Cerca nel Portale

Search words under length of 4 characters are not processed.
1737 results:
1401. Italia, big player del Mediterraneo. Occasione perduta o prospettiva concreta?  
06 Aprile 2020 del Generale Massimiliano Del Casale da Affari Italiani La tregua annunciata da Khalifa Haftar, mirata a dare un po’ di respiro al martoriato popolo libico nel tempo del Coronavirus, sembra non reggere. Anche in questi giorni, si registrano attacchi da ambo le parti che, sebbene sporadici, non danno pace al nostro vicino d’oltremare. L’iniziativa è sempre salda nelle mani dell’uomo forte di Bengasi: solo una settimana fa, a Tripoli sono piovuti missili lanciati da milizie dell’Esercito di Liberazione Nazionale (LNA) che hanno colpito i quartieri della città vecchia, non lontano dall’ambasciata italiana. Eppure, segnali distensivi per una possibile cessazione delle ostilità erano stati lanciati nei giorni immediatamente precedenti. Segnali peraltro prontamente raccolti dall’ambasciatore Buccino Grimaldi che, nello stigmatizzare l’ennesima violazione del cessate il fuoco, seguito alla conferenza di Berlino dello scorso gennaio, ha chiesto di tentare una ricomposizione del confronto nell’ambito del “Dialogo 5+5” e, in particolare, dei lavori della Commissione Militare Congiunta. Invito subito raccolto e fatto proprio anche dalla rappresentanza delle Nazioni Unite (UNSMIL). E’ evidente il tentativo della comunità internazionale di tentare un abbassamento del livello di scontro tra al-Serraj e Haftar in un passaggio storico tanto drammatico, in cui la strada per neutralizzare gli effetti del Covid-19 appare tutta in salita, sia per livello di propagazione che per durata. La sensazione è che la situazione di emergenza globale terminerà solo con l’arrivo del vaccino.  Di conseguenza, al momento, è forte anche l’auspicio di ricomporre un confronto, da tempo ampliatosi sul piano internazionale, tra Russia e Turchia, con la Francia sempre più assertiva nello scenario libico.  Ma la geo-politica non si ferma, come non si fermano, nemmeno in questo terribile momento, le manovre per acquisire il maggiore vantaggio possibile, una posizione di maggior favore allorquando l’emergenza terminerà e l’attenzione mondiale si concentrerà di nuovo anche sul Mediterraneo. Nelle settimane appena trascorse, la Turchia ha trasferito migliaia di miliziani provenienti dall’area di Idlib e, più in generale, dal teatro siriano, a disposizione del Governo di Accordo Nazionale di Tripoli. Sull’altro fronte, mercenari e miliziani russi e sudanesi stanno alimentando l’esercito del generale Khalifha Haftar, forte anche dell’appoggio di Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi che, in ragione anche della strada intrapresa per una soluzione della guerra civile nello Yemen, possono adesso guardare all’alleato libico con una maggiore “apertura di credito” nel confronto contro Tripoli. Un’apertura di credito che si traduce in forte supporto finanziario e prezioso approvvigionamento di materiali d’armamento.Inutile sottolineare come le numerose parti in causa non si facciano alcuno scrupolo di violare la Risoluzione 2473 dell’ONU, dello scorso anno, in materia di embargo di risorse umane e materiali d’armamento. Ma la posta in gioco è altissima e troppo importante per allentare la presa in un momento in cui dobbiamo confrontarci con una gravissima pandemia che sta decimando la popolazione mondiale. E la prospettiva di una gravissima quanto inevitabile recessione verso la quale molti Paesi, Italia compresa, sembrano avviarsi alimenta l’assertività dei diversi playesr, non solo per espandere influenza geo-politica, ma anche per trarre nell’immediato un vantaggio economico e commerciale dalla nuova ripartizione della “torta energetica libica”, destinata a modificarsi molto significativamente in un futuro ormai prossimo.Il 9 marzo il generale Haftar ha fatto visita al presidente Macron, a Parigi. Il quotidiano Le Monde ha ipotizzato per la circostanza la definizione di un accordo: sbloccare il commercio di petrolio nelle aree controllate dalle milizie di Bengasi in cambio di denaro destinato direttamente a società finanziarie della Cirenaica, eludendo quindi la Banca Centrale Libica di Tripoli che pure ha garantito sinora equanime ridistribuzione dei proventi derivanti dalle esportazioni complessive di greggio. Il giornale parigino ha definito l’accordo una “roadmap inclusiva”. Il disegno francese, pur lasciando trasparire talune difficoltà nell’arginare gli imprevedibili atteggiamenti dell’uomo forte di Bengasi, mira a rendere sempre più ampia la forbice di una sua alleanza con la Russia che, più di recente, ha assunto una posizione di maggiore equidistanza tra le parti in conflitto. E’ altrettanto evidente come Parigi giochi una propria partita in Libia, lontana dalle posizioni dell’Unione Europea e, più marcatamente, in contrasto con la presenza e l’azione politica dell’Italia. Dall’altra parte dello schieramento, le cose non sembrano andare meglio. Tutt’altro.Dopo tanti sforzi di mediazione da parte della comunità internazionale -Italia compresa- ispirati dalla volontà di perseguire una soluzione diplomatica della crisi, cercando al contempo di neutralizzare sul piano politico, prima che economico-commerciale, le usuali invasioni di campo, specialmente ad opera dei vicini d’oltralpe, la situazione si è di fatto arenata innanzi alle richieste di un “intervento sul campo”, avanzate a più riprese al nostro governo da Fayez Al-Serraj. Nel novembre dello scorso anno, sul punto di capitolare sotto gli attacchi di Haftar, giunto ormai alle porte della capitale, Tripoli ha chiamato in suo aiuto la Turchia che è immediatamente intervenuta con i miliziani provenienti dal fronte siriano e con ingenti quantitativi di materiale d’armamento, oltre che con istruttori e consiglieri militari e funzionari civili. In cambio, Erdogan e Al-Serraj hanno immediatamente sottoscritto importanti accordi destinati a modificare la mappa dello sfruttamento degli impianti della National Oil Company (NOC) di Tripoli e a dare la possibilità di avviare una nuova campagna di prospezioni nel territorio. Un grave danno per quanti, come ENI e TOTAL -ma non solo- operano da tempo in Libia. In più, sempre sul finire del 2019, i due paesi hanno definito un accordo per individuare una nuova Zona di Esclusivo interesse Economico (ZEE) compresa tra la costa turca, tra Kas e la penisola di Marmaris, a ovest di Antalya, e la Cirenaica, in contrasto con le posizioni dell’UE, dell’Egitto, degli USA e contro gli interessi di Grecia, Cipro, Egitto e Italia, sia a carattere giurisdizionale, poiché la nuova ZEE attraversa le acque territoriali della Grecia, che commerciale in quanto la fascia di Mediterraneo individuata registra  già da molto tempo un’intensa attività estrattiva off-shore di compagnie petrolifere autorizzate, comprese ENI e TOTAL. Un’iniziativa unilaterale, priva della necessaria legittimazione delle Nazioni Unite e, pertanto, al di fuori dell’ortodossia del Diritto internazionale. In sostanza, una decisione che è destinata ad incrementare l’instabilità nel Mediterraneo e, possiamo esserne certi, costituirà oggetto di confronto, politico ed economico. Il 23 marzo scorso si è tenuta una video-conferenza a livello di ministri degli esteri dell’UE incentrata sul monitoraggio dell’embargo di armi alla Libia. Un meeting di cui in realtà non vi è rimasta alcuna traccia significativa. Un risultato che dovrebbe preoccupare soprattutto il nostro Paese che, più di qualsiasi altro, rebus sic stantibus, è destinato a perdere spazi e ruolo. E senza dover nemmeno attendere la conclusione del conflitto. Oggi, gli impianti dell’ENI sono praticamente fermi, tutti ubicati in aree controllate dal generale Haftar. Le attività estrattive sono limitate alle piattaforme off-shore di Bouri e di Bahar Essalam, al largo di Tripoli, oltre che dal funzionamento del Green Stream, l’importantissimo gasdotto che convoglia il gas estratto nelle aree di Wafa, nella provincia di Mellitah, verso gli impianti di Gela. Gli accordi sopraggiunti con la Turchia rischiano di esautorare la presenza italiana, ponendo a rischio l’alimentazione energetica del nostro Paese. Di fatto, l’approccio “europeo”, sempre estremamente fermo e tenace in materia di rispetto dei vincoli di bilancio o di impiego del c.d. “fondo salva Stati” (MES), appare balbettante, indeciso e distante dai grandi temi di difesa e sicurezza (salvo i recenti orientamenti assunti in materia di Cooperazione Strutturata Permanente - Pe.S.Co.) e di politica internazionale. La questione libica non fa eccezione. Ogni iniziativa per una soluzione della crisi è stata sinora lasciata alle Nazioni Unite. Non aiuta in tal senso la posizione dei paesi del nord, il cui unico pensiero, in termini di minaccia alla sicurezza comune, è rivolto ad est, nonostante il vertice di Varsavia dei capi di governo dei paesi NATO (giugno 2016) abbia riconosciuto che il fianco sud dell’Europa è chiamato a fronteggiare una  “minaccia emergente”. Questa la ragione per cui, da una propria prospettiva nazionale (o, meglio, nazionalistica), al momento, l’atteggiamento dell’Eliseo, che si è sempre mosso in maniera “parallela”, appare essere pagante o più appropriato nel salvaguardare un interesse nazionale. E l’Italia?L’Italia, come accennato, ha sempre cercato di ricomporre le sorti del conflitto e guardare ad una futura nazione libica pacificata, unita e finalmente avviata verso un processo di democratizzazione. Tutto questo per due ragioni fondamentali: evitare una frattura del paese in zone di influenza, una “balcanizzazione” pericolosa sia per la stabilità dell’intera area mediterranea sia per le politiche energetiche nazionali che guardano oggi all’ENI come al partner industriale più importante e presente su tutto il territorio del paese nord-africano. Vero strumento di politica estera, in quanto risorsa fondamentale anche per il popolo libico.   Il nostro Paese è poi impegnato in una difficile opera di contrasto alla criminalità che si finanzia attraverso il traffico di essere umani. In prima linea a fronteggiare i grandi flussi migratori provenienti dall’Africa sahariana e sub-sahariana, causati da carestie, siccità e guerre locali, dalla carenza di risorse idriche che ciclicamente sconvolgono i territori di gran parte di quel continente. Uomini e donne in fuga verso l’illusione di una vita migliore. Flussi migratori provenienti anche dal Medio Oriente, dalla guerra civile in Siria, da quella in Irak. Popolazioni in fuga anche dall’Afghanistan che sulle coste libiche trovano i punti dai quali spiccare l’ultimo salto verso l’Europa. Si tratta di un fenomeno che si è aggiunto al conflitto interno scatenatosi all’indomani della caduta del regime di Gheddafi, prima, e della guerra contro Daesh, poi, e di nuovo con l’attuale guerra civile.Ma, a fronte di tali emergenze, della necessità assoluta di salvaguardare gli interessi nazionali -prima di tutto, quelli energetici-, di seguire da vicino e con continuità l’evolversi della crisi al fine di prevenirne qualsiasi escalation, di monitorare le sorgenti dei flussi migratori in modo da contrastare più efficacemente il traffico di esseri umani, di tenere sempre vivo il dialogo con le maggiori tribù del sud della Libia che detengono da sempre il controllo sociale dei propri territori e che pure eravamo riusciti ad avvicinare almeno a tutto il 2017, l’Italia ha sempre dato la sensazione di non riuscire a dominare gli eventi, assumendo iniziative isolate e nelle sole fasi emergenziali. E tutto questo, nonostante l’incipit delle varie amministrazioni americane ad assumere il controllo e il coordinamento di qualsiasi iniziativa, sia politica che operativa, nel Mediterraneo centrale: ma nulla è di fatto accaduto. Piuttosto, siamo stati sempre alle prese con una faticosa azione di controllo o contrasto alle varie ONG che affollano il Mediterraneo centrale con le proprie imbarcazioni.  Gli esiti della conferenza di Berlino, del 19 gennaio scorso, rappresentano al meglio il senso dell’attuale situazione. I media hanno sottolineato i pericoli connessi ad un accordo -o, meglio, ad un “mezzo accordo”, visto che le parti direttamente interessate non erano presenti al tavolo della trattativa e che il generale Haftar non ha nemmeno firmato il documento finale- per un immediato cessate il fuoco in Libia. Eppure, si ha la sensazione che nessun’altra iniziativa sia realmente decollata, né da parte europea né da quella nazionale. La stessa Missione marittima “Irene”, di contrasto al traffico di armi dirette in Libia su ambo i fronti e che dovrebbe a giorni aver inizio in concomitanza con la conclusione dell’Operazione “Sophia”, prorogata sino al 31 marzo, non riesce ancora a trovare una linea di azione condivisa. L’Unione Europea intenderebbe infatti fare ancora una volta riferimento ai porti italiani come luogo di approdo sicuro per gli eventuali profughi o naufraghi che le navi militari dovessero intercettare nel corso della missione, incontrando questa volta l’avviso contrario del nostro governo.Peraltro, lo scenario libico pare destinato ad affollarsi sempre più. E’ di questi giorni l’annuncio del ministro dell’interno tripolino, Fathi Bashaga, di un’offerta avanzata agli Stati Uniti di aprire una base militare nel territorio ancora sotto il controllo di Al-Serraj con lo scopo dichiarato di realizzare una base di partenza per il contrasto al terrorismo nel Sahel e con quello, implicito, di evitare di consegnare la Libia ad Haftar e ai suoi alleati, russi, sauditi ed emiratini, trovando ulteriore e decisivo sostegno dall’eventuale intervento americano. Accetterà il “tycoon”? Difficile dirlo. Nella primavera dello scorso anno, i militari USA lasciavano definitivamente Tripoli per non farsi coinvolgere oltre, nel conflitto. La policy “America first”, tanto cara a Donald Trump, non lascia intravedere al momento un’ipotesi del genere che comporterebbe un ingresso al fianco del GNA. D’altra parte, non va dimenticato che il generale Haftar ha trascorso oltre dieci anni di esilio negli States, possiede un passaporto americano e tra i suoi alleati vi è l’Arabia Saudita, alleato di ferro (ancora per il momento, almeno) nel Medio Oriente. Certo, rispetto alla primavera del 2019, molte cose sono cambiate in Libia, soprattutto sul piano internazionale. E’ apparsa con forza la Russia, sempre più determinata ad assumere come non mai una posizione di preminenza geo-politica nell’unico “mare caldo” che le è consentito, dopo aver messo le radici nelle installazioni militari siriane (il porto di Tartus e la base aerea di Latakia). La Turchia, che avanza verso Ovest con una determinazione ed una assertività che la spingono ad assumere iniziative al limite dell’ortodossia del Diritto internazionale. La Francia, d’altra parte, gioca sempre su più tavoli: segue le decisioni dell’Unione Europea, non si contrappone al leader di Tripoli, ma fornisce supporto militare a livello di forze speciali ed intelligence alle milizie di Bengasi con l’evidente scopo di capitalizzare sul piano commerciale ed energetico gli esiti di una risoluzione del confitto in atto.E tutto ciò, in epoca di Coronavirus!Non ci si può aspettare uguale intraprendenza dall’Italia. Non abbiamo mai dato segnali del genere nella nostra storia recente. Raramente abbiamo avviato attività negoziali unilaterali, per quanto mirate a tutelare gli interessi del Paese, ma sempre e solo nel quadro di iniziative assunte da organizzazioni internazionali. Men che meno poi attività operative, peraltro, con uno strumento militare che negli anni è stato adattato e dimensionato alle esigenze di bilancio dello Stato piuttosto che ad una visione strategica di politica estera e di sicurezza di cui costituisce, tra le varie, naturale espressione.Ma esiste una cura, una favorevole prospettiva d’intervento di fronte all’incalzante mutare dello scenario libico, che al momento ci vede in soggezione di quota? Possiamo fare in modo che le nostre speranze di stabilità in un paese distante meno di 400 chilometri dalle coste italiane e senza pace da così tanto tempo non debbano essere legate solo ad un assai improbabile ravvedimento della comunità internazionale o piuttosto al ruolo che potrebbe ancora giocare la presenza (e il funzionamento!) dell’ENI in Libia?Tante le situazioni che si dovrebbero modificare. Difficile essere ottimisti. Un eloquente indicatore è rappresentato dai media nazionali che da mesi non dedicano spazio alcuno all’evoluzione di questa crisi e alle tante iniziative -promosse da altre realtà statuali- che ruotano attorno ad essa.Nella “Realpolitik”, la risposta.Se spostiamo lo sguardo più a est, scopriremo che vi sono ancora molte opportunità che vale la pena cogliere e sviluppare, ma con concreta convinzione e continuità.Una di queste, forse la più importante in una prospettiva di medio termine, è l’East Med Gas Forum (EMGF), un “tavolo” al quale siedono i ministri dell’energia di Cipro, Egitto, Grecia, Israele, Italia, Giordania e Autorità Nazionale Palestinese, istituito al Cairo nel gennaio 2019 e finalizzato ad agevolare la creazione di un mercato regionale del gas, ma che potrebbe esso stesso recitare un ruolo di player geo-politico prima che economico-commerciale. Non a caso, la Francia sta già chiedendo di entrare a farvi parte. Il forum mira alla cooperazione energetica nel Mediterraneo orientale e pone al centro della propria progettualità la realizzazione dell’EastMed, il gasdotto che convoglierà il gas estratto in quel quadrante regionale, a partire dal territorio israeliano e continuando con i ricchi, recenti giacimenti off-shore al largo di Israele, dei territori palestinesi e quelli che circondano l’isola di Cipro, verso il continente europeo, attraverso la Grecia e l’Italia. Un investimento da sei miliardi di dollari, un progetto molto oneroso e di non facile realizzazione, vista la particolare “effervescenza” di quell’angolo del pianeta e le difficoltà tecniche da superare oltre che i costi di realizzazione assai elevati. Un progetto che di sicuro trova nella Turchia, esclusa dal consesso, un deciso oppositore, viste le ambizioni di protagonista regionale che da tempo persegue.Per l’Italia, la prospettiva di diversificare l’approvvigionamento energetico e di avvicinarsi con un ruolo da membro del G7 ad un consesso di nazioni con le quali ha da sempre ottime relazioni, politiche e commerciali. Non mancano alcune ombre. I rapporti con l’Egitto hanno vissuto di sicuro stagioni migliori rispetto alle attuali, dopo le vicende legate alla morte di Giulio Regeni. Ma politica e giustizia devono poter viaggiare su binari diversi, pur nella convinzione che fare chiarezza aiuta in un rapporto che non può obiettivamente basarsi solo sull’interesse.L’Italia non deve tralasciare questa nuova opportunità che è politica, prima che commerciale. Pensiamo solo per un istante alle occasioni di dialogo che potrebbero scaturire pure in seno al c.d. “Mediterraneo allargato” da una relazione con i grandi operatori presenti nell’area, come Russia e Qatar, massimi produttori mondiali di gas. Giocare con un ruolo da protagonista in una area tra le più sensibili e direttamente legate, geograficamente ed economicamente, al nostro territorio. Un’area simbolo per l’Occidente perché ne segnò di fatto la nascita, quale scenario del confronto “madre” dell’era moderna. La battaglia di Lepanto, del 1571. Un’evocazione che dovrebbe essere in grado di far comprendere quanto fondamentale sia lavorare per la sicurezza del Mediterraneo. Ma per farlo, sono necessari competenza, lungimiranza, determinazione, continuità ed un progetto strategico condiviso, in grado di resistere al variare delle stagioni del nostro fantastico Paese. Pure nel tempo del Coronavirus!  
1402. Contro uno Stato Omnisciente e a favore dello scienziato Anthony Fauci  
30 Marzo 2020 Di Pasquale Russo Medium.com Si sta scatenando in Italia il dibattito su quando finirà questa forma di limitazione delle libertà individuali indicando come al solito le buone prove di altre Nazioni che sarebbero state più capaci di gestire la crisi, di avere meno morti e meno costi economici In particolare si sottolinea la performance della Sud Corea che ha immediatamente circoscritto i focolai e gli individui facendo oltre 380.000 tamponi individuando i positivi e tracciandoli trasferendo a tutti i cittadini con un’app la loro vicinanza a meno di 100 metri da un individuo positivo al coronavirus. Ricordiamo che la Sud Corea ha circa 52 milioni di abitanti ed il primo caso è avvenuto il 20 Gennaio. In Italia partendo circa una settimana dopo ha effettuato ad oggi circa 430.000 tamponi su una popolazione di 60 milioni di abitanti. Il rapporto della Sud Corea è un tampone ogni 136 abitanti mentre per l’Italia è un tampone ogni 139 abitanti. Si consideri inoltre che circa 300.000 tamponi sono stati effettuati nelle Regioni del Nord Italia la cui popolazione è pari a 28 milioni, cioè nelle regioni del Nord sono stati effettuati tamponi ogni 95 abitanti, molto superiori a qualsiasi parte del mondo individuando così 74.000 positivi al coronavirus. Questo dovrebbe far riflettere su cosa sia successo nel Nord Italia e sulla probabile ipotesi che la contagiosità sia stata di un fattore 10 volte superiore a quanto avvenuto negli altri luoghi dove è scoppiata la pandemia. Non si sarebbe in nessun modo potuto contenere la contagiosità se non con un totale lockdown e non sarebbe stato possibile pensare ad una tecnologia di tracciamento e di distanziamento in così breve tempo e con un emergenza sanitaria da risolvere. La situazione fotografata al 28 Marzo è la seguente (fonte Protezione civile): Inoltre a maggior ragione dei 10.000 morti per coronavirus o con coronavirus soltanto il 10% si concentra nel Centro nel Sud nelle Isole. La situazione italiana sarà da studiare in maniera approfondita e con un approccio scientifico nel futuro, anche perché non esistendo un protocollo internazionale per stabilire le cause di morte in questa pandemia, appaiono incomprensibili le differenze di letalità fra le diverse aree del globo. Per finire e tornare al titolo, mi ha molto colpito l’intervista rilasciata due giorni, il 26 Marzo, fa dal dott. Antony Fauci al campione del NBA Stephen Curry su Instagram. Anthony Stephen Fauci che abbiamo visto alle spalle di Trump nelle conferenze stampa è un immunologo statunitense di origini italiane che ha fornito contributi fondamentali nel campo della ricerca sull’AIDS e altre immunodeficienze, sia come scienziato, sia come capo del National Institute of Allergy and Infectious Diseases. Ha lavorato a stretto contatto con l’ex presidente Barack Obama durante l’epidemia di Ebola e l’ex presidente George HW Bush ha definito Fauci il suo eroe in un dibattito del 1988. Fauci ha dato contributi fondamentali nella comprensione di come il virus dell’AIDS distrugga le difese immunitarie del corpo, ha anche delineato il meccanismo di induzione dell’espressione del virus HIV da parte di citochine endogene, le stesse che reagendo al coronavirus portano alla morte le persone. Quindi possiamo ritenere che sia uno scienziato che sa cosa dice quando parla. Ebbene Stephen Curry gli ha chiesto: La domanda nella mente di tutti è quando possiamo tornare alla normalità? Fauci ha risposto: Abbiamo bisogno che la traiettoria della curva inizi a scendere. La Cina ha iniziato a farlo ora, ma è necessario fare attenzione a non reintrodurre il virus. Possiamo pensare di tornare a un certo grado di normalità quando il Paese nel suo insieme ha girato l’angolo e il contagio ha iniziato a calare. A quel punto possiamo individuare i singoli casi e controllarli e non essere sopraffatti da un numero ingestibile di casi. In questa risposta c’è anche quella per noi italiani, la curva del contagio deve iniziare a scendere dappertutto e non solo in qualche zona dell’Italia perché il virus può riprendere rapidamente quota spargendosi di nuovo dappertutto. Quando i casi saranno numericamente ridotti allora sarà possibile controllarli e gestirli attraverso un sistema tecnologico che consenta ai non contagiati di proteggersi mantenendo una distanza di sicurezza fisica dai cittadini positivi al coronavirus. Non parla di mettere sotto controllo tutto il popolo americano, rifiuta uno Stato omnisciente. Se posso fare una previsione credo, in base agli approcci empirici e ai modelli matematici, che l’Italia abbia bisogno di altre tre settimane di chiusura totale, nel frattempo deve attivare un sistema di controllo dei positivi rapido, poco costoso e diffuso su tutto il territorio quindi a quel punto attivare il controllo dei cittadini positivi affinché il contagio non si diffonda. Anche perché lo scienziato Fauci dice che probabilmente questo virus è ciclico e potrebbe riapparire con la stagione invernale e quindi dovremo farci trovare preparati per una ulteriore sua diffusione. Bisogna assumere il dato che questa pandemia terminerà con la scoperta del vaccino, solo a quel punto torneremo alla normalità che probabilmente sarà diversa da quella che avevamo, perché sarà cambiato il Mondo.  
1403. Senso e intuizione  
26 Marzo 2020 di Marco Emanuele da Formiche.net L’uomo non è soltanto somiglianza (…) di Dio, Fonte, Inizio, Sorgente, Causa (equivalenti omeomorfici), ma anche immagine (…) della Realtà, un mikrokosmos, come dicevano gli antichi (fino a Paracelso e ai seguaci della “philosophia adepta”), che rispecchia il completo makrokosmos. (Raimon Panikkar, Vita e Parola. La mia Opera, Jaca Book, Milano 2010, p. 11) Il nostro percorso di ricerca guarda alla necessità, per noi umani del terzo millennio, di (ri)trovarci in un legame (vincolo e possibilità) nel sentimento della storia. Prosaici e poetici, lucebuio, è bene guardar(ci) dentro, nel profondo della nostra complessa – e sfuggente – esperienza umana, per (ri)scoprirne l’oltre, il mistero istituente. Così notano Gerald Hall e Joan Hendriks (2009): Richiamandoci al teologo tedesco Karl Rahner, la conoscenza più profonda che abbiamo come esseri umani non è la “consapevolezza di qualche oggetto al di là di noi stessi, bensì una conoscenza partecipativa” che ha una propria intelligenza profonda, pratica e “salva-vita” (1). Dovremmo “attraversare” la storia, cogliendone l’elemento religioso, quello che (ri)lega ciò che è disperso. Non c’è separazione possibile fra tutte le dinamiche dell’umano e del reale globalmente inteso. Ciò che noi separiamo prosaicamente è, in realtà, inseparabile poeticamente. Ciò che ci interessa, mirabilmente espresso da Hall e Hendriks (2009) (2) con riferimento ai popoli aborigeni, è un senso cosmologico o metafisico più ampio delle cose, che va al di là delle parole (e del tempo) o (…) che collega gli eventi ritmici agli Eventi Permanenti. Questo è un punto decisivo: in quel senso, infatti, c’è la vita-della-vita, vive il nostro mistero istituente, ciò che chiamiamo “comune” (3).  Panikkar parla  di intuizione cosmoteandrica (4). Al di là dell’apparente difficoltà dell’espressione, intuizione cosmoteandrica siamo noi. Se ogni essere umano non apre la porta di questa dimensione, l’unica che può portarlo verso la pienezza senza mai raggiungerla, il nostro destino rimarrà quello di turisti della vita e non diventerà quello di navigatori in essa. Pur essendo noi lucebuio, impossibilitati a compiere la pienezza in ogni nostra esperienza di vita, è nell’oltre, porta aperta verso la pienezza, che possiamo (ri)trovarci in relazione (re)ligiosa, abitanti-nella-totalità che ci appartiene e che ci supera. La vita è relazione, la vita è (re)ligione. Come anche in Morin, la relazione trinitaria è fondamentale nella intuizione cosmoteandrica, a-duale (5), di Panikkar. Scrive Francis X. D’Sa (2009) del presupposto che l’autentico misticismo venga vissuto concretamente quando si coltiva la sensibilità alla triplice dinamica della realtà (6). Sinonimi di visione mistica potrebbero essere pensiero complesso, critico, poetico, d’intelligence. Del guardare nel profondo per accogliere l’oltre. Nel criticare il genio di Descartes, Panikkar (2010) scrive che senza il correttivo della mistica riduciamo l’uomo a un bipede razionale, quando non razionalista, e la vita umana alla supremazia della ragione (7). La mistica autentica, sottolinea ancora Panikkar (2010), quindi non disumanizza. Ci fa vedere che la nostra umanità è qualcosa di più (e non di meno) della pura razionalità (8). L’intuizione cosmoteandrica ci porta in una vera e propria metamorfosi-di-noi. Con tale intuizione, infatti, siamo nel profondo dell’inter-in-dipendenza di esseri umani che, come nota Francis X. D’Sa (2009), dal punto di vista relazionale (…) partecipano (…) alla perichoresis cosmoteandrica. (…) non sono mai né totalmente indipendenti né completamente dipendenti (9). Ecco il mistero del comune, di quel percorso profondo, che, al contempo, ci lega (ci vincola) e ci libera “in” e “con” (aprendoci alle possibilità, dischiudendo le potenzialità). Il mistero del comune è la Vita stessa come relazione ed è nella vita in cui ne facciamo, ciascuno, originale esperienza (mai solo per il “nostro” sé) (10). L’esperienza della Vita, dice Panikkar (2010), non è la coscienza del passare del tempo. Ciò di cui si fa esperienza è l’istante della tempiternità. L’esperienza non si misura col tempo (11). Altresì, sottolinea Panikkar (2010), l’esperienza della Vita è l’unione più o meno armonica delle tre coscienze prima che l’intelletto le distingua. Questa esperienza sembra mostrare una complessità speciale – che chiamerei trinitaria (12). Ed è una esperienza che noi viviamo nel nostro essere limitati, compresi in essa e da essa superati. Ed è una complessità, nel significato stesso della parola, non separabile (13). NOTE (1) Gerald Hall e Joan Hendriks, Il misticismo naturale nelle tradizioni indigene australiane in AA.VV., I mistici nelle grandi tradizioni. Omaggio a Raimon Panikkar, Jaca Book, Milano 2009, p. 27. In nota, gli Autori scrivono: Questo è, per Rahner, in effetti, il cammino verso la conoscenza di Dio e del mistero divino, ossia la via che porta il conoscente umano alla comprensione non-oggettiva di sé e dell’Essere infinito. , ad esempio, Karl Rahner, Foundations of Christian Faith (New York, Seabury Press, 1978; ed. originale tedesca, 1976), pp. 51-71. Panikkar, com’è noto, parla a questo proposito di “consapevolezza mistica” o “coscienza trans-storica”: “E’ una consapevolezza che scalza il tempo o, piuttosto, che raggiunge la pienezza del tempo, visto che I tre tempi vengono esperiti simultaneamente”. The Cosmotheandric Experience, pp. 132ss. (2) Gerald Hall e Joan Hendriks, op. cit. 2009, p. 27 (3) Gerald Hall e Joan Hendriks, op. cit. 2009, p. 29: Vi è un senso del tutto che comprende la realtà sacra della terra o del territorio ed è la consapevolezza che la comunità umana è essa stessa dipendente dal nostro comune legame con il luogo. Non è un legame che possiede il luogo ma che lo rende comune, dunque aperto (globale). Potrebbe trattarsi, notiamo, anche dell’altra faccia della nostra responsabilità verso la creazione che siamo (anche) noi, parte-di-tutto. (4) Francis X. D’Sa, SJ, Jnanesvara e Panikkar. Misticismo nello Jnanesvari e l’intuizione cosmoteandrica in AA.VV., I mistici nelle grandi tradizioni, op. cit. 2009, p. 31: Quando introdusse inizialmente la sua ormai nota intuizione cosmoteandrica, Panikkar sottolineò che non stava proponendo nulla di nuovo: “La visione cosmoteandrica può essere considerata la forma originaria e primordiale di coscienza. In effetti, essa balenava fin dagli albori della coscienza umana come visione indivisa della totalità” (R. Panikkar, “Colligite Fragmenta. For an Integration of Reality”, in F.A. Eigo e S.E. Fittipaldi (a cura di), From Alienation to At-one-ness (Villanova PA, The Villanova University Press, 1977), p. 55. Altrove egli ha scritto: “Intendo dire che questa visione è sempre stata con noi e ha sempre assolto alla funzione del saggio di ricordare ai contemporanei la totalità, preservandoli così dal rimanere abbagliati da intuizioni illuminanti ma parziali” (R. Panikkar, “Colligite Fragmenta”, cit., p. 57. (5) Francis X. D’Sa, op. cit. 2009, p. 35: Dio, il Mondo e l’Uomo non sono tre realtà distinte ma concorrono a formare la realtà in modo a-duale. (…) Ricorrendo a un’analogia possiamo dire che la relazione con il Mondo è centrifuga, la relazione con l’Uomo è centripeta e la relazione con il Divino è orbitale. Le tre forze sono interrelate e interdipendenti. Non si può comprendere nessuna di esse senza le altre due. (6) Francis X. D’Sa, op. cit. 2009, p. 33. Nota l’Autore, op. cit. 2009, pp. 34 e 35: (…) suggerisco che l’autentico misticismo sia caratterizzato dall’apertura e dalla sensibilità alla triplice dinamica della realtà. In tale prospettiva il mistico è colui che scopre l’unità di Uomo, Cosmo e Divino. (…) L’atteggiamento mistico: a) non reifica la dimensione cosmica; b) non riduce l’Uomo soltanto a un “essere umano” che costitutivamente resta irrelato con il Cosmico e il Divino; c) non crede neppure in un Dio che non abbia nulla a che fare con il Cosmo o con l’Uomo. Nota ancora l’Autore, op. cit. 2009, p. 42: La pratica della spiritualità cosmoteandrica conduce al misticismo. Nel nostro contesto il termine “misticismo” è riferito all’esperire attivamente la triplice dimensione della realtà e dell’agire spontaneamente in sintonia con essa. (7) Raimon Panikkar, op. cit. 2010, p. 12. L’Autore, op. cit. 2010, p. 12 nota, inoltre, che la mistica non è un privilegio di pochi prescelti, ma la caratteristica umana per eccellenza. Aggiunge l’Autore, op. cit. 2010, p. 16: L’esperienza mistica sarebbe quella che ci permette di godere pienamente della Vita. “Philosophus semper est laetus” (“Il filosofo è sempre lieto”), scrisse il mistico Ramon Llull. (…) La fede è “la gioia della Vita”, non esita a dire il (…) martire Giustino. (8) Raimon Panikkar, op. cit. 2010, p. 13 (9) Francis X. D’Sa, op. cit. 2009, p. 36 (10) Raimon Panikkar, op. cit. 2010, pp. 15 e 16: Quando dico esperienza della Vita non intendo l’esperienza della mia vita, ma della Vita, quella vita che non è mia benché sia in me; quella vita che, come dicono i Veda, non muore, che è infinita, che alcuni definirebbero divina: Vita, tuttavia, che si “sente” palpitare, o, per meglio dire, semplicemente vivere in noi. (…) L’esperienza della Vita (zoe), arriva a dire san Giustino nel II secolo, è l’esperienza del datore della vita – dato che la nostra vita non vive di per sé, ma partecipa della Vita. (11) Raimon Panikkar, op. cit. 2010, p. 16 (12) Raimon Panikkar, op. cit. 2010, p. 17 (13) Raimon Panikkar, op. cit. 2010, pp. 21 e 22: La debolezza (seppur accompagnata da molte grandezze) dell’Occidente moderno deriva dal secondo principio del metodo cartesiano: “Se vuoi risolvere un problema, comincia col sezionarlo …; ma poi succede come all’apprendita dell’orologiaio, al quale, nel ricomporre l’orologio, avanzano dei pezzi”. La frammentazione della realtà: ecco il punto debole della cultura occidentale.  
1404. Lucebuio  
25 Marzo 2020 di Marco Emanuele da Formiche.net Viviamo sulla superficie di noi stessi. Siamo posseduti da forze oscure, dai nostri Daimon interni ed esterni a noi. Siamo posseduti dai miti, dagli dèi, dalle idee. Siamo dei manipolatori manipolanti, siamo posseduti da ciò che possediamo, vivere è come un’ebrezza e come un sonnambulismo (Edgar Morin, Conoscenza, ignoranza, mistero, Raffaello Cortina Editore, Milano 2018, p. 88) Nella nostra anima c’è un mare interiore, uno spaventoso e autentico mare tenebrarum ove imperversano le strane tempeste dell’inarticolato e dell’inesprimibile (Maurice Maeterlick) Mai l’umanità ha riunito tanta potenza e tanto smarrimento, tanta preoccupazione e tanto gioco, tanta conoscenza e tanta incertezza. L’inquietudine e la futilità si spartiscono i nostri giorni (Paul Valéry, 1932) Possiamo normalizzare, banalizzare, razionalizzare e così eliminare l’ignoto e l’inconoscibile. Questi riappariranno a ogni avanzare della conoscenza (Edgar Morin, op. cit., p. 145) Siamo lucebuio. Abbiamo coniato questo neologismo per mostrare la nostra intrinseca complessità. Siamo, come dice Morin (2018), macchine non banali (1), prosaico/poetiche (2). La nostra vita non scorre secondo la logica del determinismo (3). L’inatteso spacca la linearità di un (presunto) perfetto software: a un input A non corrisponde un output certo. Il nostro tempo e il nostro spazio vitali continuano, e discontinuano, una tempiternità e una globalità che incarniamo. I dolori, le contraddizioni, le potenzialità dei nostri avi vivono in noi, così come i dolori, le contraddizioni e le potenzialità del mondo. Ne viene che noi siamo ciò che siamo stati. Il nostro vivere il presente e il nostro stare su un territorio non limita la nostra responsabilità storica a ciò che accade “qui” (in ogni nostro “qui” sicuro e protetto) e all’ “ora” (in ogni presente imminente). Ciascuno di noi (ri)vive, (re)interpretandolo, lo spettacolo senza fine dell’esperienza umana. Lucebuio, certezza incerta, territorialità globale, personalità universale (4), viviamo perennemente nel movimento tra communitas e immunitas, rendendo la comunità al contempo necessaria e impossibile. Se vogliamo la comunità, se apriamo alla solidarietà, molto spesso ci ritroviamo incapaci di costruire prospettive di (con)divisione perché è in noi anche una forza distruttrice (5). Lucebuio, l’ordine certo e la compiutezza assoluta sono chimere totalitarie. Lucebuio non può essere una giustificazione all’inazione. Prendere coscienza, e consapevolezza, che siamo anche il contrario del nostro positivo significa continuamente problematizzare le nostre tensioni e i nostri risultati, mediando tra le polarità che ci istituiscono. Se il bene ci appartiene, non siamo solo bene; se il male ci appartiene, non siamo solo male. Vale per noi, parte di realtà, e vale per il tutto. L’evidenza del bene, come del male, non li esaurisce nel loro essere separati dal resto. Dobbiamo prendere atto che è dipeso, e che dipende da noi, dalla nostra responsabilità mai neutra, di fare del  tempo storico un conflitto permanente tra bene e male. Ogni tempo è percorso dal male che si fa bene e viceversa: lucebuio (6). Lucebuio è mistero di ciò che non sappiamo di essere e di sapere (7), mistero che – paradossalmente – ci istituisce. Lucebuio è la cifra della nostra civiltà, dell’umanità capace di autodistruggersi tanto quanto di darsi benessere e futuro. Prosa e poesia devono ritornare a dialogare, a (ri)costruire quella relazione mediata tra poesia e prosa, tra senso e non senso, tra significato e negazione, tra costruzione e distruzione, tra cooperazione e competizione. In termini di giudizio storico, ciò a cui assistiamo nel tempo della planetarizzazione dei fenomeni storici è il gioco, a seconda delle convenienze, della esaltazione/assolutizzazione di Luce o di Buio. Troppo poco, e troppo poco spesso, ci domandiamo quale sia il prezzo che paghiamo alle spinte in avanti del Progresso. Ciò che è innegabile, che buona parte dell’umanità sia stata tolta dalla fame, dalla sete e dalla povertà materiale, si scontra con ciò che è altrettanto innegabile: lungi dall’avere realizzato una coscienza/consapevolezza di un destino planetario, o della grande comunione umana (8), sotto il vessillo della pace e della giustizia, abbiamo generato, secondo Morin (2018), una moltiplicazione di disgregazioni e rotture politiche e culturali che degenerano in conflitti (9).  In sostanza, ciò che non abbiamo generato ci fa de-generare. Siamo dentro la logica viziosa di un Progresso che guarda solo in avanti, mai nel profondo e a ciò che è stato. La sapienza indigena, facilmente omologabile dalla macchina potentissima del Progresso, potrebbe farci scoprire la bellezza di una conoscenza esperienziale nella quale l’identità personale, la comunità umana e l’armonia cosmica sono tutt’uno (10) (la “relazione trinitaria” di cui abbiamo scritto). C’è intimità e non possesso: cosa possiamo imparare, da questo approccio, noi cosiddette “società storiche” che, senza quella intimità, assolutizziamo Luce o Buio e che abbiamo paura di tornare a ciò che siamo davvero, al nostro mistero istituente ? NOTE (1) Edgar Morin, op. cit. 2018, p. 89 (2) Edgar Morin, op. cit. 2018, pp. 119 e 129: (…) le nostre vite sono polarizzate fra prosa e poesia. (…) la prosa della vita concerne gli obblighi, i vincoli o le necessità che eseguiamo senza piacere. La poesia si manifesta in tutti gli stati di comunione, effusione, meraviglia, gioco, amore, compresi gli stati di gioia estetica che ci mettono in uno stato secondo di emozione felice. La felicità è il compimento di uno stato poetico, e come sostiene Leopardi, è sentendo ciò che è poetico che lo si conosce e lo si comprende, e non può essere conosciuto e compreso se non essendo sentito. Ciò che Morin chiama poesia Panikkar definisce pura spontaneità (in Lectio Divina: L’Ascensione (Atti 1-11), AA.VV., I mistici nelle grandi tradizioni. Omaggio a Raimon Panikkar, Jaca Book, Milano 2009, p. 16) (3) Edgar Morin, op. cit. 2018, p. 101: La non banalità della mente/cervello umana non risiede unicamente nell’incertezza legata a ogni complessità e soprattutto a ogni iper-complessità; essa concerne il possibile inatteso delle sue decisioni, delle sue azioni, dei suoi comportamenti, e ciò che è meno prevedibile in anticipo: la crisi di follia, come quella di Nietzsche a Torino, il 3 gennaio 1889, e soprattutto ogni atto creatore, come la nona sinfonia di Beethoven. (4) Edgar Morin, op. cit. 2018, p. 104 scrive che l’umano è microcosmo, a immagine dell’universo. (5) Edgar Morin, op. cit. 2018, p. 92: Dobbiamo continuamente ricordare che l’umano nella sua individualità, nella sua società, nella sua storia è polarizzato fra ragione e delirio, fra tecnica e mito, fra interesse personale e gioco disinteressato. (6) Edgar Morin, op. cit. 2018, p. 93: Non esiste civiltà che non abbia un fondo di barbarie. Essendo la barbarie un ingrediente della civiltà, possiamo solo resisterle, non sopprimerla. Ancora l’Autore, p. 94: L’incoscienza della complessità antropologica ha portato agli errori, agli accecamenti, alle illusioni e ancora vi porterà, a meno che non abbia luogo una riforma profonda della conoscenza, della coscienza e del pensiero umani. (7) Edgar Morin, op. cit. 2018, p. 102: (…) questa trinità inseparabile, costituita dal nostro inconscio, dal nostro organismo, dalla memoria inclusa nella nostra identità, fa sì che in noi ci sia un formidabile sapere su tutto ciò da cui siamo nati: l’universo, la vita, i nostri ascendenti, un sapere che ignoriamo totalmente. Una delle nostre maggiori forme di ignoranza (…) consiste nel non sapere ciò che sappiamo. (8) Raimon Panikkar, op. cit. 2009, p. 17. E continua l’Autore: Gli uomini ora sono forse più civili, ma quella frase di Hobbes “homo himinis lupus” non è stata ancora superata. Consideriamo noi sovrasviluppati e gli altri sottosviluppati, ma dobbiamo svilupparci ancora molto di più, e questo mi pare sia il messaggio che non è esclusivamente cristiano, ma universale. Dire che tutti siamo fratelli non rappresenta nulla di nuovo, ma si deve avere la forza di realizzarlo. (9) Edgar Morin, op. cit. 2018, p. 132 (10) Gerard Hall e Joan Hendriks, in AA.VV., I mistici nelle grandi tradizioni, op. cit. 2009, p. 21  
1405. Relazione trinitaria  
24 Marzo 2020 di Marco Emanuele da Formiche.net Dimentichiamo, nell’evidenza quotidiana del vivere, il carattere sorprendente della vita. Dimentichiamo, nelle attività prosaiche del vivere, che la vita è poesia, ma dimentichiamo nei nostri momenti euforici che è crudele, terribile, orribile (Edgar Morin, Conoscenza, ignoranza, mistero, Raffaello Cortina Editore, Milano 2018, p. 84) Ci vuole sempre una sfida per risvegliarci alla realtà. Nel caso di una pandemia planetaria, come quella in corso in queste settimane, ci viene mostrata la faccia peggiore della planetarizzazione dei processi storici. Se siamo interrelati, infatti, lo siamo sia nel bene che nel male. Per cominciare con una espressione di realismo, non è la prima volta  che il mondo è percorso da pandemie, non necessariamente sanitarie (si pensi alla crisi finanziaria del 2007/2008), debitamente annunciate. Per cambiare passo e prospettiva, dunque, sono la nostra capacità di leggere i segni dei tempi e la nostra volontà a fare la differenza. Intanto, dobbiamo ripartire da ciò che siamo (1), parte dell’avventura umana e del vivente complesso nel cosmo. Ciò ci dice, prima di ogni altra cosa, che abbiamo una responsabilità originaria, incarnata e globale (se l’oltre ci appartiene, dell’oltre dobbiamo avere consapevolezza e cura): il noi, in ogni sé, confligge con la realizzazione del sé che diventa oltre-di-sé, liberandosi. Apparente paradosso, è il dato costitutivo della nostra danza vitale. Siamo degli “Io” assoluti e relativi: ognuno è tutto per se stesso, ma niente per il tutto: società, specie, vita, universo (Morin, 2018) (2). Uomo/Terra/Cielo è la nostra naturale relazione. Siamo parte di una trinità globale (la visione cosmoteandrica di Panikkar). Anche noi, singolarmente, siamo esseri trinitari (Morin, 2018) (3). Quando scriviamo di trinità, concordando con Panikkar (2019), la intendiamo come l’espressione di una pura relazionalità (4). Il profondo di noi, e di realtà, è relazione, è dialogo; ed è un profondo misterioso e altrettanto conflittuale, un vuoto scatenante che origina (ci origina) e istituisce (ci istituisce). Si badi bene: questa esperienza trinitaria, che comincia in noi, non ci rende esseri tridimensionali, fatti cioè di tre dimensioni sommate l’una all’altra, ma sintesi e rilancio continui di una complessità che si (ri)crea. Se siamo uomo, terra e cielo significa che le nostre tensioni interiori e il nostro agire ci vincolano oltre la nostra semplice esistenza, oltre ciò che crediamo essere il nostro piccolo mondo vitale. Abbiamo una responsabilità più grande, ben più ampia e non possiamo aspettare che siano le norme a ricordarcelo: nel mondo di oggi sembra essere venuto a mancare questo respiro della responsabilità che trasmette respiro alla progettualità. Ma occorre, affinché tutto questo possa diventare prassi, che la nostra volontà – al fine di non assolutizzarsi e, dunque, di non sclerotizzarsi – incontri il nostro essere, reciprocamente, relazioni trinitarie. Tutto è già in noi, dunque, e lo è originariamente e originalmente. E lo è in maniera mai lineare. Questo tempo pandemico potrebbe essere anche l’occasione di ripensare al complesso del vivente che, troppo spesso e colpevolmente, tendiamo a semplificare, a separare, a tradire. Ci fa paura il profondo di noi, quel luogo silenzioso e conflittuale che, appartenendoci e che ci piaccia o no, dobbiamo affrontare. È un  luogo nel quale vivono potenzialità, contraddizioni, limiti; è un luogo nel quale l’ordine si forma nel disordine di tutte le nostre forze in campo. Se mettiamo la testa fuori, sul palcoscenico della storia, avvertiamo – ora più che mai – il bisogno di ritrovare la nostra vocazione (responsabilità) trinitaria. NOTE (1) Morin, op. cit. 2018, p. 86, scrive: (…) nessun programma educativo ci informa che la più bella e favolosa conquista delle scienze è stata quella che ci ha rivelato che siamo non solo figli del pianeta Terra, ma figli del cosmo, che portiamo in noi tutta la storia dell’universo della vita (…). A immagine della storia del cosmo e della storia della vita, la storia umana comporta delle creazioni: di società, di Stati, di civiltà, di religioni (buddhismoi, cristianesimo, islam), di credenze (socialismo), di estinzioni (imperi e civiltà) e soprattutto, a immagine della vita, di mutazioni e di metamorfosi (dai clan arcaici di cacciatori-raccoglitori alle società storiche, dall’Europa medievale all’Europa moderna, dalla mondializzazione attuale all’eventuale post-umanità). (2) Morin, op. cit. 2018, p. 87 (3) Morin, op. cit. 2018, p.p. 86 e 87, scrive: Siamo esseri trinitari, nel contempo individui, momenti/elementi di una specie biologica, momenti/elementi di una società, e queste tre nozioni sono non solo inseparabili, ma ricorsivamente produttrici le une delle altre. (4) Raimon Panikkar, Tra Dio e il cosmo, Laterza, Roma-Bari 2019, p. 90  
1406. Lectio Magistralis di Guido Maria Brera  
7 MAGGIO 2018 Mercoledì 16 maggio, ore 16.00 Antica Biblioteca Università degli Studi “Link Campus University”, Via del Casale di San Pio V, 44 - Roma Lectio Magistralis Dott. Guido Maria Brera Chief Investment Officer CIO di Kairos a Julius Baer Company MODERA Prof.ssa Anna Elvira Graziano Università degli Studi “Link Campus University” La lectio magistralis si colloca all'Interno del Corso di laurea in Economia Aziendale Internazionale e del Corso di laurea magistrale in Gestione Aziendale  
1407. Entrando nell’Età delle Catastrofi  
24 Marzo 2020 “Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?” (Lorentz) di Pasquale Russo da Medium.com «Il mondo è tutto ciò che accade». La prima proposizione del Tractatus (1922) di Wittgenstein ricorda, con geometrica laconicità, che viviamo in un mondo di eventi. Le. catastrofi sono tali soltanto in una prospettiva antropocentrica. Da questa prospettiva posso ricordare che gli ultimi 20 anni sono stati particolarmente densi di crisi e catastrofi. quali gli attentati dell’11 Settembre 2001, la SARS, lo tsunami di Sumatra e l’uragano Kartrina e poi la crisi dei Subprime, il terremoto di Haiti e la siccità del 2011 che ha ucciso 10 milioni di persone in Africa. E ancora il sisma in Giappone con il disastro di Fukushima, poi la MERS, i mega incendi in Amazzonia e in Australia infine la Brexit e, come se fosse il colpo finale dei fuochi di artificio, la pandemia legata al Covid-19 Credo che stiamo entrando nell’età delle catastrofi o forse così sarà ricordato questo periodo futuro nei libri di storia dei nostri pronipoti, i quali si chiederanno se la nostra generazione ha fatto qualcosa per prevederle e per mitigarne gli effetti avendone le conoscenze e gli strumenti. Da studente sono stato un curioso della teoria delle catastrofi (della matematica di Vladimir Igorevic Arnold che vinse la medaglia Fields) da cui si generò la teoria del caos e quella dei sistemi dissipativi, fino alla epistemologia della complessità che nacque quasi in contemporanea con le teorie chimiche sull’irreversibilità di Ilya Prigogine e fisiche sui quark di Murray Gell-Mann ed con Edgar Nahoum (Morin) che ne fece la sistematizzazione in sede filosofica. Per prendere un riferimento colloquiale comune, una catastrofe nota a tutti gli uomini è quella relativa all’estinzione dei dinosauri avvenuta 66 milioni di anni fa. Essa fu causata ad un asteroide e ci mostra bene la differenza tra crisi e catastrofe, cioè l’accadere di un evento che porta il sistema in uno stato finale irreversibile, come una biforcazione che porta ad una trasformazione rapida e permanente. Per fortuna o meglio per scienza allo stato delle conoscenze attuali la catastrofe è un evento prevedibile, infatti poche settimane fa un team di ricercatori del MIT di Boston ha lavorato allo sviluppo di un algoritmo capace di cogliere i segnali premonitori di fenomeni estremi e sembra essere giunto a risultati sorprendenti. Lo strumento matematico sviluppato dai ricercatori americani infatti mostra un’affidabilità che, in base alla complessità del fenomeno che si cerca di prevedere, oscilla tra il 75% e il 99%. Quindi la catastrofe è prevedibile, banalmente si potrebbe affermare che dopo due crisi da Coronavirus. quali SARS e MERS. forse era prevedibile una catastrofe quale quella del Covid-19. E forse ci si poteva preparare per mitigarne gli effetti. Invece probabilmente ci sono stati più studi sulle possibili meteoriti che avrebbero potuto distruggere la razza umana come i dinosauri, che su una pandemia da coronavirus. Eppure Edward Lorenz ci aveva ben spiegato il famoso “effetto farfalla”, e il Covid-19 cosa è se non questo, un piccolo virus entrato nella vita dell’Uomo in un piccolo mercato del pesce cinese che sconvolge l’intero globo, costringendo al momento quasi un miliardo e mezzo di donne e uomini chiusi in casa, bloccando le società, distruggendo i sistemi economici. Una catastrofe lo ripeto è prevedibile, le crisi climatiche all’inizio elencate ad esempio sono gli scricchiolii che ci avvertono che il sistema climatico globale può crollare da un momento all’altro. La società umana, lo sappiamo, il mondo è un sistema iperconnesso e maggiore è la quantità e la varietà delle relazioni fra gli elementi di questo sistema, maggiore sarà la sua complessità e si esprimerà in misura sempre maggiore attraverso comportamenti non lineari essendo formato da sotto-mondi di relazioni che non conosciamo completamente né conosciamo come interagiscano con gli altri sottomondi. Così questo Pianeta è destinato a vivere catastrofi e gli uomini dovranno necessariamente trovare soluzioni per mitigarne gli effetti. Altrimenti possiamo riprendere l’incipit cioè che le catastrofi sono tali solo da una prospettiva antropocentrica. La catastrofe della pandemia del virus Covid 19 è infatti una respiro per la Terra, i nuovi dati ottenuti dal satellite Copernicus Sentinel-5P dell’Agenzia spaziale europea mostrano una diminuzione dell’inquinamento, in modo specifico delle emissioni di diossido di azoto, su tutta l’Italia, ma ciò accade anche su tutte le altre parti del Mondo che hanno applicato il lockdown, cioè la chiusura di tutte le attività umane. Ed a maggior ragione anche la catastrofe di Chernobyl ci insegna qualcosa in questo senso sulla natura e sulla resilienza degli animali che ora ripopolano quell’aria in una varietà mai osservata prima. La regione di Chernobyl ci aiuta capire da una prospettiva diversa il potenziale danno che, in quanto uomini, siamo in grado di provocare sul Pianeta e allo stesso tempo lo scarso impatto che possiamo avere nel corso della sua vita lunga miliardi di anni. L’età in cui stiamo entrando può essere quella delle catastrofi evitate se impariamo a leggerne i segnali premonitori e a correggere la strada prima di prendere la biforcazione che ci porta in un altrove dove non ci saremo più.  
1408. I.R.I.: Insieme Ricostruiamo l’Italia  
23 Marzo 2020 di Pasquale Russo da Affari Italiani Per evitare la completa distruzione del tessuto delle piccole PMI il Governo deve fornire loro i soldi che non potranno guadagnare in questo periodo. Le imprese, i datori di lavoro, stanno affrontando una crisi di liquidità che si inasprirà nei prossimi mesi, non si tratta quindi solo di fornire cassa integrazione o blocco dei pagamenti. Questi ultimi soprattutto si ripresenteranno dopo un periodo in cui le aziende non solo non hanno fatto margini, ma neanche ricavi, si sta per cui diffondendo tra i piccoli e micro imprenditori la voglia di chiudere licenziando tutti. Sono processi che non si intercettano finché non si mostrano ma stanno camminando sotto traccia nelle chat degli informali distretti industriali che in Italia connettono fornitori e clienti. C’è un imperativo: bisogna preservare la capacità imprenditoriale italiana già stressata perché sottoposta ad un livello di tassazione tra i più alti del mondo e sicuramente stremata dai mille adempimenti burocratici che si sono ripresentati in questo decreto “Cura Italia”. Come si fa ad accedere alla cassa integrazione? Per chi non l’ha mai fatto non è semplice. Come si fa ad accedere ad un fido garantito dalla CdP? Per chi è abituato a garantire i fidi con il proprio lavoro non si sa da dove cominciare. L’IRI fu il più importante strumento di ricostruzione nel Dopoguerra, dal 1945  diventò strategica nell'impostare e guidare progetti che furono i "vettori" dello sviluppo produttivo e della modernizzazione del Paese, un esempio per tutti, la realizzazione dell'Autostrada del Sole. E l’Italia di questo ha bisogno. Anche i Governi dei  Paesi iperliberisti come Regno Unito e Stati Uniti, stanno agendo dando direttamente liquidità ad imprese e lavoratori, perché l’Europa e in particolare l’Italia non possono farlo? Loro stanno salvando la loro supremazia e noi? Abbiamo l’occasione di modernizzare lo Stato, rafforzare il sistema produttivo e dargli un indirizzo strategico, purché le scelte dell’emergenza siano anche scelte che indirizzino il sistema industriale. Sarebbe come se lo Stato facesse un’opera di seed money per tutte quelle imprese che non licenziano ma che continuano a pagare i lavoratori,  che accelerano la digitalizzano del Paese, lo rendendolo più sostenibile, o che investano in ricerca recuperando la nostra capacità manifatturiera rafforzando il nostro modello vincente: il sistema delle micro, piccole e medie imprese italiane. Il Mondo in cui tutte le scoperte (brevetti) si facevano negli Stati Uniti e tutta la produzione si faceva in Cina credo sia finito, il Mondo non può permettersi più una crisi della supply chain mondiale e i Paesi vorranno mantenere un produzione interna almeno quelli come l’Italia che possono farlo. Abbiamo riscoperto lo Stato in questo momento di crisi della salute delle persone, ma dopo la salute come bene primario c’è la possibilità di vivere lavorando. Dobbiamo riscoprire lo Stato anche nella fase di ricostruzione dell’Economia e non si parla di collettivismo, si parla di evitare licenziamenti collettivi che potrebbero distruggere il patrimonio che noi abbiamo, il saper fare, quello che ha creato lo stile italiano e che vede nella Moda e  nella meccanica della Ferrari la sua espressione più alta. IRI: Insieme Ricostruiamo l’Italia, è l’occasione che ha questo Governo per dare ai nostri giovani un futuro migliore e che l’Europa non deve impedire.  
1409. Fuoco su Napoli  
7 MAGGIO 2018 Liberamente tratto dal romanzo di Ruggero Cappuccio Regia di Ruggero Cappuccio Nadia Baldi Con Nicolo' Battista Margherita Carducci Beatrice Cattivera Chiara Comini Micaela Fiore Martina Gargiulo Pal Kolndrekaj Anna Claudia Pierluca 11 maggio 2018 - ore 21.00 Università degli studi Link Campus University Gymnasium - Via del Casale di San Pio V, 44 Scarica la locandina  
1410. Mistero-in-comune  
23 Marzo 2020 di Marco Emanuele da Formiche.net E’ tornato il tempo di riflessioni fondamentali. Partiamo dal mistero di noi e della realtà. Spesso ci sentiamo in crisi perché non riusciamo a comprendere il mistero, a farlo nostro, a possederlo. E viviamo male, ci sentiamo privati di onnipotenza e ci domandiamo come sia possibile che noi umani, esseri superiori, non possiamo accedere all’ultimo scalino della conoscenza, non possiamo aprire le porte del mistero. Invece, se problematizzassimo la nostra ragione, se ci vincolassimo alla sua finitezza, quella crisi sarebbe generatrice, generativa della nostra istituzione. Nel nome di una ragione assolutizzata pretenderemmo di conoscere il Tutto sentendoci Titolari Ultimi di Verità: superuomini, quasi dei. Così, in realtà, prepareremmo il terreno alla nostra fine. Magari saremmo potenti, dominanti ma intimamente fragilissimi. Il mistero non si può occupare (1). Nel mistero vi è il movimento vitale istituente, non razionalizzabile, misterioso “vuoto potenziale”. Lì, in quel vuoto, si sarebbe originato il il nostro universo, un complesso che, dice Morin (2018), si è auto-organizzato creando una dialogica nel contempo conflittuale e cooperatrice: ordine/disordine/interazione/organizzazione (2). Da questo mistero dell’universo nasce un ammonimento per la nostra idea di ordine (3). Se la realtà è fatta di continui antagonismi e ritorni tra forze divergenti e convergenti, l’ordine mai può darsi come compiuto. E’ una partita infinita dal risultato incerto; le imprevedibilità, dinamiche nel processo perenne di (ri)creazione, ci mostrano quando l’ordine nasca nel disordine. L’ordine, dunque, non è mai del tutto possibile ma è sempre un potenziale-in-metamorfosi, (im)possibile: se l’ordine fosse del tutto possibile sarebbe incapace di evoluzione, dunque impossibile. E’ disintegrandosi che l’universo si organizza, nota Morin (2018) (4). Dall’universo al vivente, dobbiamo fare i conti – come spiega Morin (2018) – con il fatto che l’auto-organizzazione del vivente è sottomessa continuamente alla disintegrazione.  La sua attività permanente comporta dispendio di energia e processi di degradazione che conducono alla morte, da cui la necessità di attingere energia, organizzazione e informazione nell’ambiente. L’autonomia del vivente può mantenersi solo nella dipendenza dalla sua ecologia: da qui il concetto chiave di auto-eco-organizzazione. E’ questo paradosso: l’autonomia ha bisogno di essere dipendente per essere autonoma (5).  Entriamo, in tal modo, nell’intuizione panikkariana di inter-in-dipendenza laddove scopriamo che la nostra vita muove tra vincoli e possibilità. Così, quando parliamo di comunità, non utilizziamo un termine neutro. Ciò che ci tiene insieme, al contempo debito e dono, ci condiziona e ci libera. Lo spazio comune, misterioso perché “sfuggente”, non appartiene a qualcuno (privato) e non appartiene a tutti (pubblico); il comune appartiene a tutti e a nessuno e, non essendo concettualizzabile, è solo vivibile. E’ nel comune, spazio comune, che possiamo (ri)trovarci, in progress realizzando le ragioni e le forme della nostra con-vivenza. In quello spazio, conflittuale e cooperativo, integrante e disintegrante, (ri)cerchiamo l’ordine e viviamo il mistero-in-comune. NOTE (1) Edgar Morin, Conoscenza, ignoranza,, mistero, Raffaello Cortina Editore, Milano 2018, p. 36: Il mistero è nel reale, forse nei due sensi della parola “mistero”: – inconoscibile; – cerimonia profana/sacra in cui le nostre vite giocano e si giocano. (2) Morin, op. cit., p. 44. Continua l’Autore (op. cit, p. 45): La legge dialogica ci dice (…) che tutto ciò che è separato è legato. (3) Morin, op. cit., p. 47: Ripetizione, reiterazione, ripresa sono necessarie all’esistenza delle stelle, dei viventi, degli umani, delle società. Ma non meno necessarie sono la nascita, l’innovazione, la creazione. E inevitabili sono la disintegrazione, la degenerazione, la morte. Scrive ancora l’Autore (op. cit., p. 50): Eros (forze di legame, di associazione, di unione) e Thanatos (forze di dissociazione, di conflitto, di distruzione) (…) si combattono senza tregua, ma non possono separarsi né sopravvivere l’uno senza l’altro. Ciò che accade nel cosmo continua in altro modo nell’umanità. (4) Morin, op. cit., p. 46 (5) Morin, op. cit., pp. 61 e 62  
Search results 1401 until 1410 of 1737