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1441. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Favorita Barra  
14 APRILE 2020 Non vi è dubbio che il vecchio nomos stia venendo meno, e con esso un intero sistema di misure, di norme e di rapporti tramandati. Non per questo tuttavia, ciò che è venturo è solo assenza di misura, ovvero un nulla ostile al nomos. Anche nella lotta più accanita fra le vecchie e nuove forze nascono giuste misure e si formano proporzioni sensate. Carl Schmitt, Terra e mare, 1942  Di Favorita Barra  Il veloce diffondersi a livello globale del Coronavirus ha dissodato i già precari equilibri della vita; risulta dirompente l’urto con la fragilità della condizione umana.  La contaminazione di gran parte della popolazione mondiale non conosce barriere. Mentre il virus si propaga, gli Stati si chiudono nei loro confini. Il contagio, come è noto, comporta che gli uomini si isolino l’uno dall’altro. La prospettiva di vita e la vita stessa si condensano nella distanza dall’altro1.  Il microcosmo delle relazioni tra gli individui trova un duplicato nei rapporti interstatuali.  Più specificamente, in ambito europeo, la gestione della crisi sanitaria ed economica prodotta dallo scatenarsi dell’epidemia non si è articolata su di un fronte comune e la trattativa relativa alle misure necessarie da adottare per affrontare l’emergenza appare un’impresa gravosa.  È necessario rilevare che da sempre i corpi politici hanno messo in atto una pratica costante di immunizzazione delle minacce provenienti dall’evento non sussumibile in una previsione.  Il percorso verso la ricostituzione di un equilibrio perennemente in bilico si è manifestato storicamente attraverso differenti dinamiche, le quali hanno cercato di garantire l’esistenza e la conservazione identitaria, dapprima dei sistemi embrionali e, successivamente, delle società sempre più complesse. Come Roberto Esposito ha osservato, risiede in questo procedimento il “perno di rotazione simbolico e materiale” di ogni sistema sociale2.  In tale ottica, la situazione attuale ci invita a riflettere, partendo proprio dalla gestione della crisi a livello europeo, sull’esistenza di un’anima politica dell’Europa, retta da uno spirito di solidarietà e fratellanza tra gli Stati.  Il recente dibattito sugli Eurobond darebbe, viceversa, una fotografia dell’Unione Europea, come un insieme di “piccole patrie” portatrici di egoismi nazionalistici.  Di forte attualità sono le parole che, alla fine delle prima guerra mondiale, Hans Kelsen ha scritto in un saggio dedicato al “pacifismo giuridico”: «compito infinito del giurista che voglia realizzare la civitas maxima è quello di smantellare la categoria della sovranità degli Stati»3.  Del resto solo il superamento del concetto di Stato-Nazione può condurre a ripensare l’Europa in chiave di inedito. E l’inedito consiste nel porre limiti alle politiche di austerità a beneficio del pareggio di bilancio e alla continua opposizione tra paesi creditori e paesi debitori.  Eppure non si fa altro che collocare lo spazio politico europeo in un orizzonte concettuale già noto, vincolato alle categorie della tradizione costituzionale degli Stati-Nazione.  Tuttavia nel momento in cui l’emergenza non fa altro che marcare nuovamente le distanze e le divisioni tra gli Stati, si fa acceso il dibattito sulla necessità di promuovere una “Costituzione della Terra”, un patto a garanzia del rispetto dei diritti fondamentali, dei beni comuni e della vita di ogni individuo4. D’altronde se i diritti fondamentali costituiscono, da un lato “limiti” del potere, dall’altro,  vincolano ad azioni condivise, ispirate ai principi di solidarietà e fratellanza.  Emblematiche sono le parole di Jürgen Habermas nell’affermare che solo la solidarietà può liberarci dall’odio che scorre tra paesi creditori e debitori dell’Unione e che, neanche la recente catastrofe sanitaria ed economica sembra riuscire a scalfire5.  La solidarietà è un principio, che appartiene alla dimensione costituzionale, ma è anche un processo. Essa esige, per verso, un ambiente abilitante, inteso come condizioni e strumenti istituzionali diretti all’attuazione di pratiche solidali, per l’altro, che gli Stati, nonché le persone che li rappresentano abbandonino egoismo ed individualismo.  È palese la contraddizione in cui l’Unione Europea si incaglia nel momento in cui esclude dal suo quadro istituzionale la Carta dei diritti fondamentali, che ai sensi dell’art. 6 del Trattato di Lisbona “ha lo stesso valore giuridico dei trattati”. Si rileva una scissione tra ciò che è affermato nei Trattati  e quel che appare un rifiuto istituzionale di assumere decisioni, che promanano da prospettive solidali.  Sul punto è rilevante menzionare l’articolo 168 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, che al fine di garantire un livello elevato di protezione della salute umana», sancisce: «gli Stati membri coordinano tra loro, in collegamento con la Commissione, le rispettive politiche» e altresì che: «il Parlamento europeo e il Consiglio possono anche adottare misure per proteggere la salute umana, in particolare per lottare contro i grandi flagelli che si propagano oltre frontiera».  In aggiunta a ciò, l’art. 222, intitolato «clausole di solidarietà», stabilisce che «l’Unione e gli Stati membri agiscono congiuntamente in uno spirito di solidarietà qualora uno Stato membro sia vittima di una calamità naturale».  Pertanto, affinché tale principio alimenti effettivamente le scelte di politica europea, si auspica che l’Unione Europea lo prenda sul serio, e lo liberi dal sequestro della logica dell’austerità.  Come Stefano Rodotà ha evidenziato nello scritto “Solidarietà. Un’utopia necessaria”: «Nessuno può essere condannato alla solitudine e all’abbandono senza che questo determini una perdita radicale di legittimità delle istituzioni pubbliche, con effetti evidenti sulla possibilità stessa di continuare a classificare un sistema tra quelli democratici6».  La situazione attuale può essere il punto di partenza per un cambiamento di vedute.  Una realtà, svuotata dalla capacità di spingere lo sguardo oltre i tragici avvenimenti del presente e l’impotenza di assumere decisioni orientate al bene dell’intera comunità europea, è ingannevole.  In tale ottica, l’utopia è un invito a far sì che un futuro politico diverso possa invadere il presente.  L’utopia è capacità di visione.  1 Così come rilevato da: E. Canetti, Massa e potere, Milano, Adelphi, 1981. 2 R. Esposito, Immunitas, Torino, Einaudi, 2002, p. 4. 3 H. Kelsen, Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale, trad.it A. Carrino, Milano, Giuffrè, 1989, p. 468. 4 L’avvento di un costituzionalismo globale è auspicato da: L. Ferrajoli, Il virus mette la globalizzazione con i piedi per terra, in Il Manifesto, Roma, Il Nuovo Manifesto- Società Cooperativa, 9 aprile 2020; sul dibattito relativo alla Costituzione europea, E. Resta, Il diritto fraterno, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 48-60. 5 J. Habermas, Nella spirale tecnocratica. Un’arringa per la solidarietà europea, trad. it. L. Ceppa, Laterza, Roma-Bari, 2013.h 6 S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Laterza, Bari, 2014, p.114.   Torna all'Appello  
1442. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Andrea Campiotti  
2 APRILE 2020 La solidarietà europea al tempo del Covid-19 Di Andrea Campiotti In appena dieci anni, un periodo di tempo relativamente breve, le fragilità dell’assetto ordinamentale, politico ed economico dell’Unione europea sono venute drammaticamente alla luce. A questa situazione di debolezza istituzionale, politica ed economica hanno contribuito soprattutto tre avvenimenti che hanno messo a dura prova la stabilità delle Istituzioni europee, ponendo numerosi interrogativi sul futuro dell’integrazione eurounitaria. la crisi del debito sovrano, cheha compromesso la stabilità economica e finanziaria di alcuni Stati membri dell’Unione, generando forti tensioni tra gli Stati più indebitati, come Grecia, Italia, Spagna e Portogallo, e quelli più rigoristi, come la Germania; la crisi migratoria,che ha conosciuto la sua fase più acuta in seguito alla c.d. “primavera araba” e al conseguente flusso massiccio di migranti provenienti dai Paesi del Medio Oriente (Siria) e dell’Africa settentrionale (Libia); la Brexit, ovvero il recesso ex 50 TUE[1]del Regno Unito dall’Unione europea richiesto a seguito dell’esito favorevole registrato al referendum del giugno 2016. Dopo aver notificato la propria volontà di recedere nel marzo 2017 e aver negoziato le condizioni con le Istituzioni europee per oltre due anni, il Regno Unito ha formalizzato il proprio recesso dall’Ue lo scorso 31 gennaio. Questi tre avvenimentihanno contribuito significativamente a mettere in crisi il progetto di integrazione europea. L’Unione, complice anche la resistenza di alcuni Stati membri, si è infatti dimostrata incapace di affrontare in modo comune la situazione di crisi e al ruolo che avrebbe dovuto esercitare hanno, il più delle volte, supplito i singoli Stati in modo più o meno coordinato. In queste settimane l’Unione europea si trova a dover gestire una crisi altrettanto profonda, che non ha origini politiche o economiche, sebbene le conseguenzesul piano politico, economico e anche sociale siano molto rilevanti.Si tratta della crisi sanitaria provocata dal Covid-19, il virus che ha colpito dapprima la Cina, in particolare la città di Wuhan (nella parte meridionale del Paese), e che si è poi rapidamente diffuso in Europa e nel resto del mondo. Questa epidemia, che ha ormai assunto le dimensioni di una pandemia, come ha sottolineato l’Organizzazione mondiale della sanità, ha costretto i governi nazionaliadadottare misure straordinarie per contenere il numero di contagi, che hanno comportato una graduale compressione delle nostre libertà individuali (e fondamentali) senza precedenti. Nonostante la drammaticità della situazione che stiamo vivendo, la solidarietà sembra non ispirarel’azione dell’Unione europea e quella degli Stati membri.Lo dimostrano chiaramente i contrasti permanenti tra i paesieuropei nell’approvvigionamento del materiale sanitario. Si pensi, ad esempio, a quanto è accaduto nei giorni scorsi in Polonia e in Repubblica Ceca, dove sono state sequestrate da parte delle autorità locali partite di mascherine dirette in Italia. La mancanza di solidarietà e, più in generale, l’assenza di una strategia comune a livello europeo si è poi dimostrata nell’ultimo Consiglio europeo del 26 marzo, ove di fronte alla richiesta di Italia e Spagna, i paesi che stanno pagando il prezzo più alto in termini di contagi e di morti, di trovare un’intesa sulla sospensione temporanea del Patto di Stabilità e sull’impiego dei c.d. “coronabond”, altri paesi, tra i quali la Germania e i Paesi Bassi, si sono opposti. Proprio a causa della loro opposizione non è si è potuta raggiungere l’unanimità richiesta dai trattati per approvare queste importanti misure. Eppure, il principio di solidarietà ricorre con frequenza nei testi costituzionali, nelle dichiarazioni universali e nelle convenzioni internazionali dei diritti dell’uomo. Le costituzioni e le altre carte fondamentali dei diritti codificano le “tavole dei valori”, ovvero individuano una serie di principi a fondamento degli ordinamenti giuridici, provvedendo altresì a enunciare veri e propri “cataloghi” dei diritti e delle libertà fondamentali spettanti a ciascuno di noi. Ciò avviene dalla nascita del costituzionalismo moderno, convenzionalmente individuata nell’approvazione da parte della prima Assemblea nazionale francese della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789. Essa è, infatti, considerata la prima carta costituzionale della storia moderna, antesignana e fonte di ispirazione per le successive costituzioni e dichiarazioni universali dei diritti. La solidarietà, come principio, deriva dalla “fraternité”, che completa la triade “Liberté,Égalité, Fraternité”, fondamento valoriale alla base della Dichiarazione e della cultura costituzionale europea. Ancora oggi, tra i principi fondamentali del nostro ordinamento, oltreché di quello dell’Unione europea, si colloca proprio la solidarietà. La nostra Costituzione richiama il principio della solidarietà in numerose sue disposizioni, a volte espressamente (art. 2), altre volte implicitamente (in particolare, agli artt. 3, 4, 31, 34, 37, 38). Il principio di solidarietà è poi fortemente presente nel diritto dell’Unione europea. In particolare, esso titola il III Libro dellaCarta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (artt. 27-38)del 2000, che, in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009), ha acquisito pari dignità giuridica dei trattati ai sensi dell’art. 6 TUE. La solidarietà compare inoltre sotto forma di clausola all’art. 222 TFUE[2]. In particolare, quest’ultima disposizione, contenuta del Titolo VII del Trattato, stabilisce al suo primo paragrafo: «L’Unione e gli Stati membri agiscono congiuntamente in uno spirito di solidarietà qualora uno Stato membro sia oggetto di un attacco terroristico o sia vittima di una calamità naturale o provocata dall'uomo. L'Unione mobilita tutti gli strumenti di cui dispone, inclusi i mezzi militari messi a sua disposizione dagli Stati membri, per: a) - prevenire la minaccia terroristica sul territorio degli Stati membri; - proteggere le istituzioni democratiche e la popolazione civile da un eventuale attacco terroristico; - prestare assistenza a uno Stato membro sul suo territorio, su richiesta delle sue autorità politiche, in caso di attacco terroristico; b) prestare assistenza a uno Stato membro sul suo territorio, su richiesta delle sue autorità politiche, in caso di calamità naturale o provocata dall'uomo». Dalla disposizione si evince che le cause che determinano il ricorso (eventuale) alla clausola di solidarietà ex art. 222 TFUE, che impone agli Stati membri dell’Unione europea di agire «in uno spirito di solidarietà» e con tutti i mezzi possibili, compresi quelli militari, sono due: la minaccia terroristica e le calamità di tipo naturale o provocate dall’uomo. Alla luce delle fragilità emerse a causa di questapandemia, l’Unione e gli Stati membri valutino l’ipotesi di riconsiderare il principio di solidarietà iscritto nei Trattati. Ridefiniscanol’art. 222 TFUE (di cui sopra), inserendo, tra le cause che possono determinarne il ricorso, anche quella che stiamo oggi vivendo, ossia quella di una crisi sanitaria. Si ricostruisca un’Unione europea più coesa e solidale, capace di far fronte alle grandi sfide che ancora l’attendono, riconsiderandoil principio di solidarietà, che pure trova precisa collocazione all’interno dei trattati e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che ha valore primario al pari dei primi (art. 6 TUE). Come ha saggiamente ricordato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso alla Nazione lo scorso 27 marzo, date le drammatiche condizioni in cui versa l’Europa e la necessaria urgenza di adottare iniziative comuni, “la solidarietà non è soltanto richiesta dai valori dell’Unione, ma è anche nel comune interesse”. Note: [1] Trattato sull’Unione europea. [2] Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Torna all'Appello  
1443. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Piero Panzarino  
31 MARZO 2020 Il sogno europeo di Aldo Moro  di Pietro Panzarino Il giovane parlamentare Aldo Moro, che già si era fatto apprezzare durante la Costituente,  durante la prima Legilatura (1948-1953), in veste di sottosegretario agli Esteri aveva guardato con interesse alla scena internazionale ed europea. Nella seconda Legislatura, la mancata ratifica della CED (Comunità  Europea di Difesa),   spinse Moro a pubblicizzare la sua visione europeista in alcuni suoi passaggi dell’intervento durante la seduta del 29 settembre. “L'articolazione dell'alleanza atlantica in un nucleo europeo che ieri chiamavamo comunità europea di difesa e che domani chiameremo probabilmente in un altro modo, questa articolazione in un nucleo europeo dell'alleanza atlantica è un fatto di grande importanza, significa la voce dell'Europa, la autentica voce di questa civiltà europea occidentale che si esprime e si fa apparire nell'ambito della comunità di popoli liberi. È l'Europa che, superate le particolari divisioni, acquisisce una forza economica, una forza sociale, una forza politica ed anche una forza militare che permettono ad essa di dire una parola più autorevole di ben maggior peso nell'ambito del grande giuoco della politica mondiale.Sì che per noi italiani il problema della integrazione europea, il problema della creazione su basi d'intesa cordiale di un nucleo europeo dell'alleanza atlantica, resta un grande problema nazionale che noi dobbiamo contribuire a risolvere, una integrazione europea senza esclusione né della Germania né della Francia, entrambe indispensabili, e con la maggiore possibile partecipazione dell'Inghilterra”.  Il 23 ottobre 1954 venne istituita la UEO (Unione dell'Europa Occidentale) che sviluppava il trattato di Bruxelles del 1948, accogliendo anche l'Italia e Repubblica Federale Tedesca in una  organizzazione di mutua consultazione militare, a cui aderiva anche la Gran Bretagna. Nella seduta del 23 dicembre 1954 il capogruppo Moro così motivata il voto favorevole all'ordine del giorno Montini: "è allora un motivo di più, in questa situazione di carenza e di disagio che noi riteniamo provvisoria, per rinnovare un impegno comune per una intesa fra i popoli che è condizionata necessariamente al disarmo progressivo, che comporta il generale controllo di tutte le armi di guerra, fra cui, in prima  linea, vanno inserite le armi atomiche e termonucleari. Noi riteniamo che la drammatica realtà, cui noi siamo, di un mondo diviso e così potentemente armato da poter realizzare, nell'eventuale urto, la propria distruzione e la distruzione della civiltà, non debba farci perdere tempo nella ricerca di un’ intesa su quella base di dignità e di giustizia che noi abbiamo sempre perseguito e che rimane l'obiettivo fondamentale della nostra politica estera”. "Il presidente della Repubblica Antonio Segni affidò all'onorevole Aldo Moro l'11 novembre 1963 l'incarico di formare il nuovo governo. Il primo governo Moro giurò il 4 dicembre 1963... Moro intervenne alla Camera dei deputati il 12 dicembre 1963, mettendo subito in luce la novità parlamentare della svolta politica… In politica estera avrebbe consolidato la realtà verso l'alleanza atlantica e la solidarietà europea "1  Nelle linee programmatiche a Montecitorio Il Presidente Moro sottolineò:"La politica di solidarietà europea, che sarà perseguita nella forma dell'integrazione democratica, economica e politica, fuori di ogni particolarismo, offre al nostro paese uno spazio ed uno ambiente adatti per la sua espansione economica e per una significativa partecipazione alla politica internazionale in proporzione alle sue forze, alla sua tradizione e cultura, al suo peso economico e sociale. Il governo si propone una azione coerente per superare le remore opposte, con iniziative estranee alla finalità dei trattati di Roma, alla creazione dell'unità democratica dell'Europa.". Eravamo nel 1963 e Aldo Moro aveva chiara la prospettiva del futuro dell’Europa! Il 14 maggio 1965 si svolse alla Camera un dibattito sulle interpellanze ed interrogazioni presentate da tutti i gruppi parlamentari su diversi aspetti della politica internazionale e, in particolare, sul  viaggio del Presidente del Consiglio Moro negli Stati Uniti. Questi alcuni passaggi significativi: "Le linee maestre della politica europeistica del Governo, quali sono state recentemente indicate anche a Strasburgo dal ministro degli affari esteri, sono quelle cui si ispira ormai da molti anni l'azione dell'Italia. Tale politica si sviluppa su due piani distinti, ma non separati. Il primo di essi riguarda la cooperazione a sei. Nella organizzazione di Bruxelles si trova infatti il fulcro dell'azione europeistica italiana; e il Governo intende continuare ad adoperarsi per una piena ed integrale realizzazione della lettera e dello spirito del trattato di Roma... Il secondo profilo concerne, anch'esso una costante della politica europeistica italiana: e cioè la esigenza che l'edificio comunitario conservi il carattere democratico ed aperto, e pertanto la capacità di includere, non appena possibile, anche altre democrazie europee”. A seguito delle dimissioni del II Governo Moro, datate 21 gennaio 1966, il 25 gennaio il Presidente della Repubblica conferì nuovamente l'incarico di formare il nuovo governo al Presidente del Consiglio uscente, Moro, che accettò secondo la prassi con riserva e diede vita al terzo Governo Moro.  Il 3 marzo 1966 Moro espose al Senato e alla Camera le dichiarazioni programmatiche del nuovo Governo. Moro in riferimento all'Europa sottolineò: "Per quanto riguarda l'Europa il Governo si propone di continuare la propria azione diretta ad assicurare la piena ripresa della attività comunitaria nel rispetto dei Trattati al fine di realizzare l'integrazione economica quale premessa dell'unità politica dell'Europa. Tale azione si svolgerà in tutte le sedi comunitarie, economiche e politiche, continuando ad interessare ad essa il Parlamento ed il Paese e portando avanti il progetto di elezione a suffragio universale di un Parlamento europeo”. Nella Legislatura successiva, Moro fu nominato Ministro degli Esteri e, in tale veste, intervenne il 21 e 22 ottobre 1969, per definire la posizione dell'Italia sui grandi problemi internazionali. Tra questi riferì sui più recenti sviluppi in campo europeistico. “C’è il problema del Parlamento europeo, c'è quello di una reale unità di indirizzo economico, c'è l'esigenza di dare all'Europa una sua voce, una sua influenza, un suo destino. Per molte di queste cose siamo appena ai primi passi, proprio mentre l’evolvere rapidissimo delle cose e dei rapporti nel mondo indica la meta sovranazionale come essenziale ad un assetto unitario, come garanzia di equilibrio del mondo”. Aldo Moro, da grande tessitore quale si dimostrò in tutta la sua esperienza parlamentare, continuava  a guardare con interesse allo sviluppo dell'Europa. Per concludere questa carrellata del pensiero moroteo ecco il suo intervento sull'elezione del Parlamento europeo a suffragio diretto, pronunciato nella seduta del 15 febbraio 1977 alla Camera dei Deputati.  Si discuteva il disegno di legge di approvazione ed esecuzione dell'atto relativo all'elezione a suffragio universale del parlamento europeo, firmato a Bruxelles il 20 settembre 1976.  Il cosiddetto "Atto 1976" stabiliva il principio dell'elezione diretta e il contenuto dello status di parlamentare europeo oltre a fissare alcune regole comuni di procedura elettorale. Venne approvato alla Camera il 17 febbraio e al Senato il 24 marzo e divenne Legge 6 aprile 1977, n. 150. "Abbiamo manifestato un larghissimo consenso intorno a questo atto e non vorrei, dicendo questo, dispiacere all'onorevole Pannella che ha tenuto a sottolineare che non vi è l'unanimità... Ciò non vuol dire, naturalmente, che tutti pensiamo le stesse cose, né che tutti concepiamo l'Europa allo stesso modo.  Questa del resto è stata sempre la posizione assunta dai Governi italiani, estremamente duttili, come era necessario ogniqualvolta si trattava di trovare una convergenza di vedute con altri paesi, sempre pronti ad accogliere le tappe intermedie, ma sempre fermi per dichiarare, valga quel che valga, che per noi la meta è lo Stato federale in Europa”. “I pensieri, i ragionamenti e le riflessioni di Moro, per favorire l'avvio di quella che lui aveva chiamato la terza fase, evidenziavano come motivo di fondo la speranza, da sempre coltivata che i risultati delle elezioni europee a suffragio diretto avrebbero aiutato l'Italia a uscire dalle difficoltà che stava vivendo in quella stagione” 2   (1) Pietro Panzarino, Il centro-sinistra di Aldo Moro (1958 - 1968), Marsilio Editore, 2014. (2) Pietro Panzarino, L’eredità politica di Aldo Moro Pensiero e azione di un uomo libero (1976-78) Marsio Editore, 2011. Torna all'Appello  
1444. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Gaia Pandolfi  
30 MARZO 2020 Europa. Alla ricerca di un’anima comune di Gaia Pandolfi Europa. Una parola che riporta alla mia mente le parole della professoressa di Storia: quando si parlava della nascita della CECA e della CEE, dell’Atto Unico europeo, del Trattato di Maastricht e dell’Unione monetaria che, ricordo, fu l’ultimo capitolo affrontato. Riaffiorano i momenti delle lezioni universitarie, in particolare il corso di Storia dell’Integrazione europea: ore di approfondimento e confronto, antefatto di veementi dibattiti fra noi studenti sul senso dell’Unione ieri, oggi e domani, che proseguivano fin nei corridoi dell’Ateneo e, a volte, duravano per giorni. Con il passare degli anni, ho compreso come spesso l’Europa venga considerata una realtà astratta, incapace di far percepire il proprio valore se non agli addetti ai lavori. “L’Europa? Ah, ma è a Bruxelles”, sento spesso quando cerco di spiegare che l’Europa non è soltanto l’Interrail. E a nulla vale ricordare la Storia: l’Italia fra i padri fondatori; Alcide De Gasperi Presidente del Consiglio mediatore per la democrazia e la libertà del nostro Paese; il Manifesto di Ventotene come presupposto fondante di quell’ideologia europeista che Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi auspicavano. L’Europa nella mente di molti, forse troppi, resta chiusa nei Palazzi di Bruxelles e Strasburgo, priva di quell’anima di cui oggi più che mai necessita. Parafrasando un grande statista, che di unioni fra stati nazionali se ne intendeva “abbiamo fatto l’Europa, ora dobbiamo fare gli europei” – avrebbe commentato il Conte Cavour. Ancora oggi l’Unione europea appare lontana, mentre la terribile pandemia da Covid-19 falcia impietosa il nostro continente, mietendo vittime fra le fasce più deboli della popolazione, i Grandi della terra (europea) faticano a trovare un accordo per arginare e contrastare le disastrose conseguenze che l’emergenza epidemiologica avrà inesorabilmente sulla nostra società. “Di fronte all'emergenza di COVID 19, l’Europa è chiamata a scelte radicali. Questa emergenza mette in pericolo l’esistenza della ‘nostra’ Europa. Insieme alla dimensione sanitaria di COVID 19 ci sono pesanti conseguenze sociali ed economiche da affrontare congiuntamente” Quanto dovremo aspettare prima che l’Europa, già minata dalla ferita ancora sanguinante della Brexit soltanto due anni fa, converga verso un punto comune? Quanto prima che i Capi di Governo raggiungano un’intesa per un nuovo Piano Marshall che possa risollevare se non ricostruire, una volta che la tempesta sanitaria sarà terminata, l’economia dell’Unione? Molto, purtroppo, se gli Stati europei anche quando serve il cuore, si chiudono in se stessi. In fondo, non sarebbe neppure così difficile ritrovarsi. “L’Europa sarebbe diventata di fatto un popolo solo; viaggiando ognuno si sarebbe sentito nella patria comune… Tale unione dovrà divenire un giorno o l’altro per forza di eventi. Il primo impulso è stato dato, e dopo il crollo e dopo la sparizione del mio sistema io credo che non sarà più possibile altro equilibrio in Europa se non la Lega dei Popoli”. Scriveva nel suo Memoriale, già qualche secolo fa, un certo Napoleone Bonaparte. Torna all'Appello  
1445. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Evaristo Macci  
30 MARZO 2020 Cambiare tutto perché tutto cambi di Evaristo Macci In questo appello promosso dalla Link Campus University in cui fior d’intellettuali, professori e studenti, fanno delle proposte, muovono delle critiche, ragionano su l’Europa post-pandemica, ci dobbiamo chiedere se l’Unione Europea che abbiamo davanti è la concretizzazione di un sogno o se è una totale disillusione. L’auspicio condiviso dalle varie riflessioni è che si possa arrivare, tenendo conto degli errori commessi sia nel passato ma soprattutto in questo straordinario momento storico, a una rifondazione dell’Unione affrancata dai mali che ora l’affliggono. C’è un vizio di fondo che però rischia di vanificare le ore di riflessione e rendere inutili i fiumi di inchiostro che si stanno scrivendo su questo tema: gli attori ai quali vogliamo affidare questo faticoso compito di ricostruzione sono gli stessi consumati attori che oggi si rifiutano di recitare un testo condiviso da tutti e in una sola lingua comune; sono gli stessi che dopo cinque secoli stanno riproponendo una geografia dell’Europa divisa tra mondo cattolico e mondo protestante (a parte la cattolicissima ma poco misericordiosa Polonia); sono attori che hanno smesso di recitare e stanno mostrando il loro freddo volto. In questo preciso istante si sta combattendo una guerra mondiale non convenzionale, senza cannoni, ma con migliaia di caduti, il cui teatro si sposta rapidamente. Ma solo perché l’odore della morte non ha raggiunto, o forse non raggiungerà, chi lo sa, le latitudini del Nord Europa, i loro burocrati girano le spalle a chi ora ha bisogno e vogliono condannare quelle nazioni che sono state più sfortunate ad un periodo di depressione economica di cui nessuno conosce le dimensioni perché nessuno conosce l’immediato futuro di questa pandemia. Come faremo a sederci in futuro allo stesso tavolo? E se un domani una di queste nazioni dovesse avere bisogno di aiuto che dovremmo fare allora, girarci anche noi dall’altra parte? Non sarà forse giunto il momento di arrendersi? Non sarà questo il momento di chiudere questo capitolo storico, non per darla vinta ai sovrano-disfattisti di casa nostra o a quelle potenze che alla disgregazione dell’Europa ci stanno lavorando da tempo, ma solo perché è tempo ormai per una Neo-Europa? Davanti a questa tragedia non è la figura mitologica orgogliosa e bella di Europa quella che abbiamo davanti, ma è il cadavere di essa, un corpo ancora integro, quasi vitale, ma ormai senza respiro, senza sentimento. E allora anche per noi europeisti convinti, che abbiamo sempre difeso questo sogno anche in situazioni francamente indifendibili, è giunto il momento di gettare la spugna e finire di distruggere quello che resta, ma avendo ben a mente il nuovo grande progetto. Compito invero assai semplificato dal fatto che tutti gli errori da non ripetere sono già scritti nella Storia. E chi altri se non voi, intellettuali visionari, potete iniziare ad immaginare una nuova Unione, un’Unione di Stati empatici che condividano regole ferree valide per i vincoli economici ma anche per la gestione condivisa dei flussi migratori; capaci di occuparsi coralmente di ordine pubblico e antiterrorismo, ma anche capaci di immediato mutuo soccorso. Chi se non voi, esimi professori che state formando i nostri giovani cresciuti senza frontiere, e che in questo progetto dovrete anch’essi coinvolgere. Sono gli europeisti convinti che dovranno assumersi l’onore e l’onere di farlo: dare a questa Europa il colpo di grazia e farla risorgere dalle proprie ceneri. Cambiare tutto perché tutto cambi. Torna all'Appello  
1446. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Christian Cozzi  
30 MARZO 2020 Necessità di un nuovo volto europeo di Christian Cozzi Da sempre più tempo vediamo sorgere nuovi protagonisti nelle relazioni internazionali, protagonisti rappresentati dalle nuove potenze in via di sviluppo, che acquisiscono sempre più influenza e potere decisionale. Potere che senza dubbio sorge sia dalla loro potenza economica in incredibile crescita, sia dalla loro potenza militare strategica. Tutto questo però avviene a discapito delle potenze europee che da tempo si vedono si protagoniste, ma sempre meno influenti, sempre meno centrali. Tale fenomeno si manifesta, poiché spesso si ritrovano costrette ad intraprendere continui compromessi, senza mai forti prese di posizione. Io credo che siano tal volta queste posizioni a determinare l’influenza di una potenza rispetto ad un’altra, mentre vedo forse non solo io, ma anche le altre potenze mondiali che questi compromessi siano un importante segno di debolezza. Un cercare di arrampicarsi sugli specchi, un modo di poter continuare a restare al tavolo dei grandi protagonisti, senza pestare i piedi a nessuno. Proprio poiché sempre più deboli e soprattutto sempre più egoisti. Questo egoismo non è affatto un egoismo di tipo costruttivo ma anzi,quest’ultimo va spesso a colpire i propri collaboratori ed i più stretti alleati partecipi dell’unione. Questo egoismo senza dubbio è frutto dell’assenza di una nazionalità europea, un’identità nazionale ed una sempre maggiore presenza sovranista nei differenti parlamenti. Per tanto comprendiamo che dopo diversi decenni di unità europea, il popolo europeo non si sente affatto europeo ma anzi si sente tedesco, francese, italiano e via discorrendo. Tale fenomeno fa si che nel breve termine alcune tra queste nazioni e nazionalità ne trarranno vantaggio. Nel lungo termine invece come affermato precedentemente, sta trasportando sempre più ad un collasso della centralità e dell’influenza del vecchio continente. Per risolvere questo fenomeno non è solo necessario creare una salda identità europea ma anche creare una salda e riconosciuta istituzione centrale europea, che non sia solo come agli occhi di moltiappareun’unione data dalla moneta, ma che sia soprattutto un’unione culturale con il fine di centralizzare e costituire l’identità dell’ancora assente e sconosciuto cittadino europeo. Senza dubbio credo che sia necessario una lieve sottrazione del potere, agli stati nazionali che la compongono, così da poter eliminare sia le continue azioni di carattere egoistico, sia le continue competizioni condotte da quest’ultime a danno delle altre. Queste azioni portano ad una sempre più distante visione di comunità ed unità collettiva dove gli uni si dovrebbero sacrificare per gli altri, con un unico interesse collettivo che veda al centro la potenza e la forza di tutti; poiché la potenza di un singolo rappresenta la forza dell’intero collettivo. Attraverso l’uso di un completo assetto democratico e non con un assetto di tipo darwiniano che preveda l’affermarsi del più forte sul più debole, ma anzi la protezione del più forte sul più debole, rispetto a tutti i fenomeni esterni. Fenomeni che in questo caso possono essere i più differenti, uno degli esempi più calzati al riguardo può esser rappresentato dall’assenza della collettività europea nella risoluzionedell’epidemia COVID-19. Senza dubbio se vogliamo tener contodi uno dei tanti insegnamenti che la storia ci propone, come infallibile istruttrice delle nostre azioni, dovremmo tener conto l’esempio fornito dal collasso della lega Delio-Attica. Quest’ultima costituita da alcune delle più potenti πόλεις (pòleis) greche nel 470 a.C. Queste avevano l’obbiettivo di rendersi forti, influenti e senza dubbio ricche. Tra queste sorse il predominio della πόλιςateniese che dopo le differenti speculazioni, e le crescenti avidità del popolo ateniese, portarono all’impoverimento dell’intera Lega. Questa crescente debolezza portò le pòleis a soccombere presto rispetto al crescente potere delle altre potenze circostanti. Ovviamente questo collasso vista la lontana epoca fu soprattutto da un punto di vista militare, ad oggi tale collasso visti i nuovi protagonisti e le nuove influenze potrebbe essere senza dubbio riconducibile ad un carattere puramente economico. Ad ogni modo mi potrete dire tutto questo si è verificato quasi 2500 anni fa,dunque come è possibile un possibile riverificarsi di tali fatti? Bè posso semplicemente rispondere che si i tempi cambiano, le tecnologie cambiano e così i popoli e le idee; c’è però da tener conto che l’uomo rimane sempre lo stesso, e di conseguenza come ci insegna Vico la storia si ripete. Comprendendo tale insegnamento possiamo affermare che: ora più che maiè necessaria una reale coesione europea a fronte delle innumerevoli difficoltà che avvolgono il vecchio continente, il quale con ampia superbia crede ancora di essere il centro del mondo, ma che ormai non è altro che un tacito osservatore dei fatti. Torna all'Appello  
1447. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Francesco Paolo Barbato  
26 MARZO 2020 Dalla crisi dei valori alla democrazia partecipativa di Francesco Paolo Barbato Lo stato di emergenza , i sentimenti intrecciati di angoscia, impotenza e paura scaturiti dalla rapida e tragica diffusione del COVID-19 e dei suoi effetti, turbano ognuno di noi e, conseguentemente, ci obbligano a profonde ed importanti  riflessioni. La situazione drammatica che l’Italia e il mondo sono chiamati ad affrontare oggi costituisce senza dubbio un fenomeno che evidenzia e mette in luce la debolezza dell’uomo di fronte ad avvenimenti come questo ma, come ogni altra esperienza umana, positiva o negativa che sia, offre un’occasione imperdibile di grande crescita e miglioramento dell’uomo e delle Istituzioni che lo governano . Ogni momento di difficoltà , ogni manifestazione tangibile del male, ogni qualvolta che l’uomo vede la propria esistenza minacciata da fattori esterni, che ne sconvolgono l’equilibrio, consentono di considerare la realtà come un imprevedibile divenire . Tentare di approfittare di queste situazioni che la natura ci impone per ripensare a noi stessi e a ciò che ci circonda sembra quindi necessario. La crescita e l’analisi autocritica che ogni cittadino, ogni Stato e ogni tipo di organizzazione sovrannazionale devono portare avanti nel futuro post-virus, investono tutti i settori della politica, ovvero della vita di tutti noi. In questa ottica, quindi, le Istituzioni Europee e non, le democrazie e  i loro rappresentati , i cittadini tutti dovrebbero adottare e attuare una politica efficiente di preoccupazione, ma non nel senso allarmistico del termine, quanto nel  senso di occuparsene prima. Senza dubbio, emergenze come COVID-19 si affronterebbero in un modo più significativo e con misure certamente più valide se quest’ultime fossero già parte costituente di un sistema. La fragilità del mondo sanitario e la mancanza di un’educazione alla  prevenzione da parte delle Istituzioni non fanno altro che amplificare le conseguenze già gravi di epidemie come questa e, allo stesso tempo, rallentano  quel complicato processo che dovrebbe portare al superamento di tale circostanza. In un clima di assoluta incertezza, però, emergono in modo preponderante aspetti della società, della “comunità”, che , invece , ne sottolineano e ne fanno apprezzare le grandi certezze.  Il sentimento comune di coesione , collaborazione ,di sacrificio e appunto di “comune”, lascia intravedere la vera natura dell’essere umano , dell’essere cittadino, che i Padri fondatori dell’ Europa intendevano trasmettere anche all’ “essere Europeo “. Tutto ciò rappresenta una delle  principali difese da qualsiasi malattia. Se, però, i valori di partecipazione, solidarietà, uguaglianza e responsabilità civile non sono costantemente alimentati e non vengono continuamente mantenuti, ecco che tale difesa risulta purtroppo inadeguata al momento di dover  fronteggiare un attacco del genere . E il fatto che gli uomini e  le Istituzioni riescano ad apprezzare lo stato di communitas, cioè  la possibilità, tutt’altro che scontata, di poter collaborare per raggiungere un grado di maturazione  soddisfacente, solo e unicamente quando la natura delle cose impone di stare lontani, non costituisce una virtù, bensì un grave difetto. Tale limite è facilmente ricollegabile e attribuibile al contesto europeo, che vede le sue componenti ragionare in modo individualistico nell’ordinarietà ed, invece, assumere un atteggiamento di apertura e solidale esclusivamente in periodi tragici. La portata di un fenomeno planetario come il virus, quindi, agirà da spartiacque tra un’evidente crisi dei valori tradizionali, un preoccupante declino dei processi democratici e una ripresa di quei valori che consentono alla democrazia e ai democratici  di sopravvivere e di definirsi tali. Proprio in questi contesti, quindi, può essere sradicata quella ormai cronica diffidenza che vive nel rapporto cittadini-Istituzioni per avviare processi democratici sempre più tendenti alla partecipazione. Torna all'Appello  
1448. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Marita Langella  
26 MARZO 2020 Pensieri su una Europa in divenire  di Marita Langella In questo momento storico in cui un nemico subdolo e invisibile, che non conosce confini, etnie e nazionalità, sembra minare le prerogative fondanti delle nostre esistenze, l’Unione Europea si trova in visibile affanno. Ma è proprio in momenti in cui spinte centrifughe richiedono un’attenta lettura, che quanto più le divisioni sono preponderanti, che tanto più ci si appella al bisogno di unità. La globalizzazione professata, cifra fondante della modernità, non può che suggerire un vivere comune che non soccomba ai sentimenti disgreganti. I Padri del progetto fondativo dell’ Europa, De Gasperi, Schuman, Adenauer, erano uomini mossi da visioni alte su cui fondare il processo comunitario,  una concezione antropocentrica, in cui l’uomo non si limitava a essere un individuo ma, in primis, una persona. Risulta quanto mai moderno il pensiero di Platone il quale scriveva che solo la cura dell’anima e della dignità umana, impronta di Dio, può guidare un sentire comune e rispettare il volto di ogni popolo.  In nome di una identità che non significa esclusione ma viatico per una sana integrazione sostenuta da una parola “comunicante”. E, invece, nel quadro occidentale intriso di individualismo esasperato, esaltazione di una razionalità assolutizzata e impoverente, l’uomo è diventato mero individuo svuotato del “rango” di persona. Le società umane si disgregano allontanandosi da una condivisione di scelte e destini, per scomporsi in tanti piccoli punti. Fuorviati da una libertà insensata che nega la persona. Al centro della riflessione non può che esserci l’uomo, da cui ripartire per riflessioni lungimiranti. Essere europei non può che significare apertura verso gli altri, partendo dall’unicità delle nostre storie e radici fondanti. Soggettività dialoganti in grado di trovare nel conflitto una spinta costruttiva verso la communitas. Il rischio è quello di rimanere stretti in un perimetro geografico, senza valorizzare l’elemento spirituale e culturale. È invece dal rilancio di una soggettività dei popoli che il particolare può relazionarsi all’universale con consapevolezza, anelando a scenari dinamici e virtuosi. Solo in questa ottica, forse, si può tornare ad affrontare questioni mai superate, come le diseguaglianze, le ingiustizie, le violenze, le violazioni dei diritti umani, l’instabilità e gli squilibri di un sistema finanziario sclerotizzato su logiche avulse dai bisogni reali. Per non parlare dei conflitti etnici, culturali, sociali e religiosi, eredità di un mondo bipolare post - bellico che riaffiorano carichi di quell’ideologia totalizzante e spietata. Mentre la storia ci insegna che solo gli uomini che sanno guardare oltre il muro hanno il potere di abbatterlo. Torna all'Appello  
1449. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Michele Valensise  
25 MARZO 2020 Lo scatto che manca all'unione di Michele Valensise Oltre al dolore per le migliaia di vittime e agli incalcolabi­li effetti della recessione economica, il coronavirus rischia di lasciare dietro di sé un'Europa in macerie. Una buona notizia per chi persegue quell'obiettivo, più o meno dichiaratamente; una  pro­spettiva allarmante per quanti cre­dono che, pur tra debolezze e ritar­di, il progetto europeo sia essen­ziale, nell'interesse dei Paesi mem­bri e dell'Unione. E' naturale che nell'attuale con­giuntura le attese siano rivolte a Bruxelles, per un approccio comu­ne alla sfida epocale in corso e per misure rapide ed efficaci. L'Europa ne sta prendendo consape­volezza, ma troppo lentamente e con molte incertezze. La video-con­ferenze dei leader Ue di martedì po­meriggio ha prodotto qualche inte­sa,  per il controllo delle frontiere esterne dell'Unione,il mantenimento della liber­tà di circolazione intra-Ue delle merci, l'urgente approvvigionamento congiunto di mascherine e respiratori. Tuttavia, l'esito della riunione è stato di ordinaria amministrazione. E'mancato, nono­stante i tempi eccezionali che viviamo, un colpo d'ala capace di far sentire l'Europa vicina e parte­cipe. Alle critiche degli euro-scettici e dei dubbio­si di complemento si affianca la delusione di chi, consapevole del potenziale dell'Ue, deve ricono­scerne la modestia dei risultati. L'Italia ha fatto la sua parte con impegno. Ha portato l'esperienza di giornate durissime, deci­sioni rigorose, medici e infermieri in prima linea. Non è poco. A questo punto però è fondamentale che l'Europa risponda in concreto e rapidamente alla richiesta di solidarietà. Giuseppe Conte ha op­portunamente insistito sulla necessità di titoli eu­ropei "coronavirus" e di garanzie a sostegno delle economie dei Paesi Ue più colpiti. Oltre alla Com­missione, sulla stessa  linea si è espressa  solo la Francia, che pure qualcuno da noi accusa di oscure trame ai danni  dell'Italia. Tiepida e iperpru­dente Angela Merkel, mentre altri rigoristi respin­gevano l'idea senza troppi convenevoli. La strada è in salita. Senonché resta l'urgenza di provvedimenti, con le opportune modalità tecniche, che l'Europa non deve procrastinare. Dieci anni fa le tergiver­sazioni e le pastoie decisionali dell'Ue nell'inter­vento di stabilizzazione finanziaria in Grecia fece­ro lievitare enormemente per tutti il costo del risa­namento. Occorre evitare l'errore di allora, tanto più che oggi le dimensioni della crisi fanno paura e impongono di ristabilire quanto prima la fidu­cia negli e tra gli Stati oltre che sui mercati. Non bastano procedure e strumenti ordinari. Ci vorrebbero gesti decisi, di forte empatia. Nel 1970 a Varsavia, senza curarsi della contrarietà anche di alcuni amici, Willy Brandt cadde in gi­nocchio in silenzio davanti al monumento alle vit­time del nazismo. Oggi in Europa nessun leader è in grado di emularlo con un messaggio così contundente e convincente. Né Macron isolato anche se evoca "la guerra" alla pandemia, né Mer­kel prigioniera dei tatticismi e refrattaria a scatti di audacia anche  se vicina al tramonto, né altri miopi e svogliati. Eppure dovrebbero sapere che per l'Ue questa è forse l'ultima possibilità per ri­sorgere, con consapevolezza e lungimiranza, nell'interesse comune. (da La Stampa, 19 marzo 2020) Torna all'Appello  
1450. L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Antonino Giannone  
24 MARZO 2020 di Antonino Giannone Scenario Nella storia dell’Uomo le grandi organizzazioni degli Stati, alle diverse latitudini, hanno utilizzato decine di migliaia di esseri umani come servo-unità. Esempi nella storia di mega-macchine sociali sono stati: la costruzione delle piramidi dell'antico Egitto, costruite da decine di migliaia di uomini per diverse generazioni; nel Novecento, l'esercito tedesco e la burocrazia politico-economica dell'Urss; nel tempo della globalizzazione è il finanz-capitalismo che è considerato come la macchina sociale che ha superato tutte le precedenti, compresa quella del capitalismo industriale. È evidente, a tutti, l’estensione planetaria del finanz-capitalismo e la sua capillare penetrazione in tutti i sottosistemi sociali, in tutti gli strati della società, della natura e della persona. Non possiamo non ammettere che il finanz-capitalismo abbia come motore non più la produzione di merci, ma il sistema finanziario stesso. Il denaro viene impiegato, investito, fatto circolare sui mercati allo scopo di produrre immediatamente una maggior quantità di denaro, in un crescendo patologico che ci appare sempre più fuori controllo. Tutto ciò è accaduto come naturale conseguenza dell’abolizione della Legge Steagall Glass Act (1997- Bill Clinton), che ha sovvertito definitivamente il principio del N.O.MA. (Non Overlapping Magisteria). Questo principio, da secoli, riconosceva il predominio della Politica nel fissare gli obiettivi, mentre l’Economia e la Finanza erano gli strumenti per  raggiungerli e l’Etica era il terzo pilastro per garantire l’equilibrio del sistema. La situazione con la globalizzazione si è capovolta e la Finanza domina il sistema, la Politica è succube e l’Etica è debolissima se non assente! Unione Europea ai tempi del Coronavirus In questo scenario c’è la crisi dell’Unione Europea rispetto ai principi della sua costituzione voluta da tre grandi statisti Cristiani: Adenauer- De Gasperi – Schuman. La pandemia del Coronavirus ha messo ancor più a nudo le contraddizioni nei rapporti tra i partners europei che non sono agli occhi di tutti paritetici e fondati sul rispetto reciproco. Abbiamo assistito ad atteggiamenti arroganti e irridenti nei confronti dell’Italia, sino al punto di ipotizzare che noi italiani stessimo esagerando con la chiusura della Lombardia per sottrarci ai nostri impegni lavorativi…. Abbiamo subito, per l’improvvida Signora Lagarde, capo della BCE, ad una caduta della borsa di oltre 17 punti in una sola seduta con perdite per molte decine di miliardi di euro..... Inoltre “pareggio di bilancio”, “fiscal compact” e MES (Meccanismo Europeo Stabilità) evidenziano, ormai, che non ci sono principi etici e tutela del bene comune alla base di questi sistemi e procedure che invece stanno modificando e modificheranno  profondamente i principi e le fondamenta costituzionali delle Democrazie degli Stati europei. Se i rapporti tra i partners europei non sono paritetici e fondati sul rispetto reciproco, l'Unione Europea finisce con l'essere un'espressione vuota. Il coronavirus ha soltanto accentuato per tutti, anche per i più resistenti, la crisi delle istituzioni europee. In pratica, il coronavirusha creato i presupposti perché il dopo sarà completamente diverso dal prima. A mio avviso, pur se con differenti presupposti culturali, questa crisi dell’UE è stata “gridata” con toni e metodi che non condividiamo, da politici di destra, sovranisti e populisti; ma non è che per questo siamo indotti ad una conclusione che ci faccia condividere queste scelte di partiti politici. Certamente siamo arrivati a un punto fermo per tutti: ripensare l’Unione Europea quella dei Popoli e non delle Banche, ripensare l’Europa di tutti i Paesi con pari dignità, ripensare l’Europa senza un asse di guida preferenziale Franco-Tedesco che ha perso la sua leadership e credibilità nella Governance, ripensare l’Europa che ha addirittura “relativizzato” gli Anziani, come scarto della Società, perché sono da considerare come un peso economico per il loro elevato costo sociale. Una visione che certamente è respinta da chiunque condivida principi di umanesimo, di rispetto della dignità della persona, principi di umanesimo cristiano. Dunque, ripartiamo in tutti i Paesi dell’Europa, Insieme tra tutte le generazioni, a ripensare all’Unione Europea, riscrivendo una nuova carta di valori etici, realmente condivisi e perché no anche di valori cristiani, non rifiutando a priori di riconoscere l’origine giudaico-cristiana delle nostre comuni radici, come invece abbiamo fatto fino ad ora. Con coraggio e umiltà, virtù etiche, mettiamo al centro delle scelte politiche la persona con la sua dignità e il suo sviluppo integrale. Ridiamo Speranza e Futuro ai giovani italiani perché possano realizzare un nuovo Rinascimento nell’era digitale. Torna all'Appello  
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