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1501. Human Computer Interaction International 2018  
24 LUGLIO 2018 Dal 15 al 20 luglio si è svolta a Las Vegas "Human Computer Interaction International 2018", un'importante conferenza che riunisce centinaia di ricercatori da tutto il mondo intorno al tema delle possibilità e delle sfide relative all'interazione tra l'uomo e le nuove tecnologie di comunicazione. Quest'anno il DASIC ha contribuito all'organizzazione di una delle sessioni della conferenza, dal titolo "Quality in Interaction", durante la quale sono stati presentati alcuni lavori applicativi e teorici legati a nuovi approcci che mirano a migliorare e valutare la relazione tra l'uomo e i prodotti (fisici e digitali) con i quali interagisce. La sessione è stata moderata da Antonio Opromolla, assegnista di ricerca del DASIC. Nel corso della conferenza sono stati presentati due paper scritti dai ricercatori del centro. Il primo paper dal titolo "Chatbot in a Campus Environment: Design of LiSA, a Virtual Assistant to Help Students in their University Life" e scritto da Massimiliano Dibitonto, Katarzyna Leszczynska, Federica Tazzi e Carlo Maria Medaglia è stato presentato da Massimiliano Dibitonto. Si tratta di una ricerca sull'utilizzo dei chatbot in ambito universitario, in particolare focalizzato sull'applicazione e sulla relativa sperimentazione svolta proprio all'interno della Link Campus. Il secondo paper dal titolo "Improving Quality of Interaction with the Mobility Services through the Gamification Approach" e scritto da Valentina Volpi, Giovanni Andrea Parente, Guido Pifferi, Antonio Opromolla e Carlo Maria Medaglia è stato presentato da Antonio Opromolla. Si tratta di una ricerca sulla possibile applicazione degli elementi di gamification ai servizi di mobilità, riflettendo sulle fasi del viaggio in cui potrebbero essere applicati elementi di gioco e sui possibili dispositivi da impiegare. Visualizza Foto  
1502. Le crypto di Stato? Premature, ma arriveranno  
12 Giugno 2018 Da https://cryptonomist.ch/it Al recente convegno organizzato dal SUERF presso il centro BAFFI CAREFINdell’Università Commerciale Luigi Bocconi, ha avuto un certo peso l’intervento di Fabio Panetta, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia sul tema delle Central Bank Digital Currency, cioè le valute digitali emesse dalle banche centrali, oggetto di studio da parte di diversi istituti nazionali. Panetta ha posto in luce come le CBDC possano essere emesse da parte delle Banche centrali, anche se con alcune cautele per quanto riguarda il grado di tutela della privacy e la soluzione dei problemi tecnici riguardanti la sicurezza dello strumento. Ha però anche sottolineato che la loro emissione non è certo all’ordine del giorno in Banca d’Italia. Su questo tema abbiamo intervistato il Professor Antonio Maria Rinaldi, docente di Finanza Aziendale  presso l’università “G. D’Annunzio” di Pescara e di Organizzazione dei Processi Economici presso la Link Campus University di Roma. Professor Rinaldi, cosa ne pensa della posizione di Banca d’Italia che sembra escludere, sicuramente a breve, l’emissione di CBDC? Se leggiamo con attenzione l’intervento del Vice Direttore, Fabio Panetta, comprendiamo chiaramente le perplessità di Banca d’Italia: si teme di togliere una fonte di reddito rilevante per il sistema creditizio. In una situazione in cui il margine d’intermediazione del sistema bancario è ai minimi a causa della politica monetaria della BCE, le commissioni derivanti dalla gestione dei sistemi di pagamento sono un elemento essenziale nei bilanci delle banche. L’introduzione di una CBDC, che permetterebbe transazioni monetarie dirette a costi minimi, se non pari a zero, cancellerebbe questa ricca fonte di reddito e quindi potrebbe mettere ulteriormente in crisi le nostre banche. Peccato che questi redditi siano garantiti dal sistema economico nel suo complesso, cioè dalle aziende e dalle famiglie, che pagano questi costi in prima persona, per cui, in questo modo, si perpetua una rendita di posizione del sistema bancario e non si incentiva l’efficienza. Eppure nello scritto di Banca d’Italia si ammette che l’introduzione delle CBDC potrebbe avere un effetto positivo, soprattutto verso chi è marginalizzato dal sistema bancario… Certo, come riconosce il dott. Panetta, ad oggi una fetta importante della popolazione italiana è esclusa dal sistema bancario ma potrebbe avere accesso ai sistemi di pagamento elettronico. Si tratta di una fetta non secondaria, pari al 7% delle famiglie, 1,8 milioni di persone, che non utilizzano i conti bancari spesso non per scelta volontaria, ma perché esclusi da vicende economiche personali. Penso a tutti coloro che hanno segnalazioni presso il CRIF, tali da non permettere di accendere un conto corrente. La Banca d’Italia preferisce tutelare una fonte di reddito per un sistema comunque obsoleto, piuttosto che fornire uno strumento di pagamento a chi ne avrebbe bisogno. Nel suo intervento la Banca d’Italia mette pure in evidenza le storture che una criptovaluta potrebbe generare nella gestione della politica monetaria. Cosa ne pensa? E’ tutta una questione legata alla distribuzione e alla gestione del mining di questa ipotetica CBDC. Se il mining fosse centralizzato, senza alcuna maturazione di interesse, non vi è dubbio che non vi sarebbe differenza fra CBDC e normale valuta fiat dal punto di vista della politica monetaria, perché le quantità emesse sarebbero comunque determinate a monte dall’autorità monetaria. Se si utilizzassero invece soluzioni diffuse sarebbe necessario per la Banca Centrale mantenere il controllo del mining presso i singoli operatori, sia che si trattasse di istituti intermedi, sia che si trattasse dei singoli cittadini. Ebbene, nulla ci vieta di immaginare una soluzione in cui il mining, magari PoS (Proof of Stake, in cui la generazione di criptovalute non dipende dall’elaborazione dei dati, ma dal possesso della valuta stessa) viene concentrato in istituti di credito che quindi trasferiscono l’interesse generato al cittadino. Oppure di vedere la stessa attività completamente decentralizzata e in mano al cittadino, che potrebbe svolgere un limitato mining dal proprio wallet. La Banca Centrale dovrebbe comunque avere il controllo delle quantità di mining concesse agli altri utenti. Anzi, avremmo uno strumento monetario veramente efficace perché interverrebbe in modo istantaneo sui redditi delle famiglie in caso di recessione economica, evitando i ritardi e i costi funzionali dei normali strumenti di politica monetaria. Lei ritiene che in futuro la Banca d’Italia tornerà sui propri passi? Personalmente posso concordare con il dott. Panetta che l’emissione di una CBDC sia ancora prematura e richieda maggiore studio, anche dal punto di vista della sicurezza, della privacy e dei costi transazionali. Inoltre c’è un grosso problema: quale dovrebbe essere l’attore demandato alla gestione, la BCE o le Banche Nazionali? Sono però convinto che si tratti solo di un rinvio, perché non si può fermare l’evoluzione dell’economia solo per la tutela di interessi particolari, per quanto rilevanti.  
1503. Iranian Great Game in Syria: Strategy and Interests  
04 Giugno 2018 Another important actor in the Syrian crisis, it can only be Iran. The Tehran-Damascus alliance The alliance between Iran and Syria is a historical constant. A strategic axis since 1979, the year of the Iranian Revolution.It is a privileged relationship that revolves around three factors: hostility towards Israel, the counter-balancing of Western influence in the Middle East and the containment of revanchist Sunnism. The role of Iran has long been deepened in relations with Syria. In 1980, Syria was the only Arab country to line up with Tehran in the war against Saddam Hussein’s Iraq, providing them with weapons and materials, ground-to-air missiles and anti-tank rockets, also empowering Iranian aviation pilots to land in Syrian bases in case of emergency. Last but not least, he trained groups of Kurdish-Iraqi dissidents.In return, he received oil at bargain prices and, later, know-how for the chemical weapons program. History teaches that the Damascus-Tehran axis is very similar to an iron pact. Difficult to crack in the future. In the Syrian crisis, the spheres of influence and geographical maps are redrawn. In an increasingly probable partition of Syria into spheres of influence, Iranian projects are far-sighted. And Teheran is investing his best brains there. Otherwise the continued presence on the front of Major General Qassem Suleimani, number one of the Quds forces would not be explained otherwise. The man responds directly to the Supreme Leader of the Revolution, Ali Khamenei. It is often very early to galvanize Syrian, Iraqi, Afghan, Pakistani Shia militias and the ubiquitous Hezbollah, which has lost a third of its men in the fighting in recent years. Iranian aid to Syria But what is actually the Iranian contribution to Syria? Since 2011, Teheran immediately went to the aid of the Syrian ally, put in trouble by the first internal sediments. The Ministry of Intelligence and Security (VEVAK) already had listening and interception centers in the north-east of the country and near the Golan. He monitored the situation in the framework of the mutual defense treaty with Syria, providing crucial help both in terms of public security and intelligence. When the situation plummeted, at the beginning of 2011, Mohammed Nasif Kheirbek, a man of the Assad clan and of national intelligence, offered himself as an intermediary with the Iranians. He promoted the creation of a set of storage and arsenal warehouses at Latakia airport, where the Russians nowadays. The mission was successful, because the industrial complex of the IEI (Iranian Electronic Industry), a defense contractor, immediately activated, transferring precious materials to the Syrian General Intelligence Directorate: from radio-frequency disturbers to field jammers, for a value of no less at 3 million dollars. The IEI is also active in the space field, so much to produce the series of observation satellites Fajr (50 kg), one of which launched two years ago. Iranian experts began shuttling with Damascus to form anti-rebellion units and provide surveillance know-how for telephone and computer networks. There is a kind of general rule in the Iranian organization, because usually the Ministry of Intelligence and Security provides information, logistical support and transmissions; the pasdaran do the work on the “field” and the Quds forces deals with the most daring and violent operations. The Revolutionary Guardians have a long experience of counter-insurgency operations. The most experienced men, from the hottest provinces of the country, have been sent to the Assad court. When Damascus began to lose ground to the north and east, in the summer of 2012, Teheran punctuated its defenses in the central and southern reduced. He helped Assad train new military units and train the old ones. Between 2011 and 2012, Iran has also started the formation of groups of Shiite militia, with a twofold aim: to balance the disintegration of the Syrian military apparatus, strengthening its mass of maneuver, and guaranteeing a stable force in the event of overthrow of the Assad regime. According to some US experts, the National Defense Force (Syrian military group organized by the government of President Bashar al-Assad) was wanted and trained by members of the Pasdaran and Hezbollah. It is about 50-70,000 men, mainly Shiite Syrians and Alatiti. It even pays wages, which range from 100 to 160 dollars per month, depending on the grade. He also mobilized former Iraqi Shiite militiamen and formed the Abu Fadl al-Abbas brigade first, followed by several others. Even the notorious Hezbollah brigades in Iraq, the fighters of Asa’ib Ahl al-Haqq and the irregulars of the Badr militia passed to action, receiving orders, weapons and equipment from Tehran, which guaranteed the regime motivated men and an indispensable logistic support, by air. The Pasdaran have also recruited new fighters among Afghan refugees in Iran. The operation was so successful that already in mid-2014, an entire “Afghan” brigade was reported in Syria, with a core of 2,500-4,000 men, also foraged with Iranian salaries of 500 dollars a month. Many militiamen today are proud to fight for the pasdaran or the Lebanese Hezbollah, rather than for Assad. Hezbollah in Syria It is not clear how many Lebanese Shiite militiamen are in the theater: estimates range from 2,000 to 4,000, including reservists. Which would equate to about a quarter of the movement’s availability. Each zone of Hezbollah operations has an independent command. The operatives would act within multinational units, including pasdaran, members of the Quds force and other militia, coordinated with the regime’s regular units and the Russian advisers. But there is an exception, along the Lebanese border, where Hezbollah responds to no one and moves independently, not so much to protect the Shiite populations, but rather to preserve the transit corridors of Iranian weapons. Since 2000 at least, the Pasdaran have used the Syrian platform for arms transfers to Hezbollah. With the ongoing conflict, the air route has become the safest and has supplanted the land and sea routes. Commercial companies also collaborate in the “air bridge”: Iran Air, Mahan Air and Yas Air transport fighters, ammunition, rockets, cannons and anti-aircraft. Iranian military aid in Syria In the hundreds and so of commercial aircraft, military cargo is added: at least 3 Antonov An-74 and 2 Ilyushin Il-76. The traffic is intense. Teheran brings replacement parts for the T-72 MBTs, Falaq-2 rockets, Fateh-110 missiles, 120 mm howitzers, 107 mm rocket launchers, jeeps and other vehicles into Syria. Iranian technicians also contributed to the realization of the chlorine bombs, repeatedly used by the regime loyalists. Thanks to videos on Youtube, we have seen Iranian drones repeatedly fly over Idlib, Homs, Damascus and Aleppo: reconnaissance UAVs like the Mohajer 4, the Ababil-2, the Mirsad-1, the Shahed 129 and the Yasir. Most of the funds for the maintenance of the Syrian air fleet in Russia also come from Teheran. A mix of aid that is added to Russian support. Conclusion Since December 2013, Syrian sources have said that Iran’s commitment to the Syrian conflict has cost at least six billion US dollars each year, while other Western sources assume even double financial support. It is probable, according to multiple sources, that the most relevant clashes in Syria will cease at the end of this year 2018. The small clashes between the various ethnic groups and therefore among their external referents will probably not end yet. but the bulk of armed actions will certainly cease, now the areas of influence have stabilized. The first thing that stands out is that, despite everything, the forces of Bashar al-Assad have won. Of course, neither Assad nor Russia alone has the strength to rebuild the country.The game will be really hard when it comes to the time of reconstruction. The most important future lever of external influence will once again be the Syrian Arab Republic. Russia and Iran already hold the majority of reconstruction contracts, while they will acquire the vast majority of the public sector, to repay the military expenses they incurred to maintain the Assad regime.The World Bank estimates the cost of reconstruction to 250 billion. Other evaluations, less optimistic, but more realistic, think that the Syrian national reconstruction reaches up to 400 and even 600 billion US dollars. Six years after the outbreak of the conflict, in 2011, the great diaspora of Syrian businessmen met in Germany at the end of February 2017. From there the Siba, Syrian International Business Association was founded. With regard to the great Syrian reconstruction, Russian, Iranian and Chinese governments are already active and have already secured the largest contracts in the sectors of hydrocarbons, minerals, telecommunications, real estate construction and electricity grids. Returning to Iran, and to the reconstruction phase of Syria, Mohammad Bagheri, Chief of Staff of the Iranian armed forces announced his intention to build a naval base on Syrian territory. This is to control the sea in front of Lebanon, creating a further cause for concern for neighboring Israel and beyond. The idea of ​​an Iranian presence at a strategic point like the adjacent waters Beirut might not like Putin, which has its own base at Tartus, a true Russian outpost in the Mediterranean. Other sources close to Ayatollah Khamenei, on the other hand, speak of a possible base, even submarine, in an even more western area, between Cyprus or some Greek islands of the Dodecanese. In both cases the immediate effect would be a rise in tension throughout the Middle East area. Iran has never hidden on the other hand that its goal, with its participation in the war in Syria, is to dominate the region on the border with Israel to better keep the Jewish state in check.Now one last consideration: the development of the Iranian missile program. The increase in funds for the last year program confirm the willingness of the Iranian establishment to pursue the consolidation of missile capacity. Several military analysts judge Tehran’s most complete and advanced ballistic arsenal in the region. In addition to the variety of short and medium-range missiles, which guarantee an important defense system for the country, and increase the deterrence capacity on the Strait of Hormoz, in September 2017 Iran tested a missile named Khorranshahr, an Iranian version North Korean Hwasong-10, with a range of over 2000 kilometers, proving to be able to hit the main enemies in the region: Israel and Saudi Arabia. Pubblicato in collaborazione con il Centro Studi Geopolitica.info  
1504. Privacy le nuove disposizioni europee sulla protezione dei Dati  
29 Maggio 2018 Il prof. Francesco Corona, direttore del master in Ingegneria della Sicurezza, è intervenuto nella Sala delle Conferenze della Camera di Commercio di Perugia in occasione dell WorkShop dal titolo "PRIVACY le nuove disposizioni europee sulla protezione dei Dati" Nella giornata di approfondimento si è discusso di DGPR e Cybersecurity. Il prof. Corona è intervenuto sul tema CYBER INCIDENTS. All'evento erano presenti i massimi rappresentanti della Camera di Commercio di Perugia e in sala oltre c'erano 400 rappresentanti di imprese e liberi professionisti ed altre centinaia in collegamento in diretta streaming .  
1505. The South Caucasus on the International Arena: Overcoming the Zero-sum Game in the Region  
22 Maggio 2018 Gabriele Natalizia, docente di Relazioni internazionali dell'Università degli studi Link Campus University, ha partecipato al ciclo di incontri "The South Caucasus on the International Arena: Overcoming the Zero-sum Game in the Region" organizzato dalla Georgian Technical University di Tbilisi (15-18 maggio).  
1506. Corso Laurea in Dams  
3 AGOSTO 2018 Le selezioni per il Corso di laurea in DAMS si terranno il 14, 21, 28 settembre e il 5 ottobre 2018, alle ore 15.00, presso la nostra sede in Via del Casale di San Pio V, 44 a Roma. Orientamento Performer: Recitazione a memoria di un monologo o di una scena di dialogo (in italiano) da un’opera teatrale italiana o straniera del ‘900 a scelta del Candidato Prova di canto su un brano leggero o lirico a scelta del Candidato oppure 1 prova di ballo classico o moderno su un brano a scelta del Candidato Prova estemporanea scelta dalla Commissione d’esame Colloquio Orientamento Producer e Filmaker: Colloquio attitudinale con la Commissione esaminatrice  
1507. Vi spiego l’industria europea della difesa (e non solo). Parla Giuseppe Giordo  
07 Maggio 2018 Di Stefano Pioppi da Formiche.net Di fronte a una competizione internazionale che si fa sempre più feroce, l’industria europea della difesa è chiamata a un’opera di ampia ristrutturazione. Servono meno aziende ma più grandi, e scelte precise sulle tecnologie su cui investire. Parola di Giuseppe Giordo, presidente e ceo di Aero Vodochody, colosso aeronautico della Repubblica Ceca, intervenuto a Roma, alla Link Campus University, per tenere una lectio magistralis su “L’industria europea della difesa: situazione e prospettiva”. Già ad di Alenia Aermacchi, Giordo ha alle spalle una lunga esperienza nel settore aerospaziale. Oltre a guidare dal 2016 un’azienda che ha realizzato 11mila velivoli (più di 650 dei quali operativi), è oggi presidente dalla confederazione che riunisce le industrie ceche del settore, nonché membro del board di Sami, il nuovo protagonista dell’industria della difesa dell’Arabia Saudita. LE CARATTERISTICHE DELL’INDUSTRIA DELLA DIFESA “Quella della difesa è un’industria altamente tecnologica, ma con un fortissimo contenuto di forza lavoro, una delle poche industrie in cui l’automazione non funziona tanto”, ha detto Giordo aprendo la lectio magistralis. Si tratta di “uno dei settori in cui vengono fatti maggiori investimenti in ricerca e sviluppo”. In Europa, “ha un turn over che si aggira intorno ai 100 miliardi di euro, impegnando direttamente 500mila persone e, indirettamente, altri 1,2 milioni, con un effetto moltiplicativo dell’investimento tale per cui ogni euro investito in programmi relativi alla difesa ha un ritorno di 2 euro nel sistema economico”. Tra i settori che la compongono, quello dell’aeronautica e aerospazio “è forse il più trainante, con il maggior numero di imprese, una forte competitività sui mercati internazionali e importanti investimenti in ricerca e sviluppo”. Quello aeronautico è tra l’altro “l’unico campo dove ci sono state collaborazioni internazionali che hanno avuto successo”, ha spiegato Giordo ricordano i programmi Tornado ed Eurofighter, ma anche la joint venture missilistica MBDA, casi in cui “si è sorpassata la tendenza a competere tra Stati”. UNA PIRAMIDE A TRE LIVELLI A ogni modo, l’industria della difesa europea può essere descritta come “una piramide a tre livelli”, ha rimarcato Giordo. Il suo apice è rappresentato da “pochissime grandi aziende in grado di fornire un prodotto finito (come Dassault e Thales in Francia, Leonardo in Italia, o Saab in Svezia): si tratta di campioni nazionali dei singoli Stati che registrano fatturati annuali intorno ai 10 miliardi di euro”. CìSi tratta di “campioni nazionali che rappresentano gli interessi dei propri governi, molto posizionati sui mercati domestici, che controllano quasi al 100%, e dotati di una buona reputazione internazionale; essi cooperano e competono allo stesso momento”. Il secondo livello consiste in “un centinaio di aziende che partecipano ai programmi dei grandi player fornendo sistemi complessi e con fatturati annui di 1,5 miliardi”. Infine, ha aggiunto il ceo di Aero Vodochody, “il terzo livello è il più importante, quello su cui la politica industriale di un Paese deve puntare; si tratta di oltre 1.400 piccole medie imprese in Europa, con dimensioni molto inferiori rispetto alle altre, ma con partecipazione significativa ai programmi”. D’altronde, ha ricordato Giordo, “per le grandi piattaforme, normalmente l’impresa responsabile dà fuori il 70% del lavoro”. UN’EUROPA A MOLTE VELOCITÀ Eppure, il Vecchio continente sembra ancora lontano da una vera e propria integrazione del settore. “Quello che succederà all’industria della difesa europea in futuro dipende da quello che succederà all’Europa, e questo non è dato sapere”, ha spiegato Giordo. Tuttavia alcune indicazioni si possono dare: “La struttura industriale europea deve essere razionalizzata; ci sono troppe imprese e troppe aree con competizioni senza sinergie; bisogna avere meno aziende ma più grandi, e occorre dirigere gli investimenti verso solidi programmi europei che consentano all’industria continentale di mantenere il gap tecnologico rispetto alla competizione internazionale”. Può essere utile in questo la nascente difesa europea. “La Pesco è un tentativo di avere un embrione di bilancio comune e di identificare programmi su cui trovare sinergie”. L’idea è “brillante”, ha detto Giordo, pur intravedendo “un grandissimo rischio: che diventi solo uno strumento con cui due o tre industrie europee di altrettanti Paesi ricevano soldi e gli altri mettano solo contributi finanziari senza ritorni”. È questa una preoccupazione che arriva soprattutto “dall’atteggiamento francese e tedesco”, palesatosi nel recente nuovo annuncio sul “Futuro sistema da combattimento aereo”. IL CONTESTO INTERNAZIONALE Tutto questo mentre il contesto internazionale evolve con rapidità. Diverse imprese europee, ha notato Giordo, “non riescono a operare con la velocità che il mercato richiede e rischiano di perdere posizionamento soprattutto nel mercato internazionale”. E per l’Europa il riferimento internazionale restano gli Stati Uniti che, “con un mercato interno non comparabile con qualsiasi altro Paese e il grande supporto governativo”, presentano una “struttura industriale pragmatica, basata su competenza e centri di competenze che evitano duplicazioni e sovrapposizioni grazie a una politica industriale molto chiara”. Ciò è il risultato di “una ristrutturazione industriale avviata 15 anni fa, che ha portato a identificare i segmenti e la tecnologia su cui investire”. D’altra parte, anche la Russia presenta “grandissime ambizioni tecnologiche e di crescita”. Negli ultimi anni, “ha acquisito tecnologie che non aveva, soprattutto nell’elettronica e nei software, e così sta colmando il gap avuto per anni con Usa ed Europa”. Ciò, anche in questo caso, grazie a una “forte riorganizzazione industriale che probabilmente porterà presto alla nascita di un unico colosso del settore, tra l’altro privatizzato, pur conservando il forte supporto del governo”. Difatti, ha evidenziato Giordo, “non c’è visita internazionale in cui Putin non cerchi di vendere prodotti russi; e questo è un rischio perché la Russia compete in alcuni mercati in cui Europa vorrebbe accedere”. Se poi anche la Cina sta raggiungendo “un livello tecnologico pari a quello statunitense”, non bisogna dimenticare altri Paesi che sembrano distinguersi come esempi di “un sistema che si muove”: Turchia, Corea del Sud e Arabia Saudita. Quest’ultima, ha concluso Giordo, ha scelto il comparto della difesa “come elemento della Vision 2030 con cui punta a staccarsi dal petrolio e diversificare l’economia”.  
1508. RomHack - Cybersecurity Convention  
6 AGOSTO 2018 RomHack è un evento di sicurezza gratuito organizzato dall'associazione di promozione sociale Cyber Saiyan. L'edizione 2018 ha come filo conduttore il tema "Attacco e Difesa in una prospettiva di team, con focus specifico su scenari reali" e si terrà Sabato 22 Settembre ore 10:30 presso l'Università degli Studi Link Campus University I talk sono selezionati attraverso una Call For Papers che si è aperta il 9 Aprile e chiuderà il 15 Giugno 2018 Vuoi proporre un talk? Clicca qui e segui le istruzioni! Un comitato tecnico valuterà le proposte e comunicherà gli esiti entro il 15 Luglio 2018. Di questo comitato fanno parte i quattro membri del direttivo di Cyber Saiyan e quattro persone di comprovata esperienza nell'ambito della sicurezza. I biglietti gratuiti per partecipare a RomHack sono terminati, ma è ancora possibile aggiungersi alla lista di attesa su Eventbrite. Diventa Sponsor Supporta l'evento e contribuisci al suo successo, scegli di diventare sponsor ufficiale! Scrivi a info@romhack.io SPONSOR ORO SPONSOR ARGENTO SPONSOR TECNICI  
1509. Stati Uniti e Russia: ancora una volta rivali strategici  
03 Maggio 2018 da affaritaliani.it di Gabriele Natalizia, docente Link Campus University Lorenzo Zacchi, Centro Studi Geopolitica.info Il mondo sta per essere trascinato in una nuova “Guerra fredda”? È una delle domande a cui si è provato a rispondere nella conferenza Le relazioni tra Russia e Occidente nell’area Baltica e nel Caucaso. A cento anni dalla fine della Grande guerra, recentemente organizzata dalla Link Campus University con la collaborazione della Fondazione Egor Gaidar e della Fondazione Roma Sapienza. La dinamica di potere tra Stati Uniti e Unione Sovietica ha costituito per quasi mezzo secolo la vicenda centrale delle relazioni internazionali: due blocchi contrapposti, guidati da altrettante superpotenze alla ricerca dell’affermazione di un’egemonia globale, legittimata da modelli politici, economici e sociali antitetici. Una divergenza di interessi, quella tra Washington e Mosca, che da molti era spiegata con il ricorso alla variabile domestica: la rivalità avrebbe trovato origine nelle profonde differenze tra i rispettivi regimi politici delle due potenze. Questa era l’interpretazione di George Kennan nel famoso Long Telegram del 1946. Gli assunti del telegramma, poi riformulati in un famoso articolo di Foreign Affairs firmato da Mister X, furono radicalmente contestati da Walter Lippmann. Quest’ultimo interpretava la ricerca sovietica di una sfera d’influenza sull’Europa orientale e di un accesso al Mediterraneo come un’eredità dell’Impero zarista e, pertanto, sosteneva che doveva essere trattata come una “costante” della politica estera russa, dettata da condizioni esterne anziché interne. Il mutamento sistemico seguito al collasso dell’URSS, che ha determinato il passaggio dal sistema bipolare a quello unipolare a guida-statunitense, ha costituito la cornice da cui è scaturita la ben nota teoria di Francis Fukuyama sulla “fine della storia”. Questa ha condizionato profondamente il dibattito sia politico che scientifico in tutto il mondo per tutto il corso degli anni Novanta e Duemila. Meno noto al di fuori della comunità accademica, ma intimamente collegato alla prima, è stato il cosiddetto approccio transitologico, secondo cui la democrazia avrebbe avuto la capacità di attecchire universalmente e senza pre-condizioni. La “terza ondata di democratizzazione”, iniziata nel 1974 in Portogallo e culminata con il crollo dei regimi comunisti in Europa orientale nel 1989, sembrava confermare l’esattezza di tale lettura dei profondi mutamenti in corso. All’interno del nuovo contesto politico-strategico post-Guerra fredda, quindi, una parte cospicua dell’élite americana si convinse della possibilità di integrare la Federazione Russa nell’ordine liberale, qualora il suo processo di democratizzazione avesse prodotto un esito positivo. Tale convinzione ha trovato riscontro nel tentativo dei primi tre presidenti degli Stati Uniti eletti dopo il 1991 di integrare la Russia nel nuovo ordine internazionale: Bill Clinton con la politica del Russia first, George W. Bush con la collaborazione nella Global war on terror e Barack Obama con il Russian reset. Ognuna di queste iniziative, tuttavia, si è bloccata di fronte all’emergere di vecchi e nuovi ostacoli e ogni Amministrazione è terminata con uno stato dei rapporti con Mosca peggiore di quelli che aveva trovato al suo avvio. Nel secondo panel della conferenza alla Link Campus è stato evidenziato come le speranze di trasformare la Russia in un nuovo pilastro dell’ordine liberale siano andate via via sfumando con il suo progressivo rafforzamento. Uscita dal pantano ceceno alla fine dello scorso decennio e sostenuta da una forte crescita economica, Mosca è tornata a rivendicare il suo status di grande potenza. In questa fase si è anche arrestato il processo di democratizzazione iniziato dopo il collasso sovietico. La transizione verso una democrazia di tipo occidentale, se avesse mai preso inizio, è stata soppiantata dal consolidamento di un regime definito “democrazia sovrana” dalla classe dirigente russa, ma che i suoi critici non esitano a chiamare “democrazia guidata” (secondo Freedom House si tratta di un regime autoritario a tutti gli effetti). La Russia di Vladimir Putin, quindi, ha assunto una postura sempre più antagonista nei confronti del sistema internazionale a guida americana. Non a caso, è stata definita “potenza revisionista” nella National Security Strategy dell’Amministrazione Trump (dicembre 2017). Si è così rianimato il dibattito sulle ragioni profonde della competizione tra Stati Uniti e Russia, che ha nuovamente visto la contrapposizione tra quanti la imputano alla natura del regime politico russo e quanti a interessi strategici di lungo termine inconciliabili. Negli ultimi anni la competizione è divenuta particolarmente evidente nella crisi dell’Ucraina e nel conflitto siriano, verso i quali si è concentrata l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Tuttavia, proprio nel secondo panel della conferenza alla Link Campus intitolato Baltico e Caucaso, le relazioni tra Russia e Occidente tra passato e presente, è stato ricordata l’esistenza di altri e potenzialmente altrettanto critici teatri di confronto: su questi bisogna iniziare a ragionare prima che tensioni più o meno “latenti” (presenza di russi nell’Area Baltica) o “congelate” (i conflitti del Caucaso meridionale) si trasformino in vettori di ulteriori crisi tra i giganti della politica internazionale. *Link Campus University **Centro Studi Geopolitica.info  
1510. Le ragioni strategiche dello strike americano sulla Siria  
16 Aprile 2018 di Gabriele Natalia Come spiegato da Alessandro Colombo in “Tempi decisivi”, le crisi svolgono la funzione di svelare le verità che si celano all’ombra del confronto tra gli stati. Il bombardamento ordinato dalla Casa Bianca, oltre alla volontà punitiva nei confronti di Bashar al Assad, è sembrato volto più che altro alla ricerca di un effetto “smascheramento”. L’obiettivo, per il momento, è stato ottenuto. A essere smascherati sono stati, anzitutto, i reali rapporti di forza tra l’America e i suoi rivali strategici. Nonostante la diatriba sul numero dei missili tomahawk intercettati dai russi, è emerso ancora una volta che quando i nodi della politica internazionale vengono al pettine e si passa dalla guerra “sotto altre forme” al ricorso diretto alla violenza nessuno – neanche Mosca – è nelle condizioni di sfidare Washington. La sostanziale passività della Russia, inoltre, svela il fatto che il suo impegno in Siria non abbia quale suo obiettivo prioritario né la salvezza del regime baathista, né la lotta allo Stato Islamico, ma la preservazione delle sue posizioni strategiche a Tartous e Latakia. D’altro canto, viene svelato anche il peso specifico in campo militare dell’Iran. Il contributo di Teheran è stato determinante per la riconquista di alcune importanti città siriane, ma risulta ininfluente quando dalla dimensione terrestre dei combattimenti si passa a quella aerea. Infine, il bombardamento lancia un monito a Damasco. Riafferma, infatti, la disponibilità degli americani al ricorso alla forza quando le “linee rosse” tracciate da Washinton vengono superate, a differenza di quanto accaduto nell’estate del 2013 con l’Amministrazione Obama. Questa dimostrazione potrebbe dissuadere per il momento Assad a realizzare la riconquista del settore nord-est della Siria in mano alle milizie curde. Il secondo “smascheramento” riguarda i rapporti tra gli Stati Uniti e i loro alleati. Il sostegno fornito da Gran Bretagna e Francia, da un lato, rafforza ulteriormente la special relationship tra Washinton e Londra, una scelta obbligata per Downing Street dopo la Brexit; dall’altro, evidenzia il nuovo corso dei rapporti tra la Casa Bianca e l’Eliseo, al di là delle differenze personali di stile e cultura politica di Trump e Macron. Allo stesso tempo mette a nudo la verità rispetto a due alleati come Israele e Turchia, che negli ultimi anni hanno assunto posizioni quanto meno ambigue nei confronti della Russia. Sia Gerusalemme che Ankara hanno assunto pubblicamente una posizione favorevole allo strike, che resterà da vedere se potrà modificare il corso delle loro relazioni con Mosca. Dalla prospettiva italiana, invece, almeno per una volta l’assenza di un governo con “pieni” poteri sembra essere una fortuna (a dispetto di quanto dichiarato dal presidente della Repubblica Mattarella). L’interesse dell’Italia è quello di evitare la degenerazione dei rapporti tra Stati Uniti e Federazione Russa, che metterebbe in crisi l’equilibrismo politico che vuole Roma da sempre alleata di Washington, ma con ottimi rapporti con Mosca, per compensare la sua debolezza in sede europea. Un ulteriore peggioramento delle relazioni tra le due potenze ci costringerebbe a una scelta, che non è difficile immaginare sarebbe quella del campo occidentale qualunque sia il nuovo esecutivo. Ma, per l’appunto, il governo ancora non si è formato e l’Italia si può permettere il lusso di non decidere.  
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