09 Giugno 2020
di Marco Emanuele
da Formiche.net
Di fronte al COVID-19, pandemia planetaria, l’Europa è a un bivio. Ne scrivono diversi autori, coordinati dall’economista Luigi Paganetto, nel volume “Europa e sfide globali. La svolta del Green Deal e del digitale” edito da Eurilink University Press (marzo 2020).
Gli sguardi proposti nel libro sono diversificati e tutti assai utili a comprendere le sfide in atto per il “vecchio” Continente. Non basta questa breve riflessione per esaurire la complessità degli apporti.
Immersi in una crisi sanitaria ma anche, come si vede ogni giorno di più, sociale ed economica, tornano al centro alcune parole-chiave che occorre ripensare con capacità di mediazione tra gli interessi in campo e di visione politica in un realismo necessario: ricerca, innovazione, solidarismo, responsabilità collettiva, investimenti pubblici, infrastrutture materiali e immateriali, politiche macro-economiche e fiscali, resilienza agli shock.
COVID-19 è rivelatore di evidenti difficoltà strutturali dell’Europa. Il libro pone questioni di grande attualità e urgenza. Pur se le iniziative europee si sono moltiplicate dalla sua uscita a oggi, il libro è uno strumento adatto alla comprensione del “realisticamente possibile” e guarda dentro a dinamiche con le quali occorre confrontarsi ogni giorno. Ciò che conta è l’apertura di scenari di approfondimento che riguardano INVESTEU e la sfida della produttività e dell’innovazione (Luigi Paganetto), l’Europa come player nel nuovo contesto economico globale (Paolo Guerrieri), la coerenza della politica economica europea (Giandomenico Magliano), l’eccesso di risparmio in Europa (Rainer Masera), la politica industriale (Riccardo Perissich), l’European Green Deal in funzione del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 (Claudio De Vincenti), le politiche commerciali dell’Unione Europea (Beniamino Quintieri), la dimensione geopolitica e di sicurezza dell’Unione Europea (Maurizio Melani), il caso italiano (visto attraverso la demografia, la bassa occupazione e l’immigrazione) e le sue implicazioni per le politiche europee (Luigi Bonatti).
C’è molta materia, a ben guardare, per ragionare di strategie europee. Dal nostro sguardo, di chi crede nell’Europa e nel bisogno della sua esistenza nell’attuale quadro geopolitico, poniamo un ulteriore tema che, auspicabilmente, potrà continuare il lavoro “in progress” del quale questo libro costituisce una tappa importante: il cammino verso leadership, classi dirigenti, in grado di ricomporre politicamente le varie Europe o, se si preferisce, le diverse anime europee. Non viviamo di nostalgie ma c’è stata una stagione, che tutti conosciamo, nella quale la politica aveva un ruolo chiaro, di dialogo all’interno e di proiezione esterna, dove si praticava il “giusto” rapporto tra mezzi e fini. Era un altro mondo, certamente: ma quella lezione può valere ancora oggi. Pensiamo che un modo per ritrovare un’Europa davvero politica possa essere di “specchiarsi” nelle sfide globali: dove vanno, se non alla deriva, i singoli Stati nazionali ? La politica europea deve tornare, con approcci nuovi, a fare il suo mestiere. Green deal e digitale sono punti di svolta, elementi di un futuro già presente: pandemia compresa e a parte.
04 Giugno 2020
This is an edited translation of the introduction to “Constitution and Private Law. A Reform for Cuba”. Edited by Andrea Barenghi, L.B. Pérez Gallardo, and Massimo Proto, Costituzione e diritto privato. Una riforma per Cuba. (2019). Italy: Editoriale Scientifica.
By https://horizontecubano.law.columbia.edu/
On the sixtieth anniversary of the Revolution (1959), a new Constitution was promulgated in Cuba on April 10, 2019, the first important act of the new presidency of the Republic.
Although the Constitution introduces limited institutional political changes - it continues the single-party political system and does not contemplate constitutional interpretation by the courts - it opens a path towards economic modernization and introduces a very modern catalogue of civil rights.
According to the new Constitution, the Cuban Republic is a socialist state committed to the rule of law. The Constitution identifies several key characteristics:
social justice, the centrality of the working class (work revenues must constitute the 'main' source of income, although not the only one), humanism, dignity, equity, equality, and solidarity.
The Constitution emphasizes the centrality of human dignity and describes ways in which the individual is to be legally protected. It identifies humanism as the pivotal value of society and specifies in modern terms the need for social, economic, and technological development and, in particular, the right of future generations to a healthy environment.
To these rights, the new charter introduces the concepts of the "prosperity" of individuals and society and gives that equal status with the objective of "individual well-being". In short, the Constitution now expresses an aim to provide the individuals and the collective “bienestar” (well-being) while guaranteeing the individual and collective “prosperidad” (prosperity).
This new perspective - giving equal emphasis to obtainment of prosperity along with equality, solidarity, and equity - is a significant development. It is the foundation of this new "economic constitution" that now contemplates a system based on an economic plan with an acknowledged role for an open market.
This new Constitution recognizes a variety of forms of property:
Property held by the State (“for all the people") continues to be the principal form of property. Private property is no longer limited to "personal" property, as has usually been the case in socialist systems. Land and the means of production (except those that are strategic or of national interest) may be owned or managed by private individuals, cooperatives, and foreign institutions whose investments in the country are now explicitly guaranteed by the Constitution.
The State enterprise, therefore, is no longer the exclusive actor in the national economy; it is exclusive only in the management of essential social and public functions. This reflects a move towards a mixed economic regime, in which co-exist State economic activities, joint ventures with foreign investors, and private enterprises of a much larger scale than the domestic micro-enterprises the Cuban government has typically tolerated in the past.
The adoption of the new constitutional charter also serves as a concrete force for political and juridical transformation. The Constitution calls on Cuban society to revise prior relationships to implement the new goals. Moreover, it empowers the legislature to adopt legislation defining and implementing the new constitutional concepts.
Accomplishing such an ambitious program of reform can only be achieved through the hard and detailed work of reviewing and revising existing legislation and adopting new legal norms to create the new legal order. All of which could lead to a decisive, even if as yet unrealized, innovation of the Cuban economic and political system.
Andrea Barenghi is a full Professor of Civil Law at the University of Molise, JSD at the University 'La Sapienza'. He has been a visiting scholar and visiting professor at leading academic institutions abroad (including Panthéon-Assas, Heidelberg, Harvard, Havana and BSB-Dijon. Professor Barenghi is an honorary member of the Cuban Society of Civil and Family Law. He serves on the Advisory Board of the Italian Hub of the European Law Institute. Professor Barenghi is author or editor of several books and numerous articles as well as a handbook on Consumer Law (Cedam-WKI, 2017).
Massimo Proto if a full Professor of Private Law at the Link Campus University in Rome, Italy. Professor Proto has been a visiting research scholar and lecturer at the Pontifícia Universidade Católica do Rio Grande do Sul, Brazil, Universidad Complutense de Madrid, Spain, and the Universidad de la Habana, Cuba. He serves as a member of the ABF (Bank of Italy’s alternative dispute resolution committee for banking and financial disputes. Professor Proto is author of two monographs and many articles on current issues of private law, primarily contract law and human rights.
01 Giugno 2020
Crotone. L’emergenza coronavirus non ferma il progettodi ricerca scientifica della Lega tumori denominato “Lilt smoking free school”. Il 31 maggio, Giornata mondiale senza tabacco, gli studenti dell’Istituto Nautico Mario Ciliberto di Crotone, dell’Iti Panella di Reggio Calabria e del Liceo Artistico Russoli, sedi di Cascina e Pisa, hanno messo su una campagna di sensibilizzazione, con un video, che girerà su media e social, che è il risultato della sinergia tra le tre istituzioni scolastiche, e che vuole ricordare a tutti l’importanza della lotta al tabagismo.
Il fumo rappresenta ad oggi, nel mondo, la causa principale del cancro al polmone, con circa 7 milioni di decessi all’anno nel mondo. Il progetto Lilt smoking free school, finanziato dal bando 5 X 1000 della Lilt nazionale, ideato dalla sezione provinciale di Crotone, capofila, in partnership con le sezioni Lilt di Reggio Calabria e Pisa, in collaborazione con Link Campus University, ha preso il via lo scorso settembre, nei tre istituti individuati. La sua durata è biennale e quello appena concluso è il primo step.
Il progetto promuove percorsi di comunicazione, informazione, peer Education e disassuefazione, tutti finalizzati a contrastare il tabagismo nel microcosmo scolastico. Gli studenti, nel corso dell’anno, hanno frequentato incontri con esperti (pneumologi, oncologici, nutrizionisti ecc) sui danni che il fumo causa, hanno partecipato a incontri di Fitwalking, la camminata veloce inventata dai gemelli olimpionici Maurizio e Giorgio Damilano, e, in contemporanea, hanno frequentato dei laboratori artistici, per mettere in piedi la campagna- evento in occasione del 31 maggio, Giornata mondiale senza tabacco. L’evento avrebbe dovuto svolgersi a scuola,a causa dell’emergenza coronavirus, sarà mediatico. In ogni istituto, inoltre,per tutto l’anno, un gruppo simbolo di adulti della comunità scolastica (docenti o ATA) ha costituito un modello e uno sprone per i ragazzi, frequentando un percorso di disassuefazione, tenuto da psicologi e allenatori di Fitwalking.
Il video, intitolato “L’ultimo pacchetto” realizzato per il 31 maggio è la somma delle esperienze artistiche maturate dagli studenti dei tre territori coinvolti. Si tratta di un monologo recitato dall’attrice crotonese Antonia Gualtieri dell’Accademia Kroma, che ha seguito gli studenti crotonesi insieme a Marco Pupa. Il testo originale è stato scritto dalla reggina Katia Colica, scrittrice e giornalista. “il testo - ha spiegato Colica, che ha lavorato con i gli studenti di Reggio Calabria- è scaturito dall'incontro con i ragazzi. Soprattutto alcuni di loro si sono messi in gioco raccontando quanto il fumo in famiglia, unito alla comunicazione distorta dei media, abbiano contribuito a far nascere in loro l'idea del "fumatore come persona migliore". Quando abbiamo cercato di approfondire qual era la caratteristica dei fumatori che a loro piaceva di meno, più del pericolo di vita o del rischio malattie si è fatta spazio quella connessa al cattivo odore addosso. Così è nato questo piccolo monologo, reso possibile esclusivamente dalla sensibilità dei ragazzi che, anche se spesso volutamente celata e ben protetta, è emersa dai loro preziosi ricordi, spesso dolorosi, che hanno ritenuto di regalarmi”. La grafica invece è stata elaborata dagli studenti di Pisa.
3 MAGGIO 2018
L’edizione 2018 del Festival di Limes si terrà dal 4 al 6 maggio a Genova, nella splendida cornice del Palazzo Ducale.
Il Festival quest’anno ha come tema “Lo stato del mondo”: una ricognizione dei principali temi geopolitici all’ordine del giorno, la cui evoluzione ha subìto negli ultimi anni una notevole accelerazione. Lo Stato del mondo è anche il titolo del nuovo numero di Limes, che uscirà il 3 maggio e verrà ampiamente discusso durante il Festival.
Il 4 maggio 2018 è previsto l'intervento del prof. Schiavazzi, docente di Geopolitica vaticana su Francesco e lo stato della Chiesa.
Per info visita il sito di LIMES
Tavola rotonda “Francesco e lo stato della Chiesa” con Piero Schiavazzi (relatore e moderatore), Lucio Caracciolo, Massimo Franco, Padre Antonio Spadaro, Direttore di Civiltà Cattolica, e Mons. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna.
25 Maggio 2020
da Formiche.net
In occasione del 28esimo anniversario della strage di Capaci, Scotti ripercorre gli ultimi sedici mesi trascorsi insieme a Falcone che cambiarono il suo approccio e la sua partecipazione alla politica, alla società e alla stessa religione cattolica
Erano passate più di dodici ore dalla strage di Capaci e i corpi di Giovanni Falcone, della moglie e degli agenti di scorta entravano nel Palazzo di Giustizia. Ero con Claudio Martelli e Gerardo Chiaromonte. Eravamo arrivati in una Palermo avvolta da una cappa di afa e con un silenzio insolito, interrotto solo dalle sirene delle forze dell’ordine. Erano ormai ore che l’Italia si era fermata: incredula, smarrita, indignata. Dinanzi alla bara di Falcone continuavo a pensare alle ore che avevamo trascorso insieme, durante gli ultimi sedici mesi, per attuare una strategia di guerra contro la mafia. L’avevamo concepita con Claudio Martelli e i vertici delle forze dell’ordine. Qualche mese prima di incontrarlo a Roma, avevo partecipato con lui a una tavola rotonda sui processi alla mafia. Eravamo seduti vicino e più volte il discorso tornava alla mafia non come normale criminalità ma come forza capace di riconfigurare gli Stati. Non pensavo assolutamente che un giorno sarei diventato ministro dell’Interno: mi interessava però studiare la mafia come forza anti-sistema.
In quegli anni la Suprema Corte di Cassazione si era espressa per l’inesistenza del fenomeno: al massimo si poteva pensare a una mafia antica e rurale, ritenuta buona, in grado di assicurare la conservazione di un equilibrio sociale della povertà, garantito da regole spietate e gestite dal potere di una cupola che esercitava un potere benevolo e giusto, anche se violento. La connivenza mafia-istituzioni trovava conferma documentata nella relazione del presidente della Commissione antimafia, il genovese Francesco Cattanei, che, parlando della mafia come fenomeno ben esteso rispetto ai suoi confini storici, presentò un complesso di elementi rappresentativi “dell’esistenza di una effettiva convivenza, oltre che connivenza, con la mafia non solo di ampie aree della società ma delle stesse Istituzioni pubbliche, comprensive della magistratura, dei partiti e degli enti locali. le ripetute assoluzioni confermano – indipendentemente da ogni altra valutazione dell’opera della magistratura – l’impressione di una permanente impunità per i grossi mafiosi, attraverso un meccanismo che sfuggiva al controllo della legge”.
L’alba cominciava a illuminare le bare e io continuavo a sentire forte la presenza di Falcone in quei sedici mesi che cambiarono il mio approccio e la mia partecipazione alla politica, alla società e alla stessa religione cattolica. Mentre ci incontravamo per la prima volta al ministero, usciva nelle librerie il suo saggio scritto con Marcelle Padovani, che tracciava una strada da percorrere partendo dalla scelta della guerra contro la pax mafiosa. Lessi più volte il saggio: volevo capire cosa fare. Falcone aveva concluso il grande sforzo del maxi-processo remando contro il mondo della giurisdizione, dell’avvocatura. E della politica. Era consapevole che senza smettere di far ricorso a leggi speciali ed emergenziali non avremmo messo la guerra alla mafia su istituzioni adeguate e permanenti che non lasciassero nell’incertezza dell’emergenza quello che lui aveva fatto con il maxi-processo.
Falcone aveva lanciato un messaggio e così riassumeva la zona grigia della convivenza tra istituzioni e mafia: “La classe dirigente, consapevole dei problemi e delle difficoltà di ogni genere connessi a un attacco frontale alla mafia, senza peraltro nessuna garanzia di successo immediato, ha compreso che, a breve, aveva tutto da perdere e poco da guadagnare nell’impegnarsi sul terreno dello scontro. Ed ha preteso di fronteggiare un fenomeno di tale gravità con i pannicelli caldi, senza una mobilitazione generale, consapevole, duratura e costante di tutto l’apparato repressivo e senza il sostegno della società civile.
I politici si sono preoccupati di votare leggi di emergenza e di creare Istituzioni speciali che, sulla carta, avrebbero dovuto imprimere slancio alla lotta antimafia, ma che, in pratica, si sono risolte in una delega delle responsabilità proprie del governo a una struttura dotata di mezzi inadeguati e privi di poteri di coordinare l’azione anticrimine, il famoso commissario contro la mafia, creato sull’onda dell’emozione suscitata dall’assassinio del generale Dalla Chiesa, ne è l’esempio evidente.
Senza fare attenzione a quello che accadeva intorno a noi quella notte, compresi i fischi dei magistrati contro il ministero Martelli ed evidentemente anche contro di me, mi ricordai di una cena nello scantinato di una buona e modesta trattoria, Mario in via della Vite a Roma, quando tracciammo una strategia politico-legislativa che andava dalla nascita della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia, una intelligence sulla criminalità, alla prima legge sui collaboratori di giustizia, alle legge sul riciclaggio (quando non ne esisteva alcuna), alla legislazione sulle infiltrazioni mafiose nelle istituzione (scioglimento di consigli comunali) e al Decreto legge dell’8 giugno dopo la strage di Capaci e prima di quella di via D’Amelio.
Tutti questi provvedimenti furono adottati dal governo ma trovarono la più feroce ostilità che costrinse a dover cambiare alcune innovazioni significative che decidemmo, fin quando Falcone fu vivo, di tentare di introdurre. Lo scontro maggiore avvenne con il Decreto Legge dell’8 giugno 1992 quando io ero stato già allontanato dal ministero dell’Interno. A conclusione di quella cena la cosa più importante fu di proporre al Parlamento, ai partiti politici e alle forze sociali di dichiarare guerra alla mafia e di chiamare tutti ad una mobilitazione. Da una parte proponemmo alle istituzioni (a partire dal presidente Cossiga e dai presidenti delle Camere) di realizzare annualmente un incontro sulla legalità; al primo, anche l’ultimo, intervenne il papa Giovanni Paolo II e fu presente Falcone.
In quell’alba e nel viaggio di ritorno a Roma fui preso da una grande angoscia ricordando gli attacchi e gli improperi ricevuti in Parlamento quando avevamo dichiarato – con il Capo della Polizia – lo stato di emergenza, accusandomi di protagonismo inutile e di superficialità perché avevo annunciato la fase stragista che avrebbe, per primo, colpito proprio Falcone. Dopo l’uccisione di Lima, alla commissione antimafia, eravamo lontani dalla strage di Capaci, avevo detto che eravamo di fronte ad una guerra lunga e difficile ma rispetto alla quale non erano “possibili scelte alternative, a meno che non ci si volesse accontentare di un clima di tranquillità e di normalità, quello cioè che la pax mafiosa rendeva possibile, con l’acquiescenza degli organi dello Stato… Se la democrazia italiana vuole salvarsi da un condizionamento crescente della criminalità, allora dobbiamo essere pronti ad affrontare un calvario doloroso, segnato anche da fatti estremamente preoccupanti”. E conclusi: “La pericolosità è diventata quindi maggiore nel momento che la criminalità organizzata, vista l’impossibilità di avvalersi dei metodi tradizionali, ricorre alle tecniche terroristiche come avviene sempre più di frequente”.
L’aereo quella mattina atterrò a Roma Ciampino ma non eravamo riusciti a parlare tra noi, con Chiaromonte e Martelli; ed io avevo continuato a pensare alla seduta delle commissioni riunite di Camera e Senato, quando avevo dichiarato lo stato di allerta. Il Presidente della Commissione al Senato mi aveva invitato a chiedere scusa al Paese per aver dato un falso allarme (una patacca) nel pieno di una campagna elettorale. Arrivando al Viminale mi riunii con i miei più stretti collaboratori e continuammo a chiederci se la strada della guerra e dei provvedimenti (non ultimo il riportare in carcere tutti i condannati all’ergastolo rimessi in libertà per decorrenza dei termini dimostrando che lo Stato era più forte della mafia) fosse quella giusta o se, invece, una pax mafiosa avrebbe potuto portare a migliori risultati. La nostra posizione era ferma, soprattutto in vista della formazione del nuovo governo. Il giornalista D’Avanzo scrisse: “Il ministro ha confessato: sono convinto, e lo vado ripetendo da mesi, che il calvario non è finito, che la mafia colpirà più in alto, tanto più in alto quanto più efficace diventerà l’azione dello Stato”. E d’Avanzo commenta: “La strana coppia, Scotti-Martelli, ha trovato una sintonia a ideare, promuovere e organizzare una politica antimafia che ha rotto con la vecchia tradizione governativa delle leggi dell’emergenza, degli organismi eccezionali, dell’inasprimento puro e semplice delle pene… La strana coppia si è avvalsa dell’esperienza dei consigli di Giovanni Falcone!”. Io direi oggi una stagione straordinaria, che tuttavia fu piena di ostacoli e di amarezze.
Una cosa non posso dimenticare. Dopo l’istituzione della Procura nazionale Antimafia si doveva nominare il primo procuratore; mi permisi allora di scrivere una lettera al Consiglio Superiore della Magistratura per sottolineare l’importanza della scelta, specie dopo alcune mutilazioni del testo legislativo e, per questo, nella mia responsabilità di ministro dell’Interno suggerii il nome di Giovanni Falcone. Dopo pochi giorni la commissione votò contro Falcone e durante una cena con Falcone e i membri eletti dal Parlamento su indicazione del gruppo Democratico-Cristiano avemmo la certezza che solo uno di questi membri aveva deciso di votare per Falcone. Uscimmo da quell’albergo e vidi sul volto di Falcone una terribile amarezza perché al gruppo degli eletti dal Parlamento – contrari alla nomina di Falcone – su indicazione del Pds si aggiungeva quello della Dc. Falcone, successivamente, dovette anche difendersi di fronte al Consiglio Superiore della Magistratura dall’accusa di tenere nel cassetto dossier riguardanti collusioni di mafia!
Dopo il maxi-processo l’unico momento di soddisfazione fu quando con Martelli riuscimmo a far approvare un Decreto Legge per far tornare in carcere i condannati all’ergastolo ed evitare a Falcone un colpo duro da parte della Mafia.
Il 28 giugno del 1992 sentii alla televisione che non ero più ministro dell’Interno e nessuno sapeva se era vero e perché. Oggi, 23 maggio, mi sento di suggerire al procuratore Nazionale Antimafia di sviluppare un progetto di ricerca sulla legislazione di quei due anni e sulla sua applicazione, coinvolgendo le migliori intelligenze dei giuristi italiani e anche di studiosi di altre discipline per affrontare non solo le questioni allora lasciate aperte ma anche le nuove questioni esplose con l’era digitale e nel mondo globale. Il pericolo principale, oggi, non è forse più rappresentato dalle stragi ma dalla riconfigurazione degli Stati da parte della criminalità organizzata ora anche transnazionale.
18 Maggio 2020
di Stefano Scaini e Claudia Petrosini,(CYRCE - CYBERSECURITY RESEARCH CENTER)
da Safety and Security Magazine
Benché caratterizzati da aspetti diversi, sia sostanziali che afferenti alla loro stessa natura, i due mondi della Safety e della Security, ai quali ci riferiamo quotidianamente in riferimento alla prevenzione e protezione da eventi di natura rispettivamente colposa e dolosa, sono accomunati tra di loro da aspetti trasversali che li rendono complementari e interdipendenti; ci riferiamo in particolare alle criticità di Health ed Environment, aspetti spesso legati all’impatto (sia diretto che indiretto) generato da incidenti che hanno visto il coinvolgimento di sostanze pericolose di natura chimica, biologica, radiologica e nucleare.
L’aspetto di Health, ovvero la salvaguardia della salute delle persone non limitatamente alla permanenza nei luoghi di lavoro, bensì durante l’intero arco di vita, ha assunto col passare del tempo un’importanza sempre maggiore, correlandosi strettamente all’evoluzione dei nostri stili di vita; similmente la componente Environment, rappresentata dalla protezione del sistema Ambiente in tutte le sue dimensioni, rappresenta una delle maggiori criticità evidenziate dalla Comunità scientifica internazionale fin dal secolo scorso, in quanto caratterizzata da svariate vulnerabilità alla luce di attività antropiche sempre più impattanti e, purtroppo, spesso irreversibili.
In particolare quando si parla di sicurezza e la si abbina al termine “nucleare”, è immediato immaginare scenari apocalittici e minacce invisibili e pervasive che vanno a colpire dall’ambiente alla salute degli individui, fino a raggiungere il patrimonio genetico, facendo così nascere paure irrazionali spesso alimentate ulteriormente dalle fiction.
Le principali minacce nucleari che la storia ricorda fanno prevalentemente riferimento alla possibilità dell’impiego di armamento nucleare da parte delle potenze internazionali, il quale avrebbe potuto portare alla Mutual Assured Destruction, seguite dagli incidenti occorsi all’interno delle centrali negli Stati Uniti d’America (Three Mile Island), nell’ex Unione Sovietica (Chernobyl, Ucraina) e in Giappone (Fukushima); ulteriori minacce sono principalmente associate agli effetti sull’ambiente: tra gli anni ’70 e ’80 furono formulate ipotesi relativamente a uno sconvolgimento climatico causato da esplosioni atomiche denominato “inverno nucleare”, rivelatosi poi scientificamente infondato, nonché condotti studi sul contenimento, la gestione e lo stoccaggio delle scorie nucleari.
Tale problematica non è stata, ad oggi, ancora risolta a causa della complessità e della durata dell’emivita dei rifiuti radioattivi, suddivisi nel 2009 da IAEA – International Atomic Energy Agency in ben sei differenti categorie; è all’interno delle pubblicazioni sugli standards della sicurezza nucleare della IAEA (GSG n.01 – Classification of Radioactive Waste), che è possibile trovare come ufficialmente viene definito e considerato il materiale radioattivo nell’ambiente (Capitolo III, paragrafo 23).
i residui radioattivi, depositati nei decenni sulla superficie terrestre a seguito di molteplici attività, includono i residui dei test sulle armi nucleari, gli incidenti negli impianti nucleari e pratiche passate, come ad esempio l’estrazione dell’uranio, le quali erano soggette a un controllo normativo meno rigoroso di quanto previsto e richiesto dalle attuali norme in materia di sicurezza.
I rifiuti derivanti da operazioni di bonifica, ad esempio, dovevano essere gestiti come rifiuti radioattivi, attraverso una stabilizzazione in situ o lo smaltimento in apposite strutture dedicate: tali rifiuti, depositatisi sui terreni e nei boschi spesso di zone altamente contaminate, quali ad esempio quelle attorno all’impianto nucleare di Chernobyl, sono frequentemente oggetto non solo di incendi di piccole e medie proporzioni, ma anche di eventi di maggior magnitudo come quello occorso nel 2015, ove circa 400 ettari di bosco sono stati interessati da incendi incontrollati il cui fronte è giunto a soli 20 chilometri dalla centrale nucleare.
Ciò ha causato un rilascio ancora maggiore di radioattività, imputabile alla diffusione delle particelle radioattive assorbite dalla vegetazione coinvolta negli incendi e trasportate dal fumo degli stessi; di recente – tra il 4 e il 30 aprile 2020 – un vasto incendio ha parimenti interessato la zona di esclusione, disposta dalle autorità ucraine all’indomani dell’incidente del 26 aprile 1986, la quale si estende per 30 km intorno alla centrale nucleare di Chernobyl e per una superficie complessiva di 3100 km².
Nel corso di un test volto a verificare il corretto funzionamento dell’impianto in condizioni degradate, a causa di concomitanti effetti legati alla progettazione della struttura e alla violazione di svariate norme di sicurezza da parte del personale coinvolto nel test, il nocciolo del reattore n. 4 della centrale subì un brusco e incontrollato aumento della potenza e, conseguentemente, della temperatura; ciò determinò la scissione dell’acqua di refrigerazione in idrogeno e ossigeno, causando un innalzamento delle pressioni nelle tubazioni del sistema di raffreddamento del reattore tale da provocarne la rottura.
Il contatto dell’idrogeno e della grafite incandescente delle barre di controllo con l’aria, a sua volta, innescò una fortissima esplosione che divelse sia la copertura che l’intera struttura del reattore causando un vasto incendio; una nuvola di materiale radioattivo fuoriuscì dal reattore ricadendo su vaste aree intorno alla centrale, contaminandole pesantemente e rendendo necessaria l’evacuazione e il successivo reinsediamento in altre zone di circa 336.000 persone.
Furono così istituite delle aree sottoposte ad esclusione, di controllo permanente, di controllo periodico e a bassa contaminazione, che si estendono per quasi 200.000 Km² dalla zona dell’incidente.
L’incendio sprigionatosi il passato 4 aprile sembra aver avuto origine, a detta delle autorità ucraine, da un uomo di 27 anni, residente nel villaggio di Ragivka, che ha ammesso di aver dato fuoco a erba e rifiuti urbani in ben tre punti differenti, non riuscendo però più a controllare i roghi nel momento in cui il vento si era intensificato; la polizia nella regione di Kiev ha altresì identificato un ulteriore uomo, di 37 anni e sempre del luogo, coinvolto in un altro incendio nell’area di Chernobyl nello stesso periodo.
L’incendio è stato favorito dalle condizioni meteorologiche, connotate dall’assenza di piogge e forti venti nei dieci giorni successivi, impegnando più di 500 operatori a terra, due aeromobili Antonov An-32p del Servizio di Emergenza dello Stato, due elicotteri Mi-8 e oltre 90 veicoli autobotte; i quattro diversi focolai d’incendio hanno portato il fuoco a raggiungere i confini di Pripyat, distante appena due chilometri dall’impianto di stoccaggio di rifiuti radioattivi di Pidlisnyi, il quale ospita i rifiuti pericolosi di gran lunga più attivi dell’intera zona di Chernobyl.
Il 14 aprile le squadre antincendio di Chernobyl hanno riferito che gli incendi attivi in zona erano stati estinti, fortemente assistiti dall’arrivo di provvidenziali piogge; tuttavia, dal pomeriggio di giovedì 16 aprile, forti raffiche di vento hanno ostacolato le operazioni e favorito nuovamente lo spostamento delle fiamme, facendo comparire tre nuovi focolai nella zona di esclusione.
Secondo le autorità locali, dal 2 maggio nuovi piccoli incendi si sono estesi nella zona di esclusione di Chernobyl e nei vicini boschi di Kiev e Zhytomyr, ove più di 200 persone sono ancora impegnate a combattere le fiamme; inoltre, al centro dell’incendio nelle giornate tra il 6 ed il 14 aprile, le radiazioni rilevate sono state di circa 16,5 volte superiori ai valori normali, ben 2,3 microsievert rispetto al valore di 0,14.
Secondo l’Autorità di sicurezza nucleare ucraina, le concentrazioni di Cesio-137 misurate nella città di Kiev si sono mantenute a livelli molto bassi, quasi sempre inferiori a 1 milliBq/m3 che, se paragonato con il fondo usuale di circa 6 microBq/m3, dimostra il passaggio di aria contaminata sebbene in maniera lieve; tuttavia, nella giornata del 13 aprile in concomitanza con lo spostamento dei fumi dell’incendio su Kiev, sono state le stesse autorità ucraine a consigliare di chiudere le finestre.
In Italia, l’ISIN – Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione ha confermato che non sono stati rilevati valori anomali: “Tali concentrazioni, anche nelle ipotesi più cautelative che si possono formulare (ad esempio la persistenza della concentrazione massima per l’intera durata degli incendi e la presenza anche di Stronzio-90, l’altro radioisotopo oltre il Cesio-137 presente nell’ambiente a seguito dell’incidente di Chernobyl), risultano diverse decine di migliaia di volte inferiori al limite di dose previsto per la popolazione, non costituendo pertanto un pericolo per la salute e non rappresentando nulla di rilevanza radiologica”; analogamente si sono espresse le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (Arpa), rassicurando che in Italia non sono stati rilevati valori anomali.
L’IRSN – Institut de Radioprotection et de Sûreté Nucléaire francese ha effettuato una simulazione attraverso strumenti di modellizzazione inversa, partendo dal presupposto che le emissioni radioattive medie avvenute tra il 3 e il 12 aprile 2020, continueranno dal 14 al 20 aprile 2020, e modellando la radioattività mossa dagli incendi; secondo lo studio “sarebbero circa 200 gli GBq5 emessi dalle ore 12:00 del 3 aprile 2020 alle ore 12:00 del 13 aprile 2020”.
Su questa base, attraverso l’analisi delle condizioni meteorologiche e delle loro previsioni, “le simulazioni IRSN indicano che le masse d’aria dall’area degli incendi, verificatisi il 5 e 6 aprile, sono state in grado di raggiungere la Francia nella serata del 7 aprile 2020”; tuttavia, i livelli di radioattività prevista sono estremamente bassi, inferiori a 1 µBq / m3 nel Cesio-137 (ovvero mille volte inferiori a quelle rilevate nella città di Kiev dall’Autorità di sicurezza nucleare ucraina).
I rischi più rilevanti in tale situazione sono quelli relativi alla sicurezza dell’impianto di Chernobyl e al degrado delle sue capacità, in riferimento, ad esempio, all’interruzione di energia elettrica che assicura il funzionamento dell’impianto di contenimento del nucleo e degli strumenti preposti al monitoraggio continuo; tale scenario, analizzato nel 2011 a seguito dell’incidente di Fukushima in Giappone, ha visto coinvolta l’Europa intera nell’effettuazione di stress test dedicati.
La maggior sicurezza in questo tipo di incidenti è proprio da ricercare nel continuo aggiornamento alle più recenti lessons learned, attraverso l’effettuazione di stress test e il continuo impiego di reti di monitoraggio per il controllo sia in situ che esteso a territori più ampi; infine, risulta determinante l’uso estensivo di sistemi satellitari, quali ad esempio la rete di monitoraggio FIRMS – Fire Information for Resource Management System della NASA, che distribuisce praticamente in tempo reale mappe sugli incendi attivi ottenute attraverso lo spettro-radiometro per immagini a risoluzione moderata (MODIS) e le immagini radiometriche a infrarossi visibili (VIIRS).
Gli studi e gli interventi per assicurare la sicurezza non si sono mai interrotti nella zona di Chernobyl; dalla costruzione del New Safe Confinement, l’arco di acciaio che ricopre il reattore della centrale ultimato nel luglio del 2019, ai più recenti studi condotti nell’aprile dello stesso anno da un team di esperti guidato dall’NCNR – National Center for Nuclear Robotics, un consorzio di otto Atenei (con Birmingham quale capofila) che ha mappato i 15 km2 della Foresta Rossa e dei suoi dintorni attraverso l’impiego di veicoli aerei senza equipaggio (UAV), utilizzando la tecnologia LIDAR per misurare gli spettrometri del paesaggio e dei raggi gamma per i livelli di radiazione.
L’uso di questi velivoli ha consentito di raggiungere distanze ridotte dalle fonti radioattive senza esporre i ricercatori alle radiazioni, confermando che il 90% della radioattività nella Foresta Rossa rimane nel suolo; inoltre, in un contesto di politiche per una generale riduzione della radioattività, sono stati identificati “punti caldi” di materiale radioattivo che non compaiono sulle mappe ufficiali e che, in futuro, potrebbero rappresentare ulteriori pericoli per la sicurezza globale qualora non considerati e adeguatamente monitorati.
3 MAGGIO 2018
Il 12 e 13 maggio 2018 torna Open House Roma, il grande evento pubblico e totalmente gratuito che apre le porte di edifici storici, architetture contemporanee, luoghi di eccellenza della città. Open House Roma nasce dall’idea di un gruppo di architetti e comunicatori orientati all’innovazione socio-culturale. È un evento annuale che in un solo weekend celebra il design e l’architettura nella Capitale. Circa 200, siti di qualunque epoca e solitamente inaccessibili, vengono aperti al pubblico attraverso visite guidate gratuite. Un’iniziativa che, quest’anno alla sua settima edizione, è diventata un‘occasione unica per visitare residenze, palazzi, istituzioni, zone archeologiche o studi creativi abitualmente non accessibili. Un fine settimana alla scoperta dei luoghi speciali e sconosciuti di Roma.
L'evento, organizzato dall'associazione Open City Roma, è realizzato con la partnership di Roma Capitale - Assessorato alla Crescita Culturale e della Regione Lazio e patrocinato dal Senato della Repubblica, Università Sapienza, Tor Vergata e Roma Tre.
Questa settima edizione di OHR è dedicata al Fattore Umano. Il programma del 2018 coinvolge 200 siti, anche quest'anno diviso in 5 aree tematiche: città della conoscenza, attraversare la storia, architettura del quotidiano, abitare, patrimonio creativo.
Link Campus University parteciperà all'iniziativa nell'area tematica Patrimonio creativo. Il tema apre quei luoghi di Roma dove si produce l'innovazione; distretti produttivi di nuova generazione nati dalla passione, dalla creatività e dall'intraprendenza di giovani e professionisti.
IL CASALE DI SAN PIO V
Il Casale di San Pio V è tra gli edifici della Capitale che, per le notevoli caratteristiche architettoniche, rimarrà aperto ai visitatori Sabato 12 e Domenica 13 con i seguenti orari:
10:00-14:00 Intervallo: 30 min Ultimo ingresso: 13.30
Per poter visitare il Casale è necessario prenotarsi su www.openhouseroma.org (prenotazione obbligatoria).
Guarda la guida online di Open House Roma 2018 https://www.openhouseroma.org/node/10796
RISCARTI La mostra per Amatrice e per le vittime del sisma del centro Italia.
Riscarti partecipa con “SOStenibilità, La Natura si ribella” una mostra per Amatrice e per le vittime del sisma del centro Italia. Infatti i materiali di cui sono composte le opere d’arte, provengono proprio da quel che resta della città distrutta dal terremoto del 24 agosto 2016. Ad ospitare le opere lo splendido Casale San Pio V, un edificio che intercetta cinque secoli di storia d’Italia dalla sua costruzione avviata nel XVI secolo, e che oggi è sede internazionale della Link Campus University di Roma.
Il messaggio affidato all’arte che reimpiega gli scarti, è di dipanare lo sconquassamento provocato dalla scellerata politica usa e getta. I materiali che sono stati lasciati a terra dalla furia del cataclisma, vengono rianimati e riassemblati creativamente, e raccontano di una città che è venuta giù. Questi oggetti dentro la narrativa che li ha visti mutare forma, sono la memoria di quel che resta prima del collasso, ed allo stesso tempo entrano in una storia nuova e contemporanea: una sorta di storia dell’adattamento che, per opera delle arti, trova soluzioni creative per sopravvivere all’ambiente.
Riscarti il festival del riciclo creativo presenta tre opere d’arte, due di design e una installazione, realizzate con il reimpiego degli scarti del terremoto. Dalla distruzione alla rinascita con l’obiettivo di riportare l’attenzione sui luoghi colpiti dal sisma e la promessa di celebrare in situ, il prossimo agosto 2018, insieme alle amministrazioni locali, una maratona di creativi che daranno nuova vita a parte di quelle macerie.
I sei artisti con le opere realizzate finora sono:
Alessandro Ciafardini, opera Scrivavia. “Se fosse stata "mobile", se la sarebbe data a gambe ed invece no, non era mobile ma…una finestra, dei tondini da armatura ed un vetro. Immobili, Spostati dalla furia della natura, che ci fa riflettere su quanto l'immobile sia cosi mobile il certo cosi' incerto.”
Cristiano D'Innocenti, opera Dalle radici nude a nuova linfa. “Un albero di gesso scheletrito e storto fu l’unico elemento scenografico realizzato da Alberto Giacometti per "Aspettando Godot" di Beckett. Sul palcoscenico spoglio, svuotato di tutti i segni del quotidiano, va in scena lo spettacolo della solitudine, della precarietà dell’esistenza. Un lavoro di scavo, una poetica del “levare” che tocca l’essenza invisibile di tutto ciò che tace, che non si svela.”
Tommaso Garavini, opera La casa che non c’è. "Questa è una casa che non c’è, è il suo negativo, dove le porte e le finestre sono in realtà impenetrabili, fatte di muri, e tutto il resto invece non c’è più, se non in un segno infantile che ne traccia la memoria. "
Cristiano Muti, opera Epicentro. ”Il crollo improvviso, che non lascia il tempo di scappare, di nasconderti. Un vortice di metallo piegato alla forza della natura, che diviene “gabbia” di maglie temporali. Immagine di un tempo indefinito, successivo al cedimento, dove si arrestano le parole, le certezze e le umane abitudini."
Filippo Riniolo, opera Epifania. “Epifania è un gesto delicato. un’opera già fatta non dell’artista ma dal terremoto, che irrompe nella storia, che crea un prima e dopo, e in questo essere spartiacque assume la forma del sacro. un bambolotto diventa un ‘epifania, un’arrivare nel mondo, non solo come traccia di una giovane vita che c’era, ma anche di una vita che si desidera ancora. Le macerie dunque come il punto più buio dell’inverno che però ci annuncia la prossima estate che tornerà.”
Francesca Pizzo e Germano Serafini, opera A Sora Capricchia. Un fotografo ed un'architetto, due professioni complementari, ma soprattutto complici per riuscire a cogliere e ricostruire la visione più completa di un paesaggio in frantumi.
Qui ne parla il Tg3 Lazio del 7 maggio scorso: https://youtu.be/dOPhQw2fEPM
Per info contattare: Marlene Scalise direttrice artistica riscarti@gmail.com tel. 3806376906 @riscartifest www.riscarti.com
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06 Maggio 2020
di Valentina Re
Le prime anticipazioni dei risultati dell’ottavo Rapporto di Ricerca dell’Osservatorio Generazione Proteo, realizzato in piena emergenza Covid-19, parlano chiaro: tanti, tantissimi ragazzi hanno scelto di trascorrere molto del loro tempo libero in quarantena guardando film e serie tv. Sono il 27,6%, più del triplo di quelli che l’hanno trascorso sui social (9,1%) e quasi il triplo di quanti hanno l’hanno trascorso con i videogame (10%).
Seppur il dato di per sé non ci dica dove i ragazzi li guardino, film e serie tv, la risposta alla domanda “Cosa preferisci tra Netflix e Amazon Prime Video?” è a dir poco eloquente, se consideriamo che addirittura l’81,1%, stando alle prime anticipazioni, esprime una preferenza per Netflix e solo il 12,3% dichiara di non usare nessuna delle due piattaforme globali di streaming.
Già, lo streaming: perché la “cultura on-demand” perfettamente rappresentata da un gigante come Netflix, e che al Dams della Link Campus studiamo nel corso di “Digital media and Internet entertainment”, sembra corrispondere in pieno alle esigenze della quarantena.
Netflix ci appare come un’autentica miniera di contenuti sempre nuovi da scoprire, un “serbatoio” potenzialmente infinito per alimentare il nostro bisogno di storie e di intrattenimento; un ricchissimo catalogo che ci permette di scegliere sempre che cosa guardare, quando guardarlo, senza dover sottostare a vincoli esterni alle nostre esigenze, e dove guardarlo – in famiglia se lo desideriamo, ma anche nel privato del nostro smartphone se lo preferiamo.
Va detto però che i ragazzi non sembrano trascorrere online la totalità del loro tempo, e anzi i dati preliminari forniti dall’Osservatorio Generazione Proteo ci restituiscono uno scenario mediale e una “dieta mediale” più articolati e più complessi, in cui ciascun medium sembra in qualche modo fare quello che gli riesce meglio. Così, i ragazzi non disdegnano affatto di affidarsi alla cara e vecchia televisione lineare quando si tratta di informarsi (52,8%), ma si rivolgono naturalmente ai social per continuare a coltivare quella socialità che il distanziamento ha modificato, ma non certo annullato (il 35,7% dichiara che i social permettono di sentirsi meno soli).
E i social tornano in qualche modo protagonisti quando si tratta di capire meglio quali sono le ragioni di una preferenza così marcata per Netflix. Se infatti per una netta maggioranza (58,4%) è l’opportunità economica (l’inclusione nell’abbonamento per le spedizioni Prime di Amazon) a motivare l’uso di Prime Video, la preferenza per Netflix è nettamente motivata dalla popolarità dei suoi contenuti: il 57,4%, infatti, dichiara di guardare Netflix perché “ci sono serie tv e film di cui si parla molto”.
E dov’è che, principalmente, se ne parla? Ma sui social, naturalmente. Su questo “parlare molto dei contenuti Netflix” possiamo fare almeno due osservazioni.
La prima: la cultura on-demand non è tutto. Anche nell’epoca della scelta, nell’epoca in cui possiamo vedere quello che vogliamo quando lo vogliamo, permane l’esigenza di continuare a vivere esperienze collettive, sincronizzate, condivise: quando finalmente esce su Netflix La casa di carta, lo vogliamo guardare insieme ad altri, vogliamo commentarlo, vogliamo discuterne, vogliamo sentirci parte di una comunità di gusti e di interessi.
La seconda: perché si parla tanto delle serie di Netflix? Perché sono migliori di altre? Forse. Perché sono più originali? Forse. Ma c’è sicuramente una ragione, tra le molte possibili, che non possiamo ignorare: perché Netflix sa fare marketing. Perché, proprio a partire dai social, Netflix detta la sua agenda, stabilisce i “must see” del momento, costruisce i suoi molti pubblici, orienta i trend, e alimenta con grande abilità quello che oggi chiamiamo “audience engagement”, il valore del coinvolgimento.
Ma allora, chi decide che cosa guardiamo? Su questo punto, i dati forniti dall’Osservatorio ci restituiscono uno scenario dove prevale una forte percezione di autonomia decisionale, o libertà di scelta. Solo il 2,9% dichiara di essere molto influenzato dai suggerimenti sulla piattaforma, mentre il 27,9% dichiara di non esserlo per nulla – a cui si somma un 43,3% che dichiara di esserlo poco.
E tuttavia: abbiamo mai pensato al fatto che la nostra home page è diversa da quella di ogni altro nostro amico? Che gli algoritmi ce la costruiscono e ricostruiscono ogni giorno sulla base di tutte le nostre anche minime interazioni? Che ci sono contenuti che vediamo ripetersi più e più volte, e altri che non appaiono a meno di non andarli a cercare? Che l’intero catalogo di Netflix nessuno di noi lo vedrà mai, perché non possiamo accedervi se non attraverso i filtri che sono stati predisposti?
Proprio mentre finisco di scrivere questo articolo, come se l’avessi evocato, Netflix mi manda una mail: “Vuoi guardare Netflix, stasera? Guarda uno dei titoli scelti per te”. E allora vi propongo un gioco: no, non guardiamo Netflix stasera. Proviamo a uscire dalla “bolla” e, per farlo, divertiamoci a usare le stesse strategie di raccomandazione e orientamento che Netflix utilizza per guidarci nel suo catalogo.
Eccovi, allora, una serie di titoli da provare su altre piattaforme, consigliati come ve li consiglierebbe Netflix. Buon viaggio fuori dalla bolla!
Killing Eve – TIM Vision
Sandra Oh, la dott.ssa Cristina Yang di "Grey's Anatomy", è Eve, un’agente dell’MI5 sulle tracce di una killer seducente e spietata. Una caccia appassionante che si trasformerà in ossessione…
Generi: Drammi TV di genere crime, thriller TV, serie TV britanniche
Caratteristiche: Suspence, tensione crescente, protagoniste femminili forti
Perché hai guardato Grey's Anatomy, Orange Is the New Black, Russian Doll
The Good Fight – TIM Vision
L’atteso spin-off di “The Good Wife” con protagonista Diane Lockhart, avvocatessa dal carattere forte e risoluto, liberale convinta, da sempre schierata in favore delle donne.
Generi: Serie TV americane, drammi TV
Caratteristiche: Intellettuale, spiritoso, avvincente
Perché hai guardato The Good Wife, Suits, Le regole del delitto perfetto
Tales of the Loop – Amazon Prime Video
Una serie corale visivamente emozionante che racconta la vita quotidiana di una piccola comunità ai bordi del Loop, una macchina straordinaria costruita per esplorare i misteri dell’universo.
Generi: Fantascienza TV, thriller TV, drammi TV
Caratteristiche: Inquietante, profondo, emozionante
Perché hai guardato Black Mirror, Dark, Mad Men
Upload – Amazon Prime Video
Nel 2033 le persone vicine alla morte possono essere uploadate in “paradisi” virtuali. Il protagonista Nathan ha un incidente e la sua ragazza lo fa uploadare, ma non tutto è come sembra…
Generi: Fantascienza TV, thriller TV, gialli e misteri TV
Caratteristiche: Spiazzante, avvincente, ingegnoso
Perché hai guardato Black Mirror, Altered Carbon, The Good Place
The Morning Show – Apple TV+
Alex Levy e Mitch Kessler conducono “The Morning Show”, un popolarissimo programma di notizie. La loro vita e quella di tutta la troupe viene sconvolta quando il giornalista viene accusato di molestie sessuali.
Generi: Drammi TV, serie TV americane
Caratteristiche: Avvincente, emozionante, intellettuale
Perché hai guardato Unbelievable, When They See Us, Friends
For All Mankind – Apple TV+
Cosa sarebbe accaduto se il primo uomo a sbarcare sulla Luna non fosse stato un americano, ma un russo? Dall’autore di “Battlestar Galactica”.
Generi: Drammi TV, serie TV americane
Caratteristiche: Intellettuale, profondo, spiazzante
Perché hai guardato Battlestar Galactica, Altered Carbon, The Killing
04 Maggio 2020
di Marco Emanuele
da Formiche.net
Forte è la tentazione, anche in chi scrive, di parlare di Europa in termini ideali, di una costruzione che, solo esistendo, garantirebbe tutto ciò che i cittadini si aspettano in termini di libertà e di sviluppo.
Cominciamo con il dire che, in tempi difficili come quello che stiamo vivendo, l’Europa rappresenta una grande potenzialità. Diciamo anche che, guardando ai fondatori, le due linee – quella legata al Manifesto di Ventotene e l’altra che riconduciamo ai nomi di De Gasperi, Adenauer e Schumann – portano dentro elementi di grande interesse e visione; non siamo tra coloro che le contrappongono ma tra quanti non si stancano di ricercare un’anima politica.
Questa riflessione muove, tra nostalgia e progetto, sulla necessità che in Europa si formino classi dirigenti che, pur gettando il cuore oltre l’ostacolo, guardino ai rapporti di forza e agli interessi in campo. La visione politica è, anzitutto, realismo e mediazione.
La storia ritorna, pur se – circa trent’anni fa – si guardò a essa dalla prospettiva della sua fine. Non si può ragionare dell’Europa di oggi se non si fa un tuffo indietro nella storia, se non si comprende che la Lega Anseatica è tornata e che il Gruppo di Visegrad rappresenta una realtà di Paesi con i quali bisogna fare i conti. I fattori geopolitici, le zone d’influenza interne all’Europa, sono un elemento decisivo da tenere in conto in ogni considerazione che voglia calarsi nella realtà-che-è.
I diversi miti europei sono all’opera e “diventano” scelte e difficoltà politiche. Nulla di ciò che accade, dal ritorno dei sovranismi alle difficoltà legate al raggiungimento di accordi europei nella crisi da Covid-19, accade per caso. Ci sono ragioni profonde che, a ben guardare, le classi dirigenti (non solo politiche) raramente esplorano.
Il tema, per noi, è lavorare sul futuro dell’Europa sapendo che è richiesto un nuovo “funzionalismo democratico”, un realismo dei fatti e capacità di mediazione che, pur considerando le ragioni ideali, lavorino a ricomporre l’Europa a partire dalle Europe che la compongono.
Sembra, infatti, che l’atteggiamento verso l’Europa voglia quasi prescindere dalla realtà profonda (miti) che rende il Vecchio Continente ciò che è oggi. Non si tratta, naturalmente, di auspicare che l’Europa diventi a misura d’interessi particolari (sarebbe una resa) ma di lavorare politicamente “tra” i diversi interessi per ritrovare, senza dubbio faticosamente, un percorso comune. Questo lavoro si chiama talento politico e può appartenere a persone che non considerino la storia come un processo distaccato dal presente, un passato “passato”, ma come un monito che ci chiama a guardare oltre ciò che vediamo.
In conclusione, guardando all’ineliminabile lato “romantico” (ma altrettanto realistico) dell’Europa che vorremmo, val bene ribadire un deciso “alert” sul pericolo rappresentato dai nazionalismi. Proprio per questo è necessario invocare il ritorno di una Politica (qui volutamente in maiuscolo) che sappia dialogare con tutte le forze in campo. Il tempo che viviamo, geopoliticamente parlando, non è quello di Spinelli, De Gasperi, Adenauer e Schumann. Si è consolidata, in diversi decenni, la capacità dell’Europa di farci vivere in pace ma inevitabilmente, in tempi di crisi, essa ritorna a mostrarsi nelle sue divisioni. Affinché l’Europa non resti una magnifica idea, urge accogliere la sfida della Politica.
29 Aprile 2020
di Valentina Re da Lavoro culturale
Nel quadro drammatico dell’emergenza sanitaria e dell’impatto delle misure di distanziamento sociale sul settore audiovisivo, abbiamo intervistato rappresentanti delle film commission e sceneggiatori già coinvolti nel progetto europeo “DETECt”. Le loro voci ci offrono un lucido spaccato della situazione attuale, in cui fiducia e preoccupazione convivono.
E-vadere, ovvero, «fuggir dal luogo in cui uno è chiuso». Tale luogo può essere naturalmente fisico e concreto, come il carcere, ma anche metaforico, come una particolare «condizione morale o spirituale», o «un modo di vita, che siano divenuti insopportabili o siano causa di disagio e di sofferenza» (Treccani http://www.treccani.it/vocabolario/evasione/): letterale o figurato che sia questo “ambiente” in cui ci troviamo rinchiusi, l’azione di evadere rappresenta un atto di liberazione. Eppure, quando parliamo di letteratura d’evasione, o di cinema d’evasione, non è esattamente a un atto di liberazione da una condizione di difficoltà a cui pensiamo. Associata alle arti, ai media, ai racconti, l’evasione si carica immediatamente di connotazioni in qualche modo peggiorative: letteratura d’evasione sarebbe solo quella «letteratura che, all’opposto di quella “impegnata”, elude prese di posizione ideologiche, problematiche sociali o morali, e simili, privilegiando invece contenuti, intrecci e situazioni in cui prevalgono la fantasia, il sentimento e l’avventura» (Treccani).
La condizione di distanziamento sociale in cui tutti ci troviamo ci mette di fronte al pregiudizio di questo uso linguistico, e soprattutto ci fa sperimentare con una forza inedita la capacità della letteratura, del cinema, della serialità televisiva, delle storie, insomma, di farci evadere (o “liberarci”) in molti modi possibili: non necessariamente per fuggire verso mondi esotici e avventurosi, ma sempre per abitare temporaneamente mondi altri, che ci permettono di guardare da un altro punto di vista il “luogo” fisico o mentale in cui siamo chiusi. A ben guardare, un ragionamento analogo lo si potrebbe fare a proposito del termine intrattenimento, che rimanda alle azioni di «fare indugiare, ritardare, tenere a bada, ritenere presso di sé»: ovvero, di trattenere, di assistere nella pausa, di accompagnare nella sospensione delle azioni – senza pregiudizi di “futilità”.
Si potrà obiettare che, nel periodo di emergenza sanitaria e distanziamento sociale che stiamo vivendo, l’appello alle funzioni fondamentali delle storie sia retorico e strumentale. Bene, se qualcuno ne è convinto, lasciamo pure da parte il valore “simbolico” delle storie, e pensiamo al loro valore “economico”, e a tutto il mondo professionale che le porta dentro le nostre case. Perché, al contrario di quanto afferma un tenace luogo comune, con la cultura si mangia eccome, nonostante l’Italia sembri inserirsi relativamente sul valore, economico e di più ampio e diffuso beneficio sociale, delle industrie culturali e creative: secondo i dati del 2015, con oltre 41 miliardi di euro, il settore creativo in Italia si collocherebbe davanti a quello delle telecomunicazioni (38 miliardi) e subito dopo l’industria chimica (50 miliardi) (Italia creativa).
Oggi, a seguito dell’emergenza sanitaria e delle misure di contenimento del contagio da Covid-19, tale comparto sta subendo ricadute drammatiche. Barbara Petronio, sceneggiatrice di Suburra e Romanzo criminale, e Federico Poillucci, Presidente della Film Commission del Friuli Venezia Giulia, descrivono con la stessa parola, “devastante”, l’impatto dell’emergenza sul settore dell’audiovisivo.
Le prime a chiudere sono state le sale cinematografiche. Progressivamente, i festival sono stati via via cancellati o rimandati. Infine, si sono fermati i set. Improvvisamente, nell’ottica dell’emergenza, la dimensione radicalmente collettiva e in presenza dell’esperienza audiovisiva si è riconfigurata come “assembramento”, e dunque come tale vietato in quanto pericoloso e imprevedibile veicolo di contagio. Ancora prima che i provvedimenti normativi chiudessero i set, ci spiega Poillucci, questi si sono bloccati perché le assicurazioni non riuscivano più a quotare il rischio per il “fermo set”, divenuto troppo alto e troppo aleatorio, o lo quotavano a cifre inaccessibili ai produttori (un problema che peraltro rischia di ripresentarsi nella fase di gestione post-emergenza).
Sul fronte della reazione immediata all’emergenza, e delle misure straordinarie a sostegno dell’economia, i lavoratori dello spettacolo sono rientrati nei provvedimenti già assunti, assimilati a seconda dei casi ai lavoratori autonomi o dipendenti. L’unico provvedimento straordinario specificatamente rivolto alle maestranze del settore non proviene da iniziativa statale ma da un privato, il colosso globale dell’intrattenimento online. Netflix ha consultato le film commission regionali, organi di interconnessione tra il tessuto territoriale e le produzioni audiovisive, per mappare i set fermati nella finestra 20 febbraio-31 marzo al fine di elaborare le linee guida per lo stanziamento di 1 milione di euro.
E sul fronte della ripresa? Secondo Fabio Abagnato, responsabile dell’Emilia Romagna film commission, “le misure iniziali non possono che essere nella direzione della liquidità e della semplificazione”. Occorre vigilare, ricorda Poillucci, “perché la tendenza è sempre quella di pensare che cinema, teatro, audiovisivo, musica, siano un orpello, l’ultima cosa a cui pensare. Ma che non siano un orpello penso che la quarantena che stiamo passando lo stia dimostrando… Come staremmo se non avessimo l’arte, i libri, la musica, i film?”. E se non bastasse questo, occorre ancora una volta ricordare che quello dello spettacolo è un comparto produttivo come tutti gli altri, e anzi tra i più penalizzati dalla situazione attuale, e i finanziamenti già programmati vanno interamente confermati senza tagli legati allo stato emergenziale.
Inoltre, Abagnato e Poillucci convergono nel sottolineare l’importanza di un’azione tempestiva anche sul fronte delle nuove norme che dovranno regolare le attività dello spettacolo, dalle sale ai set. Precisa Abagnato: “Bisognerà riscrivere le ‘regole’ su come gestire un set al tempo del Covid-19, ovvero se e come limitare le libertà creative della interpretazione e della ripresa cinematografica, per non parlare dei mestieri a supporto dell'attore, come il comparto trucco e parrucco. Prima le autorità sanitarie renderanno esplicita la situazione imminente e prima ogni settore potrà essere ripensato, temporaneamente o con caratteristiche di permanenza”. Senza contare la possibilità, ricordata da Poillucci, di dover anche far fronte ai potenziali effetti di congestione che si produrranno alla ripresa, a livello sia di produzione che di esercizio, con il rischio per i progetti finanziariamente più deboli di soccombere, e per i film indipendenti di non riuscire ad arrivare in sala.
Ci sono però almeno due attività, nel settore dell’audiovisivo, che l’emergenza sanitaria non ha bloccato: lo sviluppo di nuovi progetti e la scrittura, il lavoro degli sceneggiatori. Sebbene anche queste attività abbiano una marcata dimensione collettiva, si tratta di un lavoro collettivo che può essere riorganizzato e gestito a distanza. “Io da sceneggiatore sono un privilegiato” dichiara Tommaso Matano, sceneggiatore di Curon e di Sopravvissuti, “perché il mio lavoro può proseguire nonostante l’emergenza. La parte dello sviluppo è l’unica che può andare avanti ed è quella su cui le produzioni possono concentrarsi in attesa di tempi migliori”. “E questo”, continua Barbara Petronio, “ci dà la spinta ad essere positivi, a mettere in cantiere idee e storie per quando tutto questo sarà finito. Perché ce lo dice la storia dell’umanità che poi, dopo la crisi, arriva il momento di sollevarsi”.
A distanza, Giampiero Rigosi e Sofia Assirelli stanno sviluppando insieme la terza stagione di La porta rossa. La collaborazione è agevolata dalla lunga conoscenza e dalla confidenza che col tempo si è consolidata, ma creare “da remoto” non è la stessa cosa: “Fare brainstorming attraverso questi strumenti è possibile”, commenta Sofia Assirelli, “ma è diverso. La creatività ha bisogno anche di giri larghi, di pause, di battute, di leggerezza, mentre le riunioni via Skype, Meet o Zoom vanno sempre dritte al punto”. Una riflessione che varrebbe sicuramente la pena estendere anche a tante altre attività che, spostate online, non sono più (nel bene e nel male) le stesse attività di prima.
Nel quadro drammatico di questa crisi, il punto di vista degli sceneggiatori, consapevoli del “privilegio” di poter continuare a lavorare in sicurezza per “nutrire” il settore in attesa della ripartenza, rappresenta una chiave di lettura che può consentirci di guardare al presente con un margine di fiducia e di ottimismo.
Ma non dobbiamo dimenticare, e non dimenticano gli sceneggiatori, gli altri lavoratori della filiera audiovisiva, e la necessità urgente di prepararsi a un futuro pieno di incognite.
Sul fronte della scrittura, osserva Assirelli, “è molto difficile prevedere già da ora cosa cambierà”. In un ipotetico futuro con molti progetti sul mercato, e una propensione all’investimento forse ancora minata dalla difficoltà di gestire la fase di ripresa, “gli sceneggiatori, per paura dell'incertezza, potrebbero dover accettare condizioni di lavoro fino a quel momento inaccettabili, e questo va evitato. Questa crisi potrebbe mettere in luce e aggravare problemi già esistenti nel settore, ma potrebbe essere anche l'occasione per regolamentarli e risolverli".
Tommaso Matano si sofferma invece sulla crisi dell’esercizio. “L’emergenza rilancia il già infuocato dibattito sul rapporto tra la sala cinematografica e la fruizione domestica. La questione è se sia possibile, almeno in questi mesi, trovare una sinergia tra i servizi di streaming e i cinema. So che in Italia produttori, distributori ed esercenti hanno chiesto al MIBAC una deroga in modo da poter usufruire del tax credit e altre agevolazioni per i loro film anche senza l’uscita in sala, ovvero assimilando quest’ultima all’uscita su una piattaforma online. Questo da un lato alleggerirebbe la congestione di titoli alla riapertura dei cinema, e dall’altro darebbe adesso visibilità (anche se “casalinga") a film che altrimenti soffrirebbero la competizione in sala. Inoltre, la distribuzione direttamente sui servizi di streaming dovrebbe garantire anche un contributo di solidarietà agli esercenti. Per quel che ne posso capire, mi sembra una buona idea”.
Barbara Petronio ci riporta, infine, all’emergenza dei set: “perché si possono sviluppare le idee più belle del mondo”, ricorda, “ma se non si trova il modo di realizzarle rimangono carta stampata. Probabilmente il settore dell’audiovisivo sarà l’ultimo a riprendere, perché l’intrattenimento e quindi l’arte, in una fase del genere, è ritenuta superflua, non necessaria. Ci sono varie idee che stanno emergendo in questi giorni, test alle troupe, set blindati. Credo che il dibattito sarà complesso e non penso che ne usciremo facilmente. Potrebbe essere anche l’occasione per cambiare modo di lavorare, forse anche in meglio”.