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1491. Non avrai altro software all’infuori del suo  
07 Settembre 2018 da Formiche.net Il numero di maggio del 2003 del Harward Business Review, riportava un articolo di Carr, It Doesn’t Matter, in cui si affermava che essendo il software oramai una commodity e non più un elemento di differenziazione tra le aziende per la competitività, era inutile per le imprese continuare ad investire in prodotti software specifici per il proprio mercato e per la propria organizzazione, piuttosto era più efficiente comprare quelli già presenti e standard sul mercato. Questo concetto fu fatto proprio da tutte le grandi società di consulenza e in Italia l’industria nazionale del software che, dopo la scomparsa dell’Olivetti, era già debolissima, ebbe il colpo di grazia. Così oggi la prime dieci società italiane di informatica sono state costrette a trasformarsi sostanzialmente in system integrator, cioè evoluti integratori di prodotti software ed hardware esteri. Intanto oggi le società che valgono più in borsa sono proprio società di informatica basate su tecnologie e/o algoritmi di loro proprietà e sono estere. Oggi nei sistemi di rete delle grandi e piccole imprese, nelle pubbliche amministrazioni centrali e locali, troviamo un arcobaleno di tecnologie provenienti da ogni parte del mondo, selezionate solo in funzione del costo (quello minore) che tecnici italiani, dopo aver studiato per 5 anni di scuole superiori, 5 di università e spesso da uno a tre anni di master o dottorato, hanno semplicemente integrato cioè fatto funzionare insieme. Il lavoro di un progettista o programmatore di software che nella sua essenza è di creatività, è stato forzato sino a diventare pari a quello di un giocatore di Lego senza che neanche possa scegliere il colore dei mattoncini da mettere insieme. La competitività delle aziende, soprattutto del made in Italy o meglio del best of Italy, si misura e si misurerà soprattutto sull’introduzione di nuove tecnologie e metodi quali l’additive manifacturing, l’intelligenza artificiale nei processi e un’adeguata difesa della proprietà intellettuale e del know how, attraverso la cybersecurity, e quindi dobbiamo ritrovare lo spirito di ripensare ad un’industria nazionale del software. L’istituzione del Laboratorio Nazionale di cybersecurity e quello sull’Intelligenza artificiale Ai sono un buon segnale della nuova volontà di marcare la presenza da parte dei centri di ricerca e delle università italiane. Ma… Un milione e ottocentomila fiorini ungheresi al mese, questo è stato l’ultimo costo per la cybersecurity italiana. Un milione e ottocentomila fiorini ungheresi sono circa 5.500 euro, questa l’offerta ricevuta da un nostro assegnista di ricerca da un azienda ungherese per trasferirsi a Budapest. È andato, dispiaciuto ma è andato, da noi al massimo avremmo potuto offrirgli 1.800 euro, meno di un terzo. La legge non consente di dargli di più. Forse va ripensato l’intero processo università-impresa e quello normativo universitario, sia per consentire ai nostri giovani di continuare a coltivare la propria passione, perché scrivere un software è un po’ come scrivere un romanzo, è scrittura creativa, sia restituendo ai dipartimenti e alle Università una maggiore libertà di azione nei settori che il governo in un Piano nazionale indichi come strategici per il Paese. Esistono nelle nostre università nicchie a volte eccellenti di tecnologie, incapaci di diventare prodotti protagonisti del mercato italiano e mondiale, perché nessuno ci crede e ci investe. Avere un’industria del software nazionale significa avere un futuro nella competizione della società digitale che si approssima, significa poter proteggere le proprie infrastrutture senza timori di back door ecc., significa maggiore tutela della privacy dei nostri cittadini. Significa dare a tutta l’industria manifatturiera una possibilità in più di innovarsi e competere. Per riflettere: Massimo Marchiori dell’Università di Padova, ideò Hyper Search, un motore di ricerca che basava i risultati non soltanto sui punteggi delle singole pagine, ma anche sulla relazione che lega la singola pagina col resto del web. Questo lavoro è stato citato nell’articolo in cui è stato formulato l’algoritmo Page Rank e Page Rank è la parte più importante dell’algoritmo di posizionamento di Google, ora parte di un sistema ancora più avanzato. Chissà se Google fosse nato in Italia cosa sarebbe successo? Ritorna l’antica di noi vecchi informatici: chissà se il microprocessore Olivetti fosse rimasto in Italia cosa sarebbe successo? Proviamo invece a fare in modo che i nostri giovani fra qualche anno possano dire: questa AI è stata sviluppata in Italia, oppure questa applicazione della blockchain, oppure questo software per la cybersecurity, oppure qualsiasi cosa che verrà e quindi ora l’Italia possiede un unicorno dell’industria del software! Io ci credo.  
1492. Cittadinanza digitale, accordo tra link Campus University e AIDR  
28 GIUGNO 2018 La svolta tecnologica parte anche dall’università. Per questo è fondamentale promuovere la cultura digitale allo scopo di favorire la conoscenza e l’utilizzo dei servizi digitali della pubblica amministrazione da parte di cittadini e imprese. A tale proposito è stato siglato un accordo di collaborazione tra la Link Campus University  e l’associazione Italian Digital Revolution (www.aidr.it). A sottoscrivere l’intesa, che ha il duplice obiettivo di condividere le esperienze e di fornire un supporto tecnico nella didattica digitale attraverso nuovi percorsi di insegnamento che possono portare al salto evolutivo dell’ateneo internazionale, il presidente di Link Campus Vincenzo Scotti e il presidente di Aidr Mauro Nicastri, dell’Agenzia per l’Italia digitale. “Sono particolarmente felice di aver firmato questo accordo con l’Aidr che è fortemente impegnata sul piano tecnico e civile nell’utilizzazione delle tecnologie con l’obiettivo di accrescere la compartecipazione dei cittadini alla vita pubblica”, ha affermato Scotti, aggiungendo che “in questo modo anche i giovani avranno l’opportunità di misurarsi con nuove professioni. La nostra università è molto impegnata su questo versante per raggiungere risultati concreti in un mondo in piena trasformazione”. “Per noi è importante l’avvio di questa collaborazione – ha detto Nicastri – soprattutto nell’ottica di promuovere la cittadinanza digitale favorendo la definizione di strategie di promozione dei servizi digitali per le PA così come previsto dalle linee guida dell’Agenzia per l’Italia digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri”.  
1493. Sherlock Holmes & the IoT: raccontare storie interattive attraverso oggetti intelligenti  
05 Settembre 2018 Di Brunella Botte e Giada Marinensi, ricercatrici DASIC, Link Campus University MAKER FAIRE  Il celeberrimo investigatore nato dall’immaginazione di Sir Arthur Conan Doyle, l’interactive storytelling e gli smart object sono gli ingredienti principali di Sherlock Holmes & the Internet of Things, un progetto ideato dalla Columbia University School of the Arts. L’obiettivo di questo ambizioso esperimento è stato quello di esplorare le potenzialità dello storytelling collaborativo su scala globale, utilizzando la contestualizzazione narrativa offerta dalle immortali vicende di Sherlock Holmes. Al progetto hanno partecipato oltre 2000 persone, provenienti da più di 60 Paesi, che per sei settimane sono state impegnate nell’ideazione, nella progettazione e nella prototipazione di una versione delle imprese del detective creato da Conan Doyle adattata ai giorni nostri. Team composti da storyteller, designer, maker e hacker hanno, infatti, lavorato alla ricostruzione di scene del crimine ispirate ai racconti di Sherlock Holmes, e le hanno arricchite con smart object programmati appositamente in maniera da poter fornire indizi agli investigatori chiamati a condurre le indagini. Continua a leggere  
1494. Professioni del futuro: E-health  
12 LUGLIO 2018 Di Lia Alimenti, ricercatrice DASIC, Link Campus University MAKER FAIRE  L’innovazione tecnologica ha già cambiato i percorsi professionali rendendo i mestieri del futuro sempre più basati su competenze ibride e sulla nascita di nuovi team interdisciplinari. Partiamo dall’e-health: abbiamo scambiato due chiacchiere con Luca Borro, un giovane architetto di 31 anni della provincia di Roma, esperto in 3D Advanced Modelling e con la passione della medicina. La sua fama risale al caso delle gemelline siamesi separate grazie ad una straordinaria operazione chirurgica avvenuta nel 2017 presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Ad oggi le sorelline sono perfettamente divise con organi separati e autonomi. Luca ha fatto parte dell’equipe medica multidisciplinare con un team totale di 40 persone, in particolare ha portato le sue competenze nel 3D in campo medico, lavorando alla realizzazione e alla stampa dei modelli tridimensionali delle gemelline siamesi. Continua a leggere  
1495. L’alba dell’Intelligenza Artificiale  
27 Agosto 2018 da Formiche.net La trilogia di Matrix,  i film dei “The Wachowski Brothers” termina con un accordo di pace tra un Uomo “NEO” leader dell’ultima città degli uomini, quasi diventato una macchina e le Macchine con Intelligenza Artificiale che avevano preso il possesso della Terra. L’accordo prevedeva che le Macchine avrebbero fermato la guerra agli uomini se NEO avesse distrutto  il virus intelligente – Mr Smith – il quale voleva distruggere l’ultima città degli uomini per poter prendere successivamente il controllo del mondo delle Macchine. Le Macchine accettano questo scambio in quanto impossibilitate a difendersi da questo virus perché costituito della loro stessa natura e quindi subiscono che sia l’essere umano NEO a fungere da antivirus. Viviamo in un mondo sempre più guidato da quello che potremmo chiamare “la visione algoritmica”. Infatti nelle nostre attività quotidiane assumiamo decisioni  e ci comportiamo in funzione dei risultati dell’analisi che i molteplici algoritmi dei nostri devices ci propongono, fosse nella sanità, nei trasporti o nella sicurezza informatica e di prossimità, solo per menzionarne alcuni. Il mondo come è visto dai computer in questi campi è la realtà dominante, ma anche il marketing di una piccola azienda spesso è guidato da  AI quali AdWords o Google Trends o altro. Marvin Minsky matematico e pioniere della AI affermava che :”Il concetto stesso di intelligenza è come il trucco di un mago sul palcoscenico, come il concetto di “regioni inesplorate dell’Africa”. Scompare non appena lo scopriamo.” Se è vero ciò, per comprendere gli sviluppi della AI dobbiamo farci guidare dalla nostra capacità di pensiero astratto, nato ad Elea con Parmenide cioè dal rigore profondamente razionalista nell’indagine della realtà e con la sostanziale diffidenza nei confronti di un approccio basato sui sensi e sulla loro capacità percettiva. E’ noto che la più grande rivoluzione del secolo scorso non solo scientifica e che non ha ancora finito di sorprenderci, è stata la Teoria della Relatività nata dalla grande capacità di pensiero astratto di Einstein, una teoria che contrastava e contrasta totalmente con la realtà percepita dai sensi. Oggi l’AI domina nel gaming, ha fatto notizia che l’AI di Google ha battuto il campione del mondo di GO, mentre da tempo domina negli scacchi. Le AI sono in grado di interagire con il linguaggio naturale e di elaborarlo, dominano nella visione e lettura delle immagini, si considerino ad es. i sistemi di riconoscimento facciale che tutte le sere vediamo in TV su NCIS, AI che riconoscono la grafia di una persona e la interpretano. Senza annoverare l’uso dei robot intelligenti nelle aziende o nelle case per l’assistenza degli anziani. Ma d’altronde tutti noi ci facciamo consigliare da SIRI, o Google Now, o Google Maps sul miglior percorso per tornare a casa evitando il traffico ed assumendo la proposta di percorso come se provenisse dal mondo reale e non da un algoritmo intelligente. Certo l’AI non ha ancora conquistato il mondo, ma è in aumento il suo uso nelle industrie a tutti i livelli. In effetti, società di forecasting, prevedono che il 30% delle aziende la introdurrà nei propri processi entro il 2019, rispetto a solo il 13% dello scorso anno e Google, IBM, Amazon, Microsoft, Apple e molte altre aziende stanno rendendo l’AI una priorità. Vediamone alcune. È di questi giorni la decisione di Google di affidare ad una Intelligenza Artificiale (DeepMind) la gestione del raffreddamento e della sicurezza dei propri smisurati data center sparsi per il globo, ottenendo un risparmio di energia del 40%. Ogni cinque minuti, viene estratta un’istantanea del sistema di raffreddamento del data center da migliaia di sensori che viene trasferita alle reti neurali di Deepmind, le quali fanno una previsione di combinazioni di azioni potenziali che potrebbero incidere sul consumo energetico futuro. Il sistema di AI identifica quindi quali azioni ridurranno al minimo il consumo di energia, soddisfacendo anche ai vincoli di sicurezza. Il set di azioni che minimizza il consumo viene quindi inviato al centro dati, dove viene verificato dal sistema di controllo locale e quindi implementato. Risultato: 40%  di energia consumata in meno. Quanti di noi usano quotidianamente Waze per conoscere lo stato del traffico automobilistico condividendo le info in tempo reale con altri automobilisti? Dopo 12 anni di dati forniti da centinaia di migliaia di cittadini, credo che le capacità di Waze di conoscere e prevedere il traffico di Roma siano superiori a qualsiasi intelligenza umana! Oggi l’AI di Alibaba, il più grande portale di e-commerce del mondo, gestisce 100 milioni di ordini al giorno, cosa impossibile per qualsiasi call center su base umana. Wikimedia Foundation e Jigsaw  hanno avviato una collaborazione per fermare i commenti offensivi su Wikipedia utilizzando una AI open source denominata Detox. Mi permetto di sottolineare questa della AI open source è una cosa da osservare per gli sviluppi futuri che avremo. Quindi, entro pochi anni, l’AI supererà noi, esseri umani, in compiti semplici quali la traduzione delle lingue, anche simultanea, la guida di automezzi e molti compiti negli uffici pubblici potranno essere automatizzati e resi più efficienti per i cittadini. Ci vorranno però 30 o 40 anni, a  meno di salti quantici, per compiti più complessi, soprattutto perché le AI hanno una intrinseca capacità distorsiva dovuta alla qualità e alle caratteristiche dei dati introdotti per addestrare gli algoritmi. Nota è la questione di Google Photo avvenuta nel 2015 sugli utenti afroamericani ecc.  Per questo fondamentale è l’attenzione che i produttori di AI devono porre nell’inserimento dei dati per l’apprendimento e importante sarebbe coinvolgere un maggior numero di donne in questo settore, oggi sono soltanto  il 12% dei ricercatori in AI. In conclusione attualmente molte AI si introducono nelle nostre vite quotidianamente, quelle delle grandi società (Alibaba, Apple, Google, Microsoft, ecc.) ma anche AI open source che programmatori e sviluppatori stanno adattando per le medie aziende e tutto ciò migliora e migliorerà la nostra vita. Ma la riduzione di costo delle potenze di calcolo, la miniaturizzazione del hardware e l’aumento della banda disponibile porterà AI in quasi tutti gli oggetti quotidiani. È altamente probabile che accadrà quello che è avvenuto con i personal computer, come con Apple II, qualcuno inventerà la Personal AI e allora tutto diventerà più interessante. Cosa succederà quando due o più AI di provenienza diversa si incontreranno nel cyberspace? Si riconosceranno? Potranno collaborare insieme?  Avremo team di AI che collaboreranno insieme su un progetto? Oppure AI che confliggeranno tra di loro? E le personal AI come saranno integrate con le HI (Human Intelligence) di cui saranno proprietà?  Quali saranno le leggi e le regole di questo spazio abitato da AI? Saremo in grado di scriverle? O si auto-organizzeranno? Se il tuo capo in azienda sarà un’AI, come funzionerà il diritto del lavoro? Ecco un nuovo territorio inesplorato, un nuovo viaggio verso la scoperta di nuovi mondi che avranno lo stesso senso etico dell’uomo e lo stesso tasso di criminalità dell’uomo, o forse meno, perché in Matrix anche l’ Oracolo  – la più potente intelligenza artificiale  con capacità di preveggenza, rappresentata da una signora di colore, anziana, saggia e gentile, dedita alla preparazione di biscotti ed incallita fumatrice, alla fine della trilogia accoglie l’alba di un mondo migliore creato da un essere umano.  
1496. Auguri di buon lavoro a Giampaolo Rossi, nuovo membro del CdA della Rai  
18 LUGLIO 2018 Giampaolo Rossi, esperto di comunicazione e media, già Presidente di RaiNet S.p.A.ed editorialista per il giornale.it, è uno dei quattro Consiglieri di Amministrazione della Rai di nomina parlamentare. All’interno della Link Campus University di Roma, Giampaolo è Direttore del Master in “Media & Entertainment” e Presidente del Consiglio Direttivo di POLIS – la Scuola Universitaria per la Formazione Politica. A lui, dal Presidente dell’Università, Prof. Vincenzo Scotti, e dalla Dirigenza e da tutta la Link Campus University, vanno i più sentiti auguri di buon lavoro, nella convinzione che per il Consiglio d’Amministrazione della Rai sia stata scelta una persona di elevato spessore culturale e professionale in grado di dare un contributo fattivo ed innovativo al Servizio Pubblico radiotelevisivo.  
1497. Videogaming: tutte le novità dell’E3 2018  
01 Agosto 2018 Di Guido Pifferi, ricercatore DASIC, Link Campus University MAKER FAIRE  Si è appena conclusa l’edizione 2018 dell’E3 Electronic Entertainment Expo di Los Angeles: la rassegna di conferenze dei maggiori produttori e distributori di videogiochi mondiali che annuncia le più importanti novità del settore. Un mercato che nel 2017 ha fatto registrare una stima di valore record di 116 miliardi di dollari e che pare in costante crescita, superando di gran lunga sia l’industria cinematografica sia il mercato musicale. Gli show più attesi erano quelli dei colossi produttori di home console, Sony e Microsoft, e il classico PC Gaming Showcase dedicato ai videogame destinati a essere giocati su PC. Nintendo, invece, anche per quest’anno, non è stata fisicamente presente con una propria presentazione sul palco ma ha introdotto tramite il consueto “direct” le novità previste per il prossimo anno solare. Continua a leggere  
1498. Essential Digital Skills for Museum Professionals. Percorso formativo per professionisti museali  
23 LUGLIO 2018 Sei un operatore museale e vuoi approfondire le tue competenze digitali? Stai pensando di cercare un lavoro nel settore museale o sei interessato al management culturale? Conosci l’inglese? Allora questo è il corso che fa per te. Il progetto Mu.SA – Museum Sector Alliance offre una serie di opportunità formative – online e offline – per lo sviluppo di competenze digitali fondamentali per chi vuole lavorare con e per I musei. Da oggi sono aperte le iscrizioni a Essential Digital Skills for Museum Professionals, il MOOC (Massive Online Open Course) proposto da Mu.SA. Il corso ha l’obiettivo di sviluppare le competenze digitali e trasversali dei partecipanti per metterle a servizio dei musei in trasformazione nell’era digitale ed è indirizzato alla comunità museale, dai professionisti agli studenti, dai volontari a coloro che vogliono lavorare nel settore. È un percorso flessibile e personalizzato che richiede un impegno di 10 ore settimanali per 8 settimane. E’ organizzato in moduli per permettere ai partecipanti di seguire al meglio i contenuti formativi proposti. Saranno presenti tutor online, che assisteranno e faciliteranno il lavoro dei partecipanti. Una volta iscritti, gli utenti potranno facilmente avere accesso ai video, ai test e alle esercitazioni da svolgere. Il corso vuole favorire la partecipazione attiva, l’apprendimento e il confronto tra gli altri iscritti. Al termine del corso, i partecipanti avranno acquisito competenze digitali come la capacità di sviluppare una buona strategia digitale, di realizzare contenuti digitali e di utilizzare strumenti e piattaforme digitali. Inoltre, i partecipanti approfondiranno numerose altre competenze trasversali, tra cui il lavoro di gruppo, la leadership, il pensiero critico e un’efficace gestione del tempo. Il corso è gratuito ed è aperto a tutti. La lingua principale del percorso formativo è l’inglese, mentre i video saranno sottotitolati anche in italiano, greco e portoghese. La piattaforma è accessibile a chiunque, attraverso una semplice procedura di registrazione È possibile iscriversi entro il 30 settembre 2018. Essential Digital Skills for Museum Professionals inizierà nel mese di ottobre del 2018. I partecipanti che completeranno il MOOC e avranno superato almeno l’80% delle attività previste potranno essere selezionati per continuare il percorso formativo e avranno la possibilità di iscriversi al corso avanzato di specializzazione della durata di 6 mesi. Gli studenti selezionati potranno scegliere uno dei seguenti profili professionali emergenti: Digital Strategy Manager, Digital Collections Curator, Digital Interactive Experience Developer and Online Community Manager. Infine, tra chi avrà superato con successo il MOOC e il corso di specializzazione, verrà selezionato un gruppo di 25 persone per completare la formazione in-situ in uno dei musei europei proposti dal progetto. Puoi trovare maggiori informazioni nel sito del progetto Mu.SA  e nel video promozionale. Guarda il video MuSA Learning journey per scegliere il tuo percorso formativo e visita il sito del progetto MuSA per saperne di più sul progetto Mu.SA. Se vuoi essere informato sulle attività del progetto, iscriviti alla newsletter.  
1499. Il mondo vuole vederci andare d’accordo  
17 Luglio 2018 di Gabriele Natalizia Coordinatore  e docente del Corso di Laurea Magistrale in Studi Strategici e Scienze Diplomatiche È realmente il mondo a voler vedere gli Stati Uniti e la Federazione Russia che vanno d’accordo? Sì, secondo quanto dichiarato da Donald Trump all’apertura del Summit di Helsinki con Vladimir Putin. Tuttavia, la Guerra fredda è finita e l’opinione pubblica internazionale non sta più col fiato sospeso per i rapporti tra la Casa Bianca e il Cremlino. Soprattutto da quando è diventato chiaro che le armi nucleari rappresentano uno strumento di deterrenza, piuttosto che uno strumento offensivo. Occorre ricordare, inoltre, che sono numerosi gli Stati a non vedere di buon occhio l’ipotesi di un riavvicinamento tra Washington e Mosca. Solo per citare i casi più eclatanti, sicuramente il Regno Unito, i cui rapporti con la Russia hanno toccato il minimo storico dai tempi del Grande gioco. E anche quello di quasi tutti i Paesi dell’Europa orientale, che chiedono alla NATO un ulteriore rafforzamento della sua presenza sul fianco Est alimentando il tradizionale senso di accerchiamento di Mosca. Tanto meno la questione è vista con favore dall’Ucraina e dalla Georgia, che hanno paura di essere definitivamente abbandonate tra le braccia del Cremlino. Sulla stessa lunghezza d’onda, ma per ragioni opposte, sono la Repubblica Popolare Cinese (RPC) e l’Iran. Entrambe hanno bisogno della Russia per bilanciare il potere degli Stati Uniti e dei loro alleati nei rispettivi quadranti regionali, così come per favorire la tanto agognata trasformazione in senso multipolare di un sistema unipolare più debole che in passato. Infine, anche la Corea del Nord è uno spettatore interessato a rapporti tesi tra Washington e Mosca, per poter contare sul pieno appoggio di quest’ultima, con cui vanta legami storici, sul tema del disarmo nucleare. Viceversa, guardano con favore a uno stemperamento delle tensioni tra i due ex nemici della Guerra fredda molti Stati dell’Europa occidentale (Italia in testa, seguita dalla Germania e dalla Francia), meno interessati a investire quote crescenti dei loro budget nazionali in difesa rispetto ai loro partner dell’Europa orientale, e molto sensibili ai rapporti energetici con la Russia. Israele e Arabia Saudita, dal canto loro, vorrebbero allentare l’alleanza russo-iraniana in Medio Oriente, mentre India, Corea del Sud, Taiwan e Giappone (più moderatamente) sostengono un miglioramento dei rapporti tra la Casa Bianca e il Cremlino affinché la prima concentri per quanto possibile i suoi sforzi (diplomatici ed economici) al contenimento della potenza cinese e la seconda non ne favorisca l’azione. La Russia al momento ha un approccio equilibrato al tema dei rapporti con gli Stati Uniti. È interessata a compiere passi avanti, resi sicuramente più facili dall’approccio realista dell’Amministrazione Trump rispetto a quanto ci si potesse aspettare da Hillary Clinton. Senza dimenticare, però, che i candidati divenuti presidenti cambiano spesso il loro approccio ai temi caldi dell’agenda politica. Dalla prospettiva di Mosca il riavvicinamento con Washington non è da escludere, perché a lungo andare i suoi interessi rischiano di confliggere con quelli di Pechino (a partire dalla Belt and Road Initiative) e di Teheran (in particolare con la sua ambizione egemonica sul Medio Oriente). Tuttavia, questa ipotesi diventerà plausibile solo nel momento in cui gli Stati Uniti saranno concretamente disponibili a riconoscere alla Russia lo status di grande potenza. Questo significa un rapporto paritario tra le due potenze, la rimozione delle sanzioni, il riconoscimento del primato di Mosca sullo Spazio post-sovietico e l’accettazione di una sua limitata influenza nell’area del Mediterraneo. Si tratta ovviamente di un processo di medio termine, che non può essere definito al Summit di Helsinki. Se questo non avverrà, la Russia potrà continuare ad agire da potenza revisionista, insidiando gli Stati Uniti con un’ulteriore saldatura dei suoi rapporti con Cina e Iran. La posizione degli Stati Uniti sembra più complessa. Sin dalla fine della Guerra fredda, i presidenti americani hanno avuto un comune obiettivo: preservare quanto più a lungo possibile il “momento” unipolare. Clinton, Bush e Obama sono stati tutti concordi sul fatto che la Russia potesse figurare tra le possibili minacce alla tenuta dell’ordine liberale, ma che, se democratizzata e integrata nell’economia mondiale, si sarebbe potuta trasformare in un suo pilastro. A tal scopo, tutti i presidenti americani hanno provato nel corso del loro primo mandato a sperimentare un approccio cooperativo con il Cremlino. La presidenza Clinton è ricordata per la Russia First Strategy, quella Bush per il tentativo di stabilire una partnership con Mosca sulla base della guerra globale al terrore, quella Obama, infine, per il Russian Reset. I tre tentativi, tuttavia, sono falliti di fronte al riemergere di una dinamica competitiva, generata da interessi di medio termine contrastanti e/o a dal declino democratico della Russia. Su questo tema, dunque, Trump si trova nel solco dei suoi predecessori. Anzi, probabilmente per scongiurare la possibilità di impeachment legata al Russiagate, ha assunto ancor più velocemente di loro un atteggiamento competitivo nei confronti di Mosca. Il vero elemento di discontinuità, soprattutto con le presidenze Clinton e Bush, è legato ai parziali mutamenti avvenuti all’interno del sistema internazionale con cui l’attuale presidente americano si sta confrontando. Il più importante è il ruolo sempre più significativo della RPC. La sua potenza è talmente in aumento che, come denunciato dalla National Security Strategy 2017, può essere ormai ufficialmente considerata una potenza revisionista. L’Amministrazione Trump è consapevole delle criticità che affliggono le relazioni russo-cinesi, così come del declino di numerosi indicatori di potenza della Russia (anzitutto in quelli demografico ed economico). Queste considerazioni inducono a pensare che Mosca non sia convinta sino in fondo della necessità di mettere in crisi l’ordine unipolare e che, se “ingaggiata” su basi nuove, potrebbe mutare la sua postura nei suoi confronti. Washington, dal canto suo, deve evitare quell’effetto di sovra-estensione tra impegni e risorse, reso plausibile dalla crisi finanziaria del 2007-2008, che potrebbe derivare dal confronto con più rivali in diversi quadranti geopolitici. Stemperare l’inutile - almeno per il momento - rivalità con la Russia permetterebbe agli Stati Uniti di ostacolare l’ascesa cinese prima che sia troppo tardi. Per tale ragione, senza che questo tema figuri tra i dossier trattati ufficialmente a Helsinki, Trump ha anticipato che tra le diverse cose ci cui parlerà con Putin ci sarà «l’amico Xi».  
1500. UNA MAPPA GEOPOLITICA DEI #MONDIALI2018  
15 Giugno 2018 di Gabriele Natalizia - 14 giugno 2018 Non solo. Attraverso lo sport un Paese può lanciare segnali significativi agli altri attori della politica internazionale. Gli eventi sportivi incentivano lo spirito di identificazione tra il singolo cittadino e la comunità nazionale, rafforzandone al tempo stesso la coesione interna di quest'ultima. Affermano la perseveranza di un Paese nel superamento degli ostacoli e nel raggiungimento degli obiettivi prefissati. Dimostrano l’efficienza di un modello politico economico e sociale nel conseguire vittorie in qualsiasi campo e nel generare “esempi” da imitare sia all’interno dei propri confini nazionali che all’estero. Pertanto, al di là dell’esito finale di Russia 2018, è interessante analizzare rapidamente la presenza, così come l’assenza, delle principali potenze politiche dal torneo che sta per iniziare. L’impatto mediatico dei mondiali, d’altronde, è secondo solo a quello delle Olimpiadi. Lo sanno bene al Cremlino, dove l’evento contribuisce a spezzare l’isolamento politico da parte occidentale, ma anche in Qatar, un Paese sempre più attivo sullo scacchiere internazionale che ospiterà l’edizione 2022. Balza subito agli occhi l’assenza della superpotenza americana, che storicamente non si trova troppo a suo agio sul rettangolo verde. Proprio di queste ore, tuttavia, è la notizia che il torneo del 2026 sarà organizzato da Stati Uniti, Canada (non qualificata a Russia 2018) e Messico (qualificato). Questa formula sembra contraddire la volontà di Trump di rivedere le basi del North American Free Trade Agreement, che dal 1994 lega i tre Paesi. A completare il quadro delle nazionali che sbarcano in Russia dal “cortile di casa” americano: Brasile, Argentina, Costa Rica, Colombia, Uruguay e Panama (alla prima qualificazione). Passando alle due grandi potenze revisioniste, così come definite dall’Amministrazione Trump nella NSS 2017, la Russia è qualificata quale Paese organizzatore mentre la Cina è fuori dalla competizione. Al contrario sono in gioco Australia, Giappone e Corea del Sud, la “corona di perle” americana nel quadrante Indo-Pacifico. Viceversa, non risultano qualificate né India né Pakistan, che nonostante l’importante ruolo politico non hanno mai avuto una tradizione calcistica. Il gruppo B vede la presenza dell’Iran, il principale sfidante degli interessi americani in Medio Oriente, bilanciata da quella dell’Arabia Saudita, l’alleato ritrovato degli Stati Uniti nell’area insieme a Israele (non qualificato). Dal continente africano giungono in Russia tre squadre nordafricane e due dell’area sub-sahariana. L’Egitto sempre più allineato alla Russia, la Tunisia giudicata da qualche anno come l’unica democrazia funzionante del mondo arabo e il Marocco da sempre vicino alle posizioni occidentali. A completare il quadro, la Nigeria e il Senegal. La rappresentanza del continente europeo vede solo tre squadre non-NATO: la neutrale Svizzera, la Svezia dove si sta parlando della possibilità di un ingresso nel Patto Atlantico e della reintroduzione della leva obbligatoria in funzione anti-russa e la Serbia storicamente vicina a Mosca. Tra le squadre dei Paesi-UE, invece, è netta la prevalenza di quelli entrati prima del 2004. Solo l’Ungheria e la Croazia figurano tra i Paesi post-comunisti e ora membri dell’UE presenti a Russia 2018. Tra le escluse di rilievo figura anche la Turchia di Erdogan. Infine, tre grandi assenze. La prima è quella della Turchia di Erdogan, sempre più attiva e rilevante per gli equilibri politici mondiali ma non dotata di altrettanta “effettività” sul campo di calcio. Più dolorosa la mancata qualificazione dell’Italia, insieme ai Paesi Bassi. Si tratta dei due Stati che si sono alternati nel biennio 2017-2018 nel seggio condiviso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un suggerimento per Roma: in virtù del nostro sostegno al budget ONU e della presenza assicurata alle missioni dei caschi blu se non riuscissimo a ottenere nei prossimi anni un seggio al CdS del Palazzo di Vetro, facciamoci almeno assicurare un posto a Qatar 2022! Nel frattempo speriamo che i #Mondiali2018 ci regalino tanti momenti di bel calcio! Pubblicato in collaborazione con il Centro Studi Geopolitica.info  
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