadrate in più ampie resilienza e coesione transnazionali. Nell’essere realisti, con chi ci sta. Torna all'Appello  
999. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Alessandro Figus  
19 MARZO 2020 Unione europea, solo un club? di Alessandro Figus Che cos’è l’Unione Europea? Quali sono le sue prospettive? Intorno a queste domande naturali si possono articolare una pluralità di strade, si potrebbe rispondere che l'Unione Europea è oggi un gruppo di 28  Paesi i cui singoli governi nazionali operano insieme e che, dopo la Brexit, è sceso a 27. Per il futuro, è inutile fare previsioni. Qualcuno sostiene che l’Europa sia da vedersi come un “club” di Paesi che sono d’accordo a seguire determinate regole al fine dell’ottenimento di definiti benefici e che per far parte del club si debba pagare una tassa di iscrizione, cioè pagare delle tasse. L’incasso delle quote serve a regolamentare la vita dei membri del club, che non sono gli Stati, ma i cittadini europei, ma essere parte dell’Unione europea rafforza il potere mondiale di tutti loro sia dal punto di vista economico, finanziario nonché politico. Ma davvero l’Unione Europea è un club? Mi sembra semplicistico parlare in tali termini dell’Europa, eppure talvolta appare come tale, quando non si comprende cioè che la sfida per gli anni futuri non è quella del rafforzamento della sua struttura o quella che continuiamo a chiamare la strada verso l’integrazione europea, ma il consolidamento dell’idea di Europa - nazione. Per fare questo non vedo altra via che lasciare il percorso che identifica l’Europa come la somma dei 27 Stati membri per imboccare, attraverso le riforme nuove, politiche comunitarie imprescindibili per coinvolgere i cittadini in una polis europea realmente transnazionale fondata sui valori della solidarietà, della democrazia, dell’uguaglianza e, soprattutto, del rispetto dei diritti umani e politici. Il problema della partecipazione politica resta al centro dell’attenzione; gli sforzi del Parlamento europeo e della Commissione per organizzare delle vere campagne elettorali europee, fino ad oggi, non hanno rafforzato la partecipazione degli elettori. È sempre mancata la campagna elettorale comunitaria, incentrata su questioni e programmi comunitari e promossa da partiti europei. Le diverse concezioni politiche sono state poste invece da gruppi e partiti politici nazionali che hanno proposto campagne nazionali concentrate principalmente sui problemi nazionali e non su problemi transnazionali europei. Nei prossimi anni questa è la sfida che il Parlamento europeo dovrà affrontare; intorno alla partecipazione dovranno ruotare le campagne di sensibilizzazione dei cittadini e di informazione per far conoscere effettivamente il ruolo istituzionale dell’Europa;  sul piano politico il livello europeo dovrà completamente sostituirsi al livello nazionale con candidati e relative campagne elettorali inquadrate sui temi dell’Europa. Superare i regionalismi a favore di una politica europea deve diventare una priorità trasmettendo nei cittadini nuovi interessi, evidenziando la necessità di una individuazione in un voto europeo. Superare il processo culturale che si fonda sulla peculiarità di identificarsi nel territorio non vuol dire dimenticare i caratteri etnici, linguistici e storici, cioè culturali di quel popolo su quel territorio coincidente con un determinato Stato nazionale, ma significa piuttosto superare i soli obiettivi regionalistici e quindi nazionalistici per approdare ad una Unione europea che tenga conto di tutti i fattori regionalistici e che, sulla via della sua integrazione, si trasformi a pieno titolo nell’Europa delle regioni. Questo è l’unico progetto politico realizzabile concretamente in tempi brevi e che si contrappone ancor oggi all’ “Europa delle Patrie” di De Gaulle e all’ “Europa degli Stati” che, ancora recentemente, si è riproposta all’attenzione dell’opinione pubblica europea; sono strade, queste ultime, oggi poco perseguibili, soprattutto per quella punta di utopia che non può contraddistinguere la “pragmaticità” operativa di una Europa che non ha tempo di credere in ideali di fatto irrealizzabili. Sul piano politico, e del rafforzamento in genere del suo sistema, si ha come conseguenza l’esigenza della nascita di un nuovo sistema elettorale comunitario con partiti che si propongono al solo livello europeo, con liste di candidati europei scelti sulla base della legittimità democratica e che si confrontino in un dibattito politico che affronti le differenti questioni europee. L’Unione europea non può più essere la sola somma dei partiti e candidati nazionali, lo spazio geografico dovrà coincidere con lo spazio politico. Solo così l’Unione Europea diverrà un vero attore a livello mondiale concretizzandosi l’effettiva integrazione europea. Ecco perché durante la nuova legislatura, il Parlamento dovrà occuparsi anche di questo, tentando di elaborare le riforme del sistema elettorale del Parlamento europeo. Auspico fortemente che ci si preoccupi di elaborare un nuovo sistema elettorale per le prossime elezioni europee. Non si può certo dimenticare che l’Unione Europea è stata concepita dai membri fondatori come un ente ad attuazione progressiva, cioè una comunità organizzata specificatamente nel settore economico, che fosse in grado di realizzare a mano a mano una concreta unione tra popoli europei, al fine di raggiungere il miglioramento non soltanto economico, ma anche sociale e politico. In questo contesto si inquadra il sistema elettorale che deve avere uniformità, senza trascurare i valori essenziali della vita politica degli Stati membri, al fine di difendere la rappresentatività del Parlamento dai calcoli politici all’interno di esso. Il cambiamento della legge elettorale presuppone comunque anche un adeguamento istituzionale del l’Assemblea che andrebbe vista non più come soggetto composto di rappresentati dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità, ma piuttosto come Parlamento della nazione-Europa, formata dai rappresentanti dei cittadini europei, espressione dunque del popolo europeo. In Europa in cui crescono le identità regionali e dove sono ancora forti gli aspetti nazionalistici, l’identità europea resta purtroppo ancora debole, molto più debole di tutte le identità nazionali dei cittadini europei. È proprio grazie ai regionalismi che si rafforzano le identità regionali all’interno dei singoli Stati nazionali rafforzando l’Europa federale. Partendo da queste condizioni ambientali la riforma federalista dell’Unione europea si concretizza e fornisce la ricetta per raggiungere l’identità europea, pur mantenendo - nell’ambito di una struttura evidentemente sovranazionale - tradizioni e identità culturali legate al territorio. Penso, come esempio, alla realizzazione di infrastrutture vitali come il quinto corridoio europeo Lione-Torino-Trieste-Kiev, simbolo di un’Europa trans europea, di un’Europa delle regioni che pensa allo sviluppo locale guardando a comuni macro strategie. Appare evidente, in conclusione, che la costruzione di un Parlamento concretamente europeo passa attraverso la crescita di poteri e che non vi potrà essere trasferimento di sovranità se si dovesse eludere il principio democratico basato sui valori della solidarietà, della democrazia, dell’uguaglianza e del rispetto dei diritti umani, giuridicamente correlati al consolidarsi dei suoi poteri, luogo di equilibri istituzionali. Alessandro FIGUS Cattedra di Diritto dell’Unione Europea, Link Campus University Pro Rettore per la relazioni Internazionali e la Integrazione europea dell’Istituto Internazionale di Management, Moldova Pro Rettore all’Internazionalizzazione della Università di Stato del Nord Kazakhstan Torna all'Appello  
1000. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Pierluigi Maria Dell’Osso  
20 MARZO 2020 di Pierluigi Maria Dell’Osso Europa o non Europa: questo è il problema, senza mezzi termini, in tempi di nefasto contagio virale dilagante. L'Unione Europea, che è parte dell'Europa geografica, si trova di fronte a una di quelle prove storiche che temprano e rafforzano oppure uccidono. Nella seconda metà del secolo scorso, con il "patrocinio" dell'immane tragedia della guerra, dalla lungimiranza e e dall'alto intelletto di pochi, fra i quali illustri italiani, prese forma l'idea di inediti legami supernazionali: e ciò, in quella stessa area che era stata teatro di scontro titanico fra stati nazionali e di spargimento di sangue, quale mai s'era visto in passato in sì ristretto lasso temporale. Per secoli, del resto, la storia europea era stata scandita da odi inesausti, da contrapposizioni insuperate, da guerre feroci. E, dunque, la scommessa dei  progenitori dell'Unione Europea poteva apparire più un temerario volo intellettuale che una concreta prospettiva. La storia millenaria le si ergeva contro, le negava, quasi ontologicamante, vie, perfino speranze, di sviluppo. Eppure, l'idea di imporre alla storia una svolta più che epocale sopravvisse, raccolse crescenti consensi, riuscì a progredire, passo dopo passo, un traguardo dopo l'altro, superando ostacoli formidabili e scetticismi d'ogni ordine e grado. In un pugno di decenni, si trasformò da rete di legami commerciali, inizialmente settoriali, in mercato comune; poi, con un mirabile salto in avanti, in Comunità europea, in Unione europea. Innumerevoli sono stati i momenti di criticità, di ripensamento, di aperta ostilità, di egoismi nazionali paratisi sul difficile tragitto dell'Unione, ma il processo è andato avanti, la volontà di unione è stata superiore a quella di separazione. Le lamentazioni sui ritardi, sulle contraddizioni, sulle discrasie di vedute si sono levate ad ogni piè sospinto, dimenticando il punto di partenza: l'atroce scenario di macerie prodotto dalla seconda guerra mondiale. Non si può certo dare un'idea riduttiva del sofferto percorso, del divenire spesso impervio, della dialettica, non di rado caratterizzata da asperrime polemiche. M'è occorso, quale componente, per molti anni, della Rete Giudiziaria Europea,  di vivere i tempi delle interminabili discussioni su temi che urticavano la gelosa difesa delle sovranità nazionali. Non è stato facile giungere all'adozione del mandato di arresto europeo, delle squadre investigative comuni, di Eurojust e della stessa iniziale Rete Giudiziaria Europea. Pure, ci siamo arrivati e, paradossalmente, non pochi dei paesi apertamente scettici, quando non ostili, hanno poi utilizzato gli strumenti comuni, provvidamente e con grandi risultati. Senza alcuna supponenza, si può osservare come l'Italia sia stata in primo piano, in virtù della esperienza di cui era portatrice: contro la criminalità di stampo mafioso, il terrorismo brigatista, i gravi delitti economico-finanziari. L'assistenza giudiziaria endoeuropea è uno strumento, via via affinato, che va dimostrandosi sempre più imprescindibile, giacchè la grande criminalità organizzata ed i più complessi contenziosi civili non conoscono certo confini e frontiere. Ebbene, men che meno, li conoscono batteri, virus, epidemie. Ed ancora una volta l'Italia si trova in prima linea, nella battaglia che coinvolge l'Europa ed il mondo intero, i quali guardano alla nostra dolorosa esperienza, sempre più spesso mutuandone linee di condotta e strategie. E proprio questo è il punto. La guerra con l'inedito virus ingravescente non può essere vinta in solitario: tutte le evidenze conclamano l'esigenza di univocità di risposte e di solidarietà transnazionale. Ecco la tremenda congiuntura storica che ci si para innanzi, ben  di là dei confini nazionali. È in ciò stesso il senso delle parole che sono al principio di queste considerazioni. L'Unione Europea, che è tuttora in cammino, avendo davanti a sè un lungo percorso, non può, ora, indugiare né tollerare incertezze e divisioni. L'Europa, sorretta dall'unità d'intenti dei suoi paesi membri e dai relativi apporti convergenti, deve inderogabilmente mostrarsi all'altezza della saevitia temporum e dell'alto ubi consistam perseguito dai fondatori: deve essere centro fondamentale di resistenza e di riuscita, valore aggiunto straordinario allo sforzo dei singoli stati. La pandemia, come tutto ciò che natura origina,  ha avuto un inizio ed avrà una fine. Purtroppo, resteranno sul campo tante vittime incolpevoli. Il gravissimo rischio è che possa registrarsi fra tali vittime anche l'idea dell'Europa unita, la quale non ha scelta: o si dimostra strumento di forza e di forte capacità aggregatrice oppure perisce, lasciando la traccia di  un nobilissimo ideale, che, dopo un difficile, ma tenace, percorso di crescita, si sarà, alfine, rivelato, per l'insipienza colpevole degli umani, un'utopia. E chi scrive confida fermamente che ciò non accada. (19 marzo 2020) Torna all'Appello  
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