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1001. Intelligence e Big Data: non avrai altro brusio all'infuori di me  
11 Febbraio 2019 di Pasquale Russo, Direttore Generale Link Campus University Da Affaritaliani.it Ho conosciuto l’Internet degli anni 80, era un Internet distribuito ad alta resilienza, certo limitato a pochi, poi siamo passati ad un Internet decentralizzato guidato dalle attività di business, quindi dal 2005 ad un Internet centralizzato nelle mani di pochi grandi aziende multinazionali (GAFAM: Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft). Ora credo si andrà verso una nuova rottura di Internet e si tornerà ad una nuova fase di Internet decentralizzato, ma non a causa delle attività di business, ma per motivi politici e nazionali, cioè si andrà verso gli Internet delle Nazioni o delle aree culturali ed l’auspicio è che l’evoluzione tecnologica finalmente si potrà tornare ad un Internet degli individui che riconquisteranno il controllo dei propri dati e della prova privacy. Oggi siamo all’inizio di una fase di neosovranismo tecnologico tra le aree culturali come ben descritte dall’immagine di Limes nell’articolo in Scontri di civiltà? http://www.limesonline.com/scontri-di-civilta/92828. L’internet russo comincia ad essere diverso dall’Internet degli USA o della Cina, la rete che dal 1993 ha globalizzato il mondo comincia a frammentarsi. Cosa e quando è successo? Qualcosa è iniziato prima, ma molto è scoppiato con la Brexit quando contemporaneamente sia gli Stati Uniti hanno perso il Regno Unito nella qualità di vicesceriffo dell’Europa e sia la Cina ha perso la sua porta di ingresso (la City di Londra) nell’area a maggior capacità di spesa dell’Occidente. Così lo straordinario intreccio che si era creato tra USA e Cina che aveva consentito alla Apple di fabbricare gli IPhone in Cina e alla Cina di finanziare le startups innovative nella Silicon Valley si è trasformato in un groviglio da cui gli USA si vogliono liberare per non essere soffocati e che la Cina invece vuole usare come redini per la sua corse verso espansione globale. Il centro del conflitto appare essere la democrazia con le tecnologie di sorveglianza di massa, che in Cina sono detenute dallo Stato e il Partito, mentre nell’Occidente dal le GAFAM e dal Mercato. Purtroppo non è così, il tema vero è il divario tecnologico che si sta creando tra Occidente e Cina ( a favore di quest’ultima) nello sviluppo delle tecnologie di Intelligenza artificiale, strumenti che davvero consentiranno il governo e il controllo di tutto soprattutto se associato alle tecnologie di 5G. Per fare un esempio paradossale come è noto agli amanti della musica, le cuffie hi-fi consentono di cancellare il brusio esterno così da sentire suono pulito, allo stesso modo i sistemi di intelligenza artificiale potranno impedire che particolari contenuti ci raggiungano, ovvero che navigando vedremo soltanto specifici contenuti, una sotra di censura dinamica. Le future iniziative protesta sarà necessarie convocarle come negli anno 90 (volantini e manifesti e passaparola),perché la censura dinamica dell’AI del Governo o del Mercato la cancellerebbe dinamicamente quindi nessuno si recherebbe in piazza semplicemente perché non lo saprebbe. Proprio per questo credo che sia importante capire che dobbiamo impedire le Nozze tra Cadmo e Armonia (https://it.wikipedia.org/wiki/Armonia_(divinità)) simbolicamente rappresentanti l’Occidente e l’Oriente, ma avere più di due tecnologie per favorire davvero il passaggio ad un Internet distribuita. In questo l’Europa dovrebbe battere un colpo forte e non accettare passivamente di stare con uno o con l’altro oppure con tutte e due. Oggi è possibile immaginare, progettare e in qualche anno riuscire a realizzare un’architettura che metta insieme: connessione 5G e in futuro 6G con computer quantistici, blockchain, cybersecurity e intelligenza artificiale. Oggi è possibile immaginare, progettare e in qualche anno riuscire a realizzare un’architettura che metta insieme: connessione 5G e in futuro 6G con computer quantistici, blockchain, cybersecurity e intelligenza artificiale. Queste cinque tecnologie opportunamente combinate e con la competenza digitale che avranno i nostri figli e nipoti riusciranno a restituire la proprietà dei dati personali ad ogni singolo cittadino, ma soprattutto ogni singolo cittadino potrà avere sua Internet sicura, inviolabile una “Individual Internet”, I-Internet, una Internet personale e sicura. Solo così potrà spegnersi il conflitto oggi in corso sui BIG DATA e sul controllo delle nostre vite, solo così smetteremo di percepire tutti come degli intrusi reimparando l’accoglienza che potrà dar vita ad una nuova fase della vita umana. Andate su https://haveibeenpwned.com e controllate se i vostri dati personali sono nel DEEP WEB e poi riflettete se non sia necessaria una tecnologia che contenga le caratteristiche sotto elencate. PASSWORD-LESS AUTHENTICATION PRIVATE DATA OWNERSHIP AND QUANTUM SECURE ACCESS KEYS GDPR COMPLIANCE & TOTAL PRIVACY DISTRIBUTED DNS AND AUTHENTICATION AUTHORITY SERVER LESS POINT TO POINT INFRASTRUCTURE 5G AND 6G READY LOW POWER INFRASTRUCTURE (DATACENTER KILLER) END TO END ENCRYPTED LOCAL (PERSONAL) ARTIFICIAL INTELLIGENCE HARDWARE ACCELERATION CYBERATTACK RESILIENT DUE TO DISTRIBUTED INFRASTRUCTURE COUNTER ATTACK CAPABILITIES (CAN ACT LIKE A BOT NET) VIRTUALIZATION OF CURRENCIES AND BLOCKCHAIN COMPATIBLE SANDBOXED APPLICATION ENVIRONMENT  
1002. Un ponte ad unirle, secoli di storia (ed un futuro?) a dividerle: Narva ed Ivangorod. Benvenuti sul confine -sempre più caldo- tra Estonia e Russia.  
13 Febbraio 2019 di Roberto De Girolamo da Geopolitica.info Una situazione apparentemente normale e nient’altro che anomala nel panorama internazionale, dove spesso città confinanti si trovano a condividere un medesimo ponte che le collega così come i pro e i contro dell’essere “città di confine” di due stati diversi. Narva ed Ivangorod non sono però esattamente Livingstone e Victoria Falls o Buffalo e St. Catherines..sono due città divise da un percorso storico e culturale che abbraccia più in generale la dissoluzione dell’Unione Sovietica ed il processo di democratizzazione dei tre paesi baltici di Estonia, Lettonia e Lituania. L’ingresso nell’Unione Europea e nella NATO costituisce l’ultima tappa di un lungo percorso storico quanto mai simile ed omogeneo, sia nelle origini sia negli esiti, per tutte e tre le Repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania. Per oltre duecento anni ha fatto parte della Russia zarista, fino alla loro indipendenza nel 1918 che conservarono per un ventennio sino allo scoppio della seconda Guerra Mondiale. A seguito della firma del Patto Molotov-Ribbentrop i tre Stati baltici vennero occupati dall’Unione Sovietica, quindi dal 1941 al 1944 vennero occupati dalla Germania nazista e dal 1944 al 1991 vennero nuovamente occupate e inglobate nell’Unione Sovietica secondo un massiccio processo di russificazione linguistica e culturale, che represse ogni ulteriore tentativo indipendentista, fino alla caduta della stessa URSS nel 1991, quando finalmente riuscirono a dichiararsi nuovamente repubbliche restaurando l’indipendenza. Oltre ad aver sperimentato un medesimo percorso storico, un altro elemento che accomuna i tre Baltici sono i difficoltosi ed incerti rapporti odierni con la Federazione Russa, soprattutto dopo la crisi ucraina. Il Baltico è sempre stato – ed è tutt’oggi – per i Russi uno spiraglio fluido verso Occidente, un occidente che però guarda ancora con timore la mole “asiatica” del suo vicino. Rimangono sul tappeto numerosi problemi irrisolti rintracciabili soprattutto all’interno del tessuto sociale ed economico estone, lettone e lituano come il problema del trattamento giuridico delle minoranze russa e russofona in particolar modo in Estonia ed in Lettonia. Tra le popolazioni autoctone di questi due Paesi si alternano sentimenti tra loro contrastanti di rivalsa linguistica (spesso fomentati dalle élites politiche), di tutela etnica, di “russofobia” e di minaccia alla propria indipendenza nazionale nei confronti delle minoranze russofone così come sentimenti di protervia ostilità nel tentativo di fare i conti con il proprio passato. Con la restaurazione dell’indipendenza nel 1991 e l’introduzione di nuove leggi elettorali, linguistiche e di cittadinanza si è ulteriormente rafforzata l’etnicizzazione delle classi medie colte e dell’élite politica, emarginando sempre più le minoranze. Il caso di Narva ed Ivangorod è pertanto emblematico con i cittadini per la stragrande maggioranza russofoni della cittadina estone che guardano quotidianamente le trasmissioni ed i notiziari, a tratti propagandistici, della tv statale russa; tra l’altro a Narva un terzo degli abitanti detiene un passaporto estone, un altro terzo quello russo e l’ultimo terzo ha quello grigio di apolide. Si avverte pertanto nella cittadina estone una certa tensione latente, una miccia che si teme possa essere fatta scoppiare ad arte soffiando sul fuoco della rivendicazione linguistica. Narva, sulla base delle sue spiccate peculiarità, è stato presa come punto di partenza, l’epicentro, di uno scenario, non a caso ribattezzato Narva Scenario, che nel peggiore delle ipotesi potrebbe condurre alla Terza Guerra Mondiale; il paradigma è simile, nella teoria, a ciò che è successo in Ucraina dall’inizio della primavera 2014: dai sommovimenti politici interni si è passati al conflitto armato sino alla proxy war, ossia la guerra per procura tra Russia ed Occidente: in modo latente la Nato teme che la Russia possa in un colpo solo incorporare Narva alla Russia stessa, sostanzialmente partendo dall’altra sponda del fiume, dalla Fortezza di Ivangorod costruita nel 1492 da Ivan III proprio per contrastare la dirimpettaia fortezza, l’Hermann Castle. E’ vero comunque che per le tre piccole nazioni baltiche, ed ancor più per l’Estonia, ricercare l’alleanza di una grande potenza esterna è d’obbligo; la crisi ucraina ha fatto crescere le preoccupazioni sul Baltico. L’ascesa alla Casa Bianca di Donald J. Trump aveva inizialmente spaventato Estonia, Lettonia e Lituania per le promesse di riavvicinamento al Cremlino e per l’iniziale descrizione della NATO come un’istituzione obsoleta e poco utile agli Stati Uniti, i quali, secondo le iniziali intenzioni di Trump si sarebbero dovuti chiudere in un isolazionismo autoreferenziale; ma i tempi sembrano essere cambiati ed oggi i leader baltici hanno fiducia in Trump e soprattutto nella Nato, tanto da destinare più del 2% del Pil alla spesa bellica dell’Alleanza Atlantica. Tuttavia esiste una differenza sostanziale, in questo frangente, tra Narva e il Donbass: l’Estonia, come abbiamo visto, è membro della Nato e l’intervento russo appare davvero irrealistico, benché meno motivato da rivendicazioni etnico-linguistiche, avendoci abituato la Russia a muoversi, come nel caso ucraino, sulla base prevalentemente di un pragmatismo politico, economico e geostrategico; ragion per cui, riprendendo le parole dello stesso Putin “solo una persona non sana di mente o in sogno può immaginare che la Russia possa un giorno attaccare la Nato”. La questione di Narva, più in generale del trattamento giuridico della cospicua minoranza linguistica russofona in estonia e negli altri due paesi Baltici, tuttavia resta un problema -non risolto- sul tappeto; il rischio è che attori esterni ed interni possano soffiare sul fuoco (al momento ancora in fase embrionale) delle rivendicazioni linguistiche, dell’alto tasso di disoccupazione di Narva e di tutto il nord-est dell’Estonia e della crescente richiesta di manodopera sul lato russo della frontiera e trasformare il Ponte dell’Amicizia che le unisce in un ponte levatoio. In un momento in cui la crisi nei rapporti bilaterali tra Russia ed Estonia e più in generale tra Russia ed Unione Europea è all’ordine del giorno sembra essersi fermata proprio qui, sulle due sponde del fiume all’ombra delle due fortezze, la difficile ricerca della linea di demarcazione tra il limite orientale europeo e la Russia.  
1003. Corso di laurea in Dams  
20 GIUGNO 2018 Le selezioni si terranno il 6 e 13 luglio 2018 alle ore 15.00, presso la nostra sede in Via del Casale di San Pio V, 44 a Roma e consisteranno in: Recitazione a memoria di un monologo o di una scena di dialogo (in italiano) da un’opera teatrale italiana o straniera del ‘900 a scelta del Candidato Prova di canto su un brano leggero o lirico a scelta del Candidato oppure 1 prova di ballo classico o moderno su un brano a scelta del Candidato Prova estemporanea scelta dalla Commissione d’esame Colloquio I testi scelti dal Candidato dovranno essere pubblicati e di autore di chiara fama. Per la recitazione, il Candidato potrà organizzarsi con gli altri candidati o con una spalla che lo accompagni  
1004. La più grande riforma di Bergoglio: un conclave a geografie variabili.  
14 Febbraio 2019 Di Piero Schiavazzi, Professore straordinario della Link Campus University, docente di Geopolitica Vaticana alla Laurea Magistrale in Studi Strategici e Scienze diplomatiche. L'articolo è pubblicato da Documenti Geografici, rivista di Geografia dell’Università di Tor Vergata, diretta da Franco Salvatori. Leggi l'articolo: La più grande riforma di Bergoglio  
1005. Italia e mercati americani: opportunità per le PMI, contesto normativo e case studies  
21 GIUGNO 2018 MERCOLEDÌ, 27 GIUGNO, ore 10.00 Link Campus University - Antica Biblioteca Via del Casale di San Pio V, 44 - Roma Mercoledì 27 giugno alle ore 10.00, nell’ambito delle attività del Master “MBA – Applied Economic Sciences”, si terrà un seminario dal titolo “Italia e mercati americani: opportunità per le PMI, contesto normativo e case studies” promosso dal CERSIG-Centro di Ricerca sulle Scienze Giuridiche. L’evento è aperto a tutta la comunità accademica e agli amici della Link Campus. Scarica la locandina PROGRAMMA DEL SEMINARIO SALUTI Vincenzo Scotti Presidente della Link Campus University INTRODUZIONE Oreste Cagnasso Straordinario di Diritto Commerciale, Link Campus University Ferruccio M. Sbarbaro Direttore del CERSIG - Coordinatore MBA AES INTERVENTI: Lucio Miranda Presidente e fondatore di ExportUSA New York Corp. Focus export USA Patrizia Giannini Presidente IBS Gustavo Traversoni T&B Abogados Focus export Argentina Carlos Gamarra Presidente, PROMCOPI - Camera di Commercio Peruviano Italiana Focus export Perù Matteo Zanotelli Senior Partner SLT – Strategy Legal Tax L’arbitrato come metodo privilegiato di risoluzione delle controversie commerciali internazionali: casi pratici e indicazioni operative Alessandro Fasolino Associato Deloitte STS Fiscalità cross border nei rapporti Italia - USA Lucio Fumagalli Presidente 4changing S.p.a. Nuove tecnologie e metodologie di marketing a sostegno del made in Italy Evento accreditato presso l’Ordine dei Dottori Commercialisti di Roma in corso di accreditamento presso l’Ordine degli Avvocati di Roma Per informazioni: cersig@unilink.it  
1006. Il futuro della sanità passa dalla blockchain  
19 Febbraio 2019 Indagini sanitarie verificate, formazione ECM certificata, tracciabilità della crioconservazione delle staminali e garanzia della supply chain farmaceutica: all’evento in Senato “Blockchain in Sanità: opportunità e prospettive” Consulcesi Tech presenta la rivoluzione digitale dell’Healthcare. Blockchain e Sanità, un binomio virtuoso destinato a innovare i Sistemi Sanitari Nazionali di tutto il mondo grazie alle caratteristiche chiave di questa tecnologia: decentralizzazione, trasparenza, sicurezza e immutabilità. Potenzialità al centro anche del dibattito politico-istituzionale, attraverso l’evento in Senato “Blockchain in Sanità: opportunità e prospettive”. Occasione nella quale Consulcesi Tech, divisione tecnologica del Gruppo Consulcesi, realtà leader in Europa dedicata ai professionisti del settore medico-sanitario, illustra la sua innovativa visione del settore, presentando progetti basati proprio sulla cosiddetta “catena dei blocchi”. «L’Italia deve essere capofila di questa rivoluzione tecnologica – sottolinea Massimo Tortorella, Presidente di Consulcesi Tech - perché il nostro Sistema Sanitario Nazionale è costantemente sotto pressione anche a causa del progressivo invecchiamento della popolazione. Rispondere ai bisogni di salute dei cittadini richiede una conoscenza approfondita delle loro esigenze – sottolinea Massimo Tortorella –, ciò adesso è possibile attraverso indagini sanitarie verificate, i cui dati sono a prova di fake news grazie alla Blockchain: una vera e propria catena della fiducia». Survey dedicate alla salute, indagini sull’adeguatezza delle prestazioni sanitarie e questionari in materia di polizze assicurative sono solo alcuni dei punti nevralgici che, grazie alla Blockchain, possono essere affrontati ottenendo risposte verificate e quindi utili a migliorare concretamente i servizi offerti ai cittadini. Sarà proprio la “catena dei blocchi” a stabilire un nuovo standard per la gestione dei dati sanitari, a partire dalle cartelle cliniche: con questa tecnologia, entreranno a far parte di un database condivisibile e immutabile consultabile dal personale medico, nel pieno rispetto della privacy dei pazienti e scongiurando i rischi informatici. «La Sanità si conferma campo privilegiato per l’applicazione della Blockchain – spiega Andrea Tortorella, vice-presidente dell’Osservatorio Blockchain Link Campus University e CEO di Consulcesi Tech – e lo dimostrano le iniziative che stiamo portando avanti. Dalla formazione ECM certificata, progetto sviluppato in Albania per la sua vocazione all’innovazione digitale, alla tracciabilità della crioconservazione delle staminali, fino alla partnership con IQVIA per una piena trasparenza della supply chain farmaceutica e la garanzia dell’inalterabilità dei trial clinici».  MBA in Blockchain  
1007. La Third Offset Strategy statunitense e l’Europa: una sfida sistemica per la NATO?  
08 Marzo 2019 di Andrea Barlassina da Geopolitica.info Tuttavia all’interno del Pentagono, già a metà anni ‘90, cominciarono a prospettarsi dei possibili scenari internazionali in cui paesi emergenti come la Cina avrebbero potuto assumere il ruolo di futuri competitor degli USA. La guerra al terrore successiva all’11 settembre ha però comportato l’impiego di ingenti risorse economiche e la ridefinizione dei target prioritari delle amministrazioni e delle forze armate americane. Tutto ciò ha fatto sì che, mentre gli USA erano impegnati in operazioni di stabilizzazione in Medio Oriente, paesi come Cina e Russia abbiano investito in enormi programmi di modernizzazione, tanto da mettere in discussione il vantaggio tecnologico-militare statunitense. In questa traiettoria si inserisce la Third Offset Strategy (3 OS) del Pentagono, ovvero un insieme di politiche miranti a produrre nuovi concetti operativi e innovazioni tecnologiche per garantire la superiorità statunitense rispetto ai propri avversari; a tutto ciò deve aggiungersi la necessità di Washington di mantenere la proiezione convenzionale globale del potere. Lo sviluppo di una 3 OS muove principalmente dall’intenzione statunitense di rivolgere la propria attenzione nell’Asia-Pacifico e dalle sfide tecnologiche e operative che questa regione pone in essere. Gli USA e la sfida cinese Uno dei principali motivi di preoccupazione è stato, infatti, lo sviluppo di capacità cinesi Anti-Access/Area-Denial (A2/AD). Il concetto di Anti-Access/Area-denial fa riferimento all’idea di utilizzare una serie di strati difensivi di vario genere per proteggere la dimensione terrestre, aerea e marittima, così da precludere l’avanzamento delle truppe nemiche. Vengono, infatti, messe a rischio le basi regionali statunitensi nel Western Pacific Theatre of Operations, soprattutto lungo la “prima catena di isole”, cioè lo spazio geografico che separa la Cina dalle isole Kurili attraverso le Filippine settentrionali fino al Borneo. Tuttavia, la portata della minaccia di Pechino si estende anche nello spazio esterno. Il test molto pubblicizzato del 2007, nel quale è stato abbattuto un satellite meteorologico a 865 km di altitudine, ha dimostrato la capacità della Cina di distruggere satelliti in bassa orbita terrestre. Risulta lampante che le capacità A2/AD della Cina potrebbero minacciare non solo gli alleati regionali e le basi vicine degli Stati Uniti, ma anche intaccare alcune delle fondamenta più profonde della proiezione di potenza globale degli Stati Uniti. A questo punto è importante chiedersi quali dei concetti operativi e quali tecnologie al centro della 3 OS potranno essere utili nel contesto delle sfide che i partner europei della NATO devono affrontare nel loro orizzonte strategico. Il contesto europeo Le precedenti ondate di innovazione militare statunitense sono state caratterizzate da un’intensa attività per convogliare tecnologie all’avanguardia nelle forze armate dei principali alleati europei dell’America. Ciò è stato facilitato dal fatto che statunitensi ed europei avevano una percezione simile sull’importanza della minaccia sovietica e sulla necessità di utilizzare il potere militare per farvi fronte. In altre parole, le basi politiche, strategiche e tecnologiche della coesione transatlantica sono andate di pari passo sotto l’egida americana. Ne consegue che il relativo disinteresse dell’Europa negli sviluppi della regione Asia-Pacifico possa rappresentare una sfida sistemica per la coesione della NATO. L’idea di operare in contesti strategici accessibili continua a permeare l’atteggiamento europeo nei confronti delle proprie politiche di difesa. Tuttavia, lo sviluppo di capacità A2/AD da parte di diversi attori sembra sfidare proprio questa ipotesi, sia nel contesto della difesa e della deterrenza sul flank orientale della NATO, sia in quello mediorientale. Ad est gli stati membri della NATO che confinano con la Russia sono senza dubbio quelli maggiormente minacciati dalla crescita militare di Mosca. Il sistema integrato di difesa aerea di Mosca e i missili terrestri a corto raggio coprono gli Stati baltici e quasi tutto il territorio polacco, inoltre la presunta presenza di missili russi S400 a Kaliningrad e la militarizzazione russa di Sebastopoli stanno portando alla formazione di “bolle” A2/AD in porzioni crescenti di territorio che vanno dall’Europa fino al Levante. Anche i progressi dei paesi mediorientali nel campo A2/AD sono particolarmente preoccupanti per gli Stati Uniti e per i loro alleati europei, che non solo hanno interessi energetici ed economici nella zona, ma anche l’ambizione di operarvi. Persino attori non statali o parastatali si stanno avvicinando all’armamento di precisione. Inoltre, il possesso di capacità A2/AD potrebbe incoraggiare alcuni paesi e attori in Africa e Medio Oriente a impegnarsi in futuro in forme di guerra asimmetrica. In definitiva, l’aumento di bolle A2/AD nel vicinato meridionale dell’Europa sfida il presupposto che gli europei possano accedere in sicurezza alla maggior parte dei teatri operativi in Africa e in Medio Oriente. Una discussione transatlantica sulle implicazioni della Terza Offset Strategy richiederebbe una comprensione comune dell’ambiente della sicurezza e sul modo in cui l’innovazione tecnologica possa contribuire a risolvere le sfide a lungo termine. Lo stato del dibattito strategico negli Stati Uniti, su cui è stata costruita la logica della 3 OS, è però molto diverso da quello europeo. Le potenze europee dovrebbero elaborare una visione strategica unitaria sulle questioni industriali e tecnologiche a lungo termine, se vogliono essere parte di un ripensamento della sicurezza. I partner transatlantici devono affrontare una moltitudine di sfide in materia di sicurezza e il divario di percezione e di orizzonte strategico con gli USA si è notevolmente ampliato negli ultimi anni. Il conflitto ucraino, la crisi dei rifugiati e la diffusione del terrorismo islamico hanno messo in secondo piano tutte le altre questioni. La leadership politica europea è sottoposta ad un’immensa pressione per trovare risposte adeguate a queste sfide, ne consegue che l’investimento per perseguire obiettivi a lungo termine è stato più limitato. La Terza Offset Strategy, che deriva principalmente da una riflessione strategica sull’ascesa della potenza militare cinese, semplicemente non corrisponde alla percezione europea della minaccia. Per le potenze europee, il ruolo della Cina nel sistema internazionale è affrontato essenzialmente da una prospettiva economica, e gli interessi commerciali finiscono per oscurare la maggior parte delle considerazioni strategiche. Inoltre, il contesto di bilancio, proprio di una grande potenza, che consente agli Stati Uniti di lanciare la Terza Offset Strategy è semplicemente irrealistico per la maggior parte delle potenze europee. Verso un trend comune Tuttavia, esistono dei punti d’incontro fra il trend europeo e quello statunitense. Ad esempio, le basi tecnologiche militari della sfida A2/AD per i paesi europei sono molto simili a quelle che gli Stati Uniti stanno affrontando altrove. E’ ormai conclamato l’interesse europeo rivolto all’acquisizione di tecnologia stealth in campo aereo, marittimo e terrestre. Vi è una tendenza generalizzata a passare da grandi e pesanti formazioni militari a formazioni più piccole, più leggere e più flessibili, privilegiando la qualità rispetto alla quantità. Vengono esplorate nuove modalità di trasporto delle truppe verso e all’interno dei campi di battaglia. Con l’adozione della filosofia NEC (Network Enabled Capability) i paesi europei della NATO hanno fatto proprio il concetto americano di “network centric warfare”, mirante a costruire delle FFAA digitalizzate e capaci di operare negli scenari internazionali più disparati. Nella misura in cui sia l’Europa orientale che il Medio Oriente sono geograficamente vicini all’Europa, gli europei daranno priorità alle capacità di attacco a breve e medio raggio, in contrasto con l’interesse di Washington sulle capacità di attacco a lungo raggio. Non è da escludere, che le riflessioni statunitensi possano condurre l’Europa a ripensare il proprio coinvolgimento nell’Asia-Pacifico, regione in cui gli europei mantengono numerosi interessi economici. Tuttavia in questa fase, l’iniziativa statunitense e le sue implicazioni concrete rimangono poco chiare per la maggior parte dei partner europei, e anche se fossero comprese, le questioni di bilancio, le priorità di sicurezza a breve termine e i vincoli politici limitano e continueranno a limitare la capacità dell’Europa di definire ambizioni strategiche a lungo termine.  
1008. Il declino della democrazia: analisi di Freedom in the World 2018  
18 Marzo 2019 di Andrea Pezzati da Geopolitica.info Freedom House è un’organizzazione non governativa con sede a Washington D.C. che si occupa di condurre ricerche e analisi sulla democrazia, sulla libertà politica e sui diritti umani. Il suo contributo più noto è la pubblicazione annuale di un report chiamato Freedom in the World, in cui viene valutato il livello di libertà, politica e civile, presente in ciascun paese del mondo. Ogni stato viene classificato come Free, Partly Free o Not Free in base al punteggio ottenuto (da 1, Most Free, a 7, Least Free). Il 2018 ha rappresentato una triste costante: per il tredicesimo anno consecutivo la libertà nel mondo ha subito un calo generale. Infatti, dal 2006 la percentuale di paesi Not Free è aumentata dal 14% al 26% mentre la percentuale dei paesi Free è diminuita dal 46% al 44%. I paesi Not Free hanno mantenuto le loro caratteristiche autoritarie: violenze e incarcerazioni di oppositori politici, censura della stampa, corruzione dilagante, libertà politiche e di espressione molto limitate, uso della forza per reprimere manifestazioni di dissenso, scarsa separazione dei poteri, per citarne alcune. Sono dieci gli stati che hanno il punteggio massimo di 7: Arabia Saudita, Corea del Nord, Eritrea, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Siria, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Turkmenistan. I paesi che hanno sperimentato un miglioramento sono Angola, Armenia, Ecuador, Etiopia e Malesia in quanto i loro governi sono stati capaci di attuare riforme economiche e sociali che hanno innalzato la qualità della vita della popolazione. Bisogna precisare che ciò non significa che hanno raggiunto necessariamente adeguati livelli di libertà. L’Angola, ad esempio, è passata da un punteggio di 6 nel 2018 a un punteggio di 5.5 nel 2019, rimanendo, quindi, classificata come Not Free. In generale, nel 2018, sono 68 i paesi che hanno subito un declino nel punteggio mentre sono 50 coloro che hanno visto crescere il proprio. Questa differenza può essere ritenuta ancora più allarmante se si considera che solamente il 39% della popolazione mondiale abita in uno stato Free, contro il 37% e il 24% che abitano rispettivamente in stati Not Free e Partly Free. Dunque, meno di una persona su due nel mondo gode delle piene libertà politiche e civili previste dalla democrazia. In ogni report, Freedom House analizza la situazione di alcuni paesi ritenuti meritevoli di attenzione. Gli Stati Uniti, roccaforte della democrazia, restano saldamente un paese Free con un punteggio di 1.5. Tuttavia, il report afferma che lo stato di diritto nel paese americano è in declino a causa delle politiche governative riguardanti l’immigrazione, giudicate rigide e confusionarie, e della diffusa discriminazione nei confronti dei rifugiati e dei migranti. Gli Stati Uniti si posizionano dietro 51 degli 87 paesi Free. L’Armenia ha avuto un’importante svolta democratica con l’elezione a Primo Ministro di Nikol Pashinyan in seguito alla Rivoluzione di Velluto, culminata con le dimissioni dell’ex Presidente della Repubblica e allora Primo Ministro Serž Sargsyan. Le passate dichiarazioni del neoeletto Presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, potrebbero far pensare a un possibile passo indietro nei diritti umani e nella democrazia. La Cambogia è sempre più autoritaria, in quanto il Presidente Hun Sen ha eliminato l’opposizione e censurato i media. Paul Biya, Presidente del Camerun dal 1982, ha nuovamente esteso il suo mandato (il settimo) attraverso elezioni giudicate truccate; inoltre, la popolazione anglofona subisce oppressioni e viene emarginata, con il rischio dello scoppio di una guerra civile. La Cina continua le persecuzioni e le detenzioni forzate presso “centri di rieducazione” nei confronti del popolo Uiguro. L’Etiopia vede finalmente la luce: il nuovo Primo Ministro Abiy Ahmed Ali ha concluso un trattato di pace fondamentale con l’Eritrea, portando a termine un conflitto iniziato nel 1998; inoltre, ha liberato migliaia di prigionieri politici, posto fine allo stato di emergenza, licenziato funzionari colpevoli di violazioni di diritti umani e promosso riforme economiche e sociali. L’Iraq ha eletto in maniera democratica il suo ottavo Presidente, Barham Ṣāliḥ. Il Presidente dello Sri Lanka Maithripala Sirisena ha unilateralmente licenziato il Primo Ministro Ranil Wickremesinghe e sciolto il Parlamento, aprendo una grave crisi politica. In Tanzania il governo ha posto agli arresti gli oppositori politici, soffocato le manifestazioni di protesta e consolidato il potere del partito al governo. Vi sono alcuni paesi che hanno visto mutare il loro status. L’Ungheria è passata da Free a Partly Free a causa dei continui attacchi alle istituzioni democratiche da parte del Primo Ministro Viktor Orbán e del suo partito, accusati di reprimere l’opposizione, i media, i gruppi religiosi, le associazioni, i richiedenti asilo e altri. Il Nicaragua è diventato un paese Not Free a causa della violenta repressione del governo nei confronti della popolazione scesa nelle piazze a manifestare il proprio dissenso; anche i gruppi religiosi e gli oppositori politici sono presi di mira, vengono arrestati o uccisi dai soldati dell’esercito governativo. A causa di dubbi sulla correttezza delle elezioni politiche e del tentativo da parte del governo e dei media alleati di emarginare i giornalistici critici, la Serbia passa da Free a Partly Free. Presidente dell’Uganda dal 1986, Yoweri Museveni ha limitato la libertà di espressione, mettendo sotto controllo le telecomunicazioni e ponendo una tassa sull’utilizzo dei social media; per questo il paese è divenuto Not Free. Infine, lo Zimbabwe ha migliorato il proprio punteggio progredendo da Not Free a Partly Free poiché il Presidente Emmerson Mnangagwa è stato eletto legittimamente. Ricapitolando, tra il 2006 e l’inizio del 2019, 116 paesi hanno subito un declino netto delle libertà e della democrazia, mentre solo 63 paesi hanno avuto un netto miglioramento. Secondo Freedom House, il deterioramento delle regole democratiche deriva da diversi fattori. I processi elettorali sono peggiorati più di qualsiasi altra misura di libertà. I limiti temporali dei mandati non sono stati rispettati da 34 leader politici negli ultimi 13 anni. La libertà di espressione è in costante declino da anni. La sicurezza degli espatri è in pericolo poiché quasi la metà dei paesi Not Free bersagliano i propri cittadini migrati in altri paesi. Rispetto al 2005 sono aumentate le pulizie etniche. In seguito alla crisi migratoria del 2015, alcuni paesi sono peggiorati a causa di politiche sull’immigrazione aventi scarsa attenzione verso i diritti dei migranti. Ciò che emerge dal report Freedom in the World 2019 è che la democrazia, dopo i successi ottenuti nel Ventesimo secolo e, in particolare, al termine della Guerra fredda quando i paesi dell’ex blocco sovietico si affacciarono a sistemi democratici, è in uno stato regressivo costante. Perdere di vista gli sviluppi e sottovalutare la condizione della democrazia nel mondo sarebbe un errore molto grave.  
1009. Il 20 giugno il seminario "A NEW GLOBAL APPROACH TO NEGOTIATION"  
12 GIUGNO 2018 Mercoledì 20 giugno ore 9.30 Università degli studi Link Campus University Antica Biblioteca Via del Casale di San Pio V, 44 Registrazione obbligatoria su Eventbrite La negoziazione professionale è oggi lo strumento più efficace per trasformare il conflitto in opportunità di crescita e sviluppo delle relazioni. L’esigenza di competenze negoziali è sempre più avvertita in ogni ambito professionale quale strumento per aumentare la produttività e ridurre i costi derivanti dai conflitti. La formazione negoziale è diventata una necessità, determinando diversi istituti accademici a offrire percorsi formativi multidisciplinari, sotto forma di master, corsi e laboratori. Gli illustri relatori, profondi conoscitori della materia e con una notevole esperienza sul campo, presenteranno la negoziazione sia negli aspetti dottrinari sia in quelli di pratica applicazione. La finalità del convegno è quella di far apprezzare l’effettivo valore funzionale della negoziazione, in termini di efficienza economica, valore sociale, politico e internazionale e come strumento di gestione delle emozioni e dello stress, in ogni situazione di crisi. ore 9.30 Registrazione partecipanti ore 10.00 INTRODUZIONE : Il ruolo dell’Università nella formazione di “esperti” della negoziazione Vincenzo Scotti - Presidente Link Campus University ore 10.15 I SESSIONE - Presiede e modera: Massimo Proto - Professore Ordinario di Diritto Privato, Link Campus University ore 10.30 Dialogare strategicamente:rendere la negoziazione un processo persuasivo Giorgio Nardone - Psicologo e psicoterapeuta, fondatore del centro di terapia strategica di Arezzo ore 11.00 Negoziazione e persuasione: come farsi dire di si Jack Cambria - Lieutenant – Commander Detective Squad, Commanding Officer – Hostage Negotiation Team (Retired) (U.S.A.) ore 11.30 Principi di qualità nelle adr/odr transnazionali Carlo Pilia - Professore Associato di Diritto Privato, Università di Cagliari. Presidente Associazione Mediatori Mediterranei Onlus ore 12.00 Il posizionamento negoziale nelle relazioni fra Stati Franco Frattini - Professore Straordinario di Storia delle Relazioni Internazionali, Link Campus University ore 12.30 Question time e conclusioni: Prof. Massimo Proto ore 13.30 - 14.45 Light lunch ore 14.45 II SESSIONE - Presiede e modera: Vittoria Poli - Direttore della formazione, International School of Negotiation ore 15.00 Promozione della giustizia alternativa nel Mediterraneo (ADR) Paolo Sannella - Ambasciatore, Presidente ISPRAMED, Istituto per la Promozione dell’Arbitrato e della Conciliazione nel Mediterraneo ore 15.30 The best crisis negotiation is crisis prevention Arik Strulovitz - Negoziatore internazionale. Direttore Scientifico International School of Negotiation. ore 16,00 La conciliazione in tema di lavoro Marina Calderone - Presidente del Consiglio dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ore 16.30 Negoziare nella Pubblica Amministrazione Simone Tani - Economista ore 17.00 La negoziazione nel processo di mediazione Marco Ceino - Segretario Generale del CPRC Centro per la Prevenzione e Risoluzione dei Conflitti. Ordine dei Commercialisti di Roma ore 17.30 Presentazione del libro “Il negoziato psicologico” Massimo Antonazzi - Avvocato. Docente International School of Negotiation. Autore de Il negoziato psicologico (Eurilink 2017) ore 18.00 Question time e conclusioni: Dott.ssa Vittoria Poli EVENTO GRATUITO CON ISCRIZIONE OBBLIGATORIA SU WWW.EVENTBRITE.IT ACCREDITATO AI FINI DELLA FORMAZIONE CONTINUA Consiglio dell'Ordine degli Avvocati- 7 crediti formativi Consiglio dell'Ordine dei Commercialisti - 7 Crediti Formativi Consiglio dell'Ordine dei Consulenti del lavoro - 1 credito formativo per ogni ora di presenza Scarica la locandina  
1010. Sette ragioni per cui la Nato può festeggiare oggi i suoi “primi” 70 anni  
04 Aprile 2019 Da Formiche.net L’esperienza della Nato sembra discostarsi rispetto al normale ciclo di vita delle alleanze. E, allora, quali sono le ragioni che spiegano tale longevità? L'intervento di Gabriele Natalizia, Sapienza Università di Roma, e Lorenzo Termine, Centro studi Geopolitica.info Dopo la fine della Guerra fredda in molti si chiesero se la Nato avrebbe resistito all’urto del tempo. La storia, infatti, insegnava che le alleanze si dissolvono non appena il nemico in funzione di cui nascono viene meno. Era accaduto per gli Alleati dopo il secondo conflitto mondiale quando Stati Uniti, Regno Unito e Unione Sovietica, una volta sconfitta la Germania nazista, erano tornati a guardarsi con sospetto. Scavando nel tempo, non fu differente la sorte della coalizione di Austria, Inghilterra, Russia e Prussia dopo la vittoria su Napoleone nel 1815. Si era assistito alla stessa dinamica anche tra i confini di uno stesso Stato: in Cina comunisti e nazionalisti erano riusciti a consolidare un fronte unito contro il comune nemico giapponese, ma dopo il 1945 l’alleanza non era sopravvissuta. L’esperienza della Nato sembra discostarsi rispetto al normale ciclo di vita delle alleanze. E, allora, quali sono le ragioni che spiegano tale longevità? 1. Perché il Patto Atlantico non stabiliva la nascita di un’alleanza contro l’Unione Sovietica, ma sanciva il principio della difesa collettiva contro un molto più generico “attacco esterno” nei confronti dei territori dell’Europa e dell’America settentrionale. Questa previsione confuta, peraltro, gli argomenti di quanti, dopo il collasso dell’Impero sovietico, hanno previsto – o auspicato – lo smantellamento della Nato (tra cui anche il presidente russo Vladimir Putin); 2. Perché la Nato è un’alleanza eccezionale rispetto al passato in virtù della sua elevata “istituzionalizzazione”. La sua natura di organizzazione, infatti, da un lato ha facilitato i rapporti tra gli alleati e favorito la coerenza degli obiettivi anche dopo la fine della Guerra fredda, dall’altro le ha fatto sviluppare un naturale istinto all’autoconservazione; 3. Perché la Nato è un’esperienza di successo e, come scrisse Edward Carr, nella politica internazionale “nulla ha più successo come il successo stesso”. L’Alleanza Atlantica non solo ha agito da principale bastione e deterrente nei confronti del Patto di Varsavia, risultando tra i protagonisti della vittoria della Guerra fredda. Dopo il 1989-1991, infatti, ha dimostrato una grande capacità di adattamento, riuscendo ad operare in teatri nuovi (nelle missioni out of area), contro soggetti diversi – Stati (es. Deliberate Force), organizzazioni terroristiche (es. International Security Assistance Force), reti criminali (es. Ocean Shield) – e svolgendo compiti differenziati (es. combat, addestramento e assistenza, ricostruzione post-conflitto, interdizione al volo, soccorso post-calamità). Infine, la Nato oltre ad allargarsi fino a ricomprendere gli attuali 29 membri è riuscita a cooperare con un numero crescente di attori – statali e non statali (si pensi alla relazione tra Nato e Unione Europea) – attraverso fitte reti di partnership e cooperazione; 4. Perché al momento sia gli Stati Uniti che i Paesi europei non vedono all’orizzonte alleati migliori o più affidabili. La Nato, infatti, ha dimostrato di costituire un’alleanza credibile non solo dal punto di vista delle capacità, ma anche per quanto riguarda la coesione. Dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, tutti gli alleati hanno risposto alla chiamata degli Stati Uniti in conformità all’art. 5 del Trattato sulla “difesa collettiva”. 5. Perché gli Stati Uniti sono in una fase di retrenchment. A seguito della crisi fiscale del 2008, Washington si confronta con quella che Paul Kennedy ha definito “sovraestensione imperiale”, la dinamica per cui una potenza estende i propri impegni economici e militari oltre le risorse a disposizione. In questo senso, la Casa Bianca si è impegnata a ridurre le spese e le responsabilità globali e si aspetta che gli stati membri dell’Alleanza condividano gli oneri (burden sharing) per il mantenimento della sicurezza comune. Per gli Stati Uniti, una posizione di primato è insostenibile in futuro senza il sostegno degli alleati e dei partner transatlantici; 6. Perché gli Stati europei non sono autonomi in termini di sicurezza. La politica di sicurezza e di difesa comune (Psdc) semmai sarà sufficientemente sviluppata per assolvere a tale funzione lo sarà nel lungo periodo. Inoltre, buona parte degli Stati europei sono disposti a riconoscere la leadership degli Stati Uniti a causa del gap abissale che distingue questi ultimi dagli alleati in termini capacità militari e di proiezione di potenza, tanto che Alessandro Colombo ha definito la Nato come una “alleanza ineguale”. Al contrario, più difficilmente gli Stati europei sarebbero disposti a riconoscere la guida di un’alleanza militare da parte di uno Stato che considerano un loro “pari”; 7. Perché l’Europa è tornata oggi a percepirsi vulnerabile. Negli anni Novanta, nonostante quello che accadeva nei Balcani, il Vecchio continente pensava di essere un luogo sicuro e arrivava a vagheggiare il superamento della guerra come un retaggio della politica internazionale westfaliana. Oggi quell’illusione è caduta e il re è (di nuovo) nudo. La nuova postura revisionista della Federazione Russa, l’instabilità del Medio Oriente e Nord Africa, la bomba demografica africana e gli attentati sferrati dai network islamisti in tutta Europa ne sono la prova più evidente. Se queste 7 ragioni dovessero continuare a pesare più delle criticità che pur gravano sull’Alleanza e sulle sfide che questa dovrà affrontare in futuro, la Nato potrebbe aver appena festeggiato solo i suoi “primi” 70 anni.  
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