2 APRILE 2020
(copia 1)
Ipotesi di politiche economiche nazionali ed europee di condivisione dei fattori rischio
di Gianfranco Leonetti e Umberto Triulzi
1.Introduzione
Partendo dalla situazione di emergenza in cui si trova l’Italia a seguito della diffusione di Covid-19, formuliamo alcune proposte di politiche economiche da attivare nel brevissimo, breve-medio e lungo periodo per contribuire a riprendere il sentiero (smarrito da tempo) della crescita. La strategia non prevede un prima e un dopo, ma un programma unico di interventi finalizzato al conseguimento di due obiettivi: il primo, l’avvio in tempi brevi di interventi volti a fornire la liquidità necessaria alle famiglie, alle imprese, ai lavoratori, ai professionisti autonomi, per affrontare la situazione di emergenza e il lockdown di molte attività economiche e di sevizi ai cittadini e alle imprese; il secondo, il reperimento delle risorse necessarie alla ripresa della crescita (finance for growth) e l’indicazione di un percorso che ci conduca a un vasto piano di investimenti di medio-lungo periodo.
L’orizzonte è di consentire alle imprese che operano nei settori delle infrastrutture materiali ed immateriali, della ricerca e sviluppo, dell’energia, dell’ambiente, della sanità, del manifatturiero e dei trasporti e dei servizi connessi alle nuove tecnologie di comunicazione, del turismo e dell’Housing sociale di disporre, terminata la fase dell’emergenza, di risorse finanziarie da destinare alla riqualificazione del capitale umano, al rafforzamento delle capacità produttive e allo sviluppo di nuovi modelli organizzativi, anche auspicando la partecipazione sociale dei lavoratori alle scelte delle imprese.
La premessa necessaria, per dare sostenibilità alla proposta di politiche economiche qui avanzate, è che la guerra sanitaria in atto per il dilagare dell’emergenza sia vinta in un arco di tempo di breve-brevissimo periodo (nell’ipotesi più ottimistica fatta dal governo entro il mese di luglio, in quella più pessimistica entro la fine dell’anno 2020). Qualora, infatti, la situazione sanitaria dovesse prolungarsi in tempi più lunghi o addirittura aggravarsi, e non solo nel contesto italiano ma a livello europeo e globale, il quadro macroeconomico e sociale di riferimento delle politiche pubbliche verrebbe a cambiare in modo radicale, ed in questo caso le politiche qui esposte dovrebbero essere riviste in direzioni ed intensità oggi difficilmente prevedibili.
Una seconda premessa è da collegare alla seguente considerazione. L’Italia e tutti gli Stati membri dell’UE sono oggi interessati da una crisi senza precedenti e con effetti di impatto sui sistemi economici che tenderanno ad aggravarsi con l’estensione delle misure di lockdown avviate a livello nazionale e che, evidentemente, non possono essere affrontate con interventi ordinari as usual. Occorre pensare a strategie di medio-lungo periodo e a riforme che siano condivise e che diano fiducia a tutti gli operatori economici e ai singoli cittadini. Non è, infatti, immaginabile proporre iniziative che possono riguardare solo pochi settori, sia su scala nazionale o europea, e non è solo la sanità che, alla luce di quanto sta accadendo nel nostro sistema ed in altri sistemi europei vicini al collasso, è da riformare e riprogrammare per fare fronte alle esigenze di prevenzione e difesa della salute pubblica. Anche i modelli economici e finanziari che hanno caratterizzato ed influito sulle dinamiche dei processi produttivi e di scambio a livello globale vanno profondamente riformati, partendo dalla rivalutazione e dal rafforzamento della presenza dello stato-imprenditore nella erogazione dei servizi da valorizzare perché di pubblico interesse (sanità, istruzione, infrastrutture e servizi strategici), e da modelli di business finanziario costruiti su una più ampia partecipazione del capitale pubblico e privato nell’approvvigionamento delle risorse finanziarie necessarie ad assicurare la realizzazione del piano industriale e di investimenti per la ripresa della crescita.
Ben più complessa la riflessione sull’Unione Europea, costruita come Europa dei diritti, del libero mercato e della circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali, con un percorso in itinere di Unione bancaria, di Unione dei capitali e di Unione energetica, ma distantissima dall’avviare politiche fiscali e di bilancio comuni volte a consentire interventi di emergenza nei confronti degli Stati maggiormente colpiti dalla crisi sanitaria ed economica. I terribili momenti che viviamo devono spingere l’Europa a fare molto di più della sospensione momentanea delle regole di bilancio dell’eurozona, compreso il fiscal compact, o della sospensione (se pure limitata) del regime di aiuti, ma indurre i Paesi membri dell’Unione Europea a immaginare un bilancio pre-federale, l’introduzione semplice ma rivoluzionaria di un intervento pubblico nelle economie europee.
Servirebbe una spinta verso un processo di unificazione politica europea, che porterebbe a valorizzare non solo l’Europa economica, ma l’Europa sociale e solidale, come luogo dei “Patres”, uniti nelle nostre specifiche e ineludibili diversità.
2. Il contesto italiano e il mood europeo: ipotesi di risk-spreading policies
Questa guerra, che vede in prima linea uomini e donne, medici ed infermieri, addetti alle pulizie e operatori delle utility, operai, semplici cittadini e professionisti si vincerà solo accorciando i tempi, e avendo a disposizione la liquidità necessaria. Il fermo di molte attività produttive e commerciali in atto nel nostro paese, a cui occorre aggiungere nei prossimi mesi la chiusura di molte imprese trade oriented che non potranno esportare o rifornirsi sui mercati internazionali in conseguenza di misure analoghe avviate dai nostri partner commerciali, impongono di attivare misure straordinarie per fornire la liquidità di cui hanno bisogno le famiglie, i lavoratori e le imprese per superare la fase dell’emergenza.
La natura della crisi economica e la recessione nella quale ci troviamo non hanno molti precedenti in letteratura. Le conseguenze indotte da uno shock dal lato della domanda (contrazione dei consumi) unitamente ad uno shock dal lato dell’offerta (contrazione della produzione), potrebbero scatenare una eventuale e non auspicabile instabilità finanziaria e innescare un deleveraging globale. Sicuramente i danni maggiori saranno avvertiti dai paesi che più dipendono, come il nostro, dagli scambi commerciali internazionali, dai paesi che non sapranno evitare i fallimenti delle proprie imprese, ancor più se di piccole dimensioni, o mantenere la base occupazionale proteggendo il reddito e il valore del lavoro autonomo dei commercianti e dei professionisti, e quindi non in grado di proteggere il loro sistema previdenziale. Gli effetti che la crisi avrà sull’inflazione sono sicuramente in una prima fase deflattivi, ma gli impatti successivi saranno da valutare con attenzione perché dipenderanno da chi, tra i paesi colpiti, saprà più rapidamente riavviare i motori della crescita. In assenza di collaborazione e di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri dell’UE è anche possibile immaginare il diffondersi di focolai inflattivi in Europa. La buona notizia, ci auguriamo, è quella di uscire prima di altri paesi dal lockdown e quindi iniziare a ripartire. Relativamente al fabbisogno di liquidità, per sopperire al crollo dei ricavi e delle entrate tributarie ed extra tributarie, per erogare misure di sostegno e per sopperire al fabbisogno ordinario dello Stato (spese correnti, spese per interessi sul debito, spese in conto capitale, rimborso prestiti), formuliamo una ipotesi oscillante tra i 70-80 miliardi di euro al mese. La presenza di un piano anti-spread Omt (Outright monetary transaction) per l'acquisto di titoli di Stato a sostegno dell'economia dell'Eurozona sterilizzerebbe lo spread italiano, non influenzando negativamente e ulteriormente il servizio del debito pubblico, e quindi i ratio patrimoniali degli istituti di credito.
Gli interessi a servizio del debito dell’Italia erano calcolati per l’esercizio 2020 in circa 80 miliardi di euro, con un avanzo primario previsto di oltre 66 miliardi di euro. Sia l’ammontare del debito che gli interessi connessi, saranno da ricalcolare e, sicuramente, non potrà essere considerato attendibile il dato dell’avanzo primario programmato. Immaginando che l’emergenza possa terminare in pochi mesi, come tutti noi ci auguriamo, si tratta di dovere reperire liquidità, per il periodo aprile-luglio (è l’ipotesi più ottimistica), tra i 280 e i 320 miliardi di euro, e una extra liquidità per l’uscita dalla crisi (interventi di garanzia al credito, sostegno al credito, tutela delle aziende strategiche, defiscalizzazioni per il rafforzamento del capitale delle imprese, interventi nelle filiere produttive più collegate agli scambi commerciali internazionali, interventi nei territori maggiormente penalizzati, misure e piano strategico di rilancio del paese, istituzione di soggetti pubblici di partecipazione) è quantificabile in almeno altri 100 miliardi di euro, da utilizzare nei mesi successivi. Una liquidità imponente da reperire a debito, o attraverso linee di credito, o emissione di debito sovrano, o accordi internazionali di supporto. Reperire liquidità nell’Eurozona ricorrendo al MES, senza modifiche delle regole previste, non avrebbe che delle condizionalità parziali e molto rigorose per l’Italia, oggi definite dall’art.12 del Trattato istitutivo. Reperirla attraverso l’emissione di Stability bond senza condizionalità è la strada auspicabile, perché non aprirebbe ad un percorso di mutualizzazione dei debiti, ma rafforzerebbe l’unificazione politica europea, oggi fortemente avversata da molti Stati europei, privi di una visione strategica ed ingabbiati in regole e trattati di difficile riscrittura. I valori messi in campo in quota parte per i 19 paesi
Membri dell’Eurozona potrebbero non essere sufficienti e, comunque, in assenza di modifiche alle regole di funzionamento dell’Unione Europea e dei Trattati istitutivi, l’Europa rischia di arrivare tardi o di non arrivare affatto rispetto alle nostre necessità e a quelle del sistema delle imprese.
Auspichiamo maggiore consapevolezza e responsabilità nelle Istituzioni europee per le difficoltà che stiamo vivendo, anche se il mood non ci pare essere quello auspicato nella convinzione che l’assenza di un progetto europeo di condivisione di risk sharing, minerà qualsiasi disegno futuro di Europa solidale, anche dal punto di vista delle politiche monetarie, mettendo a rischio la stabilità finanziaria dell’eurozona, mentre sarebbe opportuno da subito lavorare ad un piano congiunto europeo per l’emergenza e per programmare le necessità future.
Partendo quindi da ciò che ci unisce e non ci divide crediamo che l’Europa debba arrivare velocemente ad adottare modelli di risk-spreading policies, per attenuare l’impatto derivante da shock macroeconomici, anche ricorrendo a strumenti di debito. Un primo possibile strumento europeo di Risk sharing europeo può essere rappresentato dal Piano di investimenti per l’Europa Sostenibile (Sustainable Europe Investment Plan), proposto nell'ambito del “Green New Deal” e presentato a dicembre del 2019 dalla Presidente della Commissione Europea Ursula don Der Leyen.
Nel piano che prevede di mobilitare investimenti pubblici e privati per almeno 1000 Miliardi di euro confluiscono risorse finanziarie provenienti da fondi UE che coprirebbero circa la metà del bugdet, da co-finanziamenti nazionali, a cui si aggiungono 279 miliardi mobilitati da investEu, con il coinvolgimento della Banca europea degli investimenti e delle National Promotion Banks and Institutions, ovvero le CDP dei singoli stati membri dell’UE.
Negli obiettivi della neutralità climatica, a queste risorse si andrebbero ad aggiungere un co-finanziamento nazionale per altri 114 miliardi, oltre i ricavi del mercato europeo delle emissioni (circa 25 miliardi di euro).
Nella programmazione finanziaria europea 2021-2027, per sostenere la transizione delle economie dei paesi membri verso la neutralità climatica, è previsto inoltre un “Meccanismo per una transizione giusta”, che dovrebbe mobilitare altri 145 Miliardi di euro nel decennio.
Riteniamo che basterebbe prevedere di moltiplicare il piano di investimenti esistente per giungere ad un piano Europeo per la transizione energetica e per la realizzazione di un New Green Deal per un valore di oltre 5000 miliardi di euro in 10 anni e per modificare alcuni elementi costitutivi del piano fino ad ora immaginato per trasformarlo in una Risk-spreading policy. Occorre aumentare la partecipazione dell’Unione Europea dai previsti 250 miliardi di euro del budget EU fino a 1500 miliardi, da finanziare con l’emissione di Stability Bond emessi dal Fondo Europeo degli
Investimenti, sotto l’egida della Banca europea degli investimenti e con la garanzia delle Istituzioni europee, a cui unire la partecipazione degli intermediari finanziari e di credito europei. Ovviamente prevedendo l’inclusione di una regola verde per la quale gli investimenti degli Stati membri a favore della sostenibilità e per il contrasto ai cambiamenti climatici saranno esclusi dai calcoli del deficit di bilancio e i fondi strutturali vedano, per la prossima programmazione, elisa la partecipazione del cofinanziamento degli Stati e delle Regioni. Avere a disposizione di tutta l’area euro un piano di una tale portata in una visione condivisa per la transizione verde e lo sviluppo, indicherebbe una prospettiva futura di crescita e di creazione di valore per l’intera Unione Europea.
Un nuovo e vero New Green Deal i cui beneficiari non sarebbero solo gli attori dell’energia e le utility, ma i settori dei mezzi di trasporto, dell’edilizia, della chimica, dei metalli, dell’elettronica ed elettrotecnica, oltre all’informatica e innanzitutto gli enti locali. Inoltre, uno strumento di Risk sharing, tra gli strumenti finanziari già presenti nel panorama europeo, è sicuramente l’ELTIF, che necessiterebbe subito di una modificazione del regolamento istitutivo, per ampliare le attività di investimento ammissibili (anche in società con maggiore capitalizzazione) e con la previsione non eventuale, ma certa, della partecipazione della BEI negli strumenti di Long-Term Investment. A questi primi esempi da attivare devono seguire rapidamente altre Risk-spreading policies.
3. Una risposta di tutti a sostegno del nostro futuro
La strada indicata rafforzerà la credibilità dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri ma non impatta sulle necessità di liquidità, e pertanto va accompagnata da altre iniziative urgenti. Sovente quando la realtà si presenta nella sua durezza, si cercano delle scappatoie e la tentazione di trovare dei salvatori della patria rischia di prevalere e di indurre a errori irreparabili. La forza del nostro paese è di avere costruito relazioni euro atlantiche solide, di essere il luogo del dialogo nel Mediterraneo, aperto ad Est come la nostra storia millenaria ci racconta.
Ma quando si parla di debito, non si parla solo di rapporti e di relazioni, bensì di sovranità, e chi detiene il debito di uno Stato ne limita la sovranità. Qualsiasi tentativo di accordi unilaterali di sostegno al nostro debito sovrano sono da attenzionare, un monito chiaro per i policy maker, ricordandoci un antico adagio, che recita con chiarezza “il formaggio gratis, si trova solo nelle trappole per topi”.
Le operazioni di Emergency Liquidity Assistance svolte dalla Banca di Italia, per tramite del sistema europeo delle banche centrali, costituiscono uno strumento straordinario per finanziare le istituzioni bancarie in crisi di liquidità e per assicurare condizioni ordinate sul mercato. Ma i bisogni di liquidità necessari a supportare le impellenti politiche fiscali sono di dimensioni ingenti. Occorrono linee di liquidità ben superiori agli 11 miliardi di euro che la Commissione Europea non richiederà all’Italia per il mancato utilizzo delle risorse dei fondi strutturali assegnati nella programmazione 2014-2020, o eventuali sterizilizzazioni o estensione di utilizzo di altri fondi strutturali. Intanto, avanziamo la proposta di richiedere alla Commissione Europea il permesso di utilizzare per almeno 12 mesi le risorse del Fondo sociale europeo anche in politiche passive, e non attive, per fornire ulteriori strumenti di sostegno al reddito.
Il ricorso all’emissione di ulteriore debito, senza un paracadute europeo, deve essere attentamente valutato per evitare che il paese perda l’investment grade delle principali Agenzie di Rating e la fiducia dei mercati, con una attenta politica di Emergency Liquidity Assistance della Banca d’Italia e, a nostro parere, con la partecipazione dei risparmiatori italiani.
L’emissione di titoli del debito pubblico nell’ordine di 10-20 punti di Pil (178/356 miliardi di euro), come recentemente proposto anche da autorevoli economisti, è immaginabili solo in presenza due condizioni:
- un collocamento riservato e interamente sottoscritto dai risparmiatori e dalle famiglie italiane
- un piano di investimenti credibile per la ricostruzione, il rilancio e la semplificazione del paese.
Proponiamo l’emissione di un primo BTP “Crescita Italia” indicizzato all’inflazione europea riservato solo ai detentori del capitale paziente italiano, in particolare i fondi negoziali chiusi, i fondi negoziali aperti, i fondi preesistenti e le Fondazioni bancarie. I titoli di Stato forniranno agli investitori una protezione contro l’aumento del livello dei prezzi e cedole pagate semestralmente, avranno una durata temporale tra i 15 e i 30 anni, per non confliggere con i criteri prudenziali indicati dai Regulators e avranno per i primi dodici mesi la sterilizzazione delle cedole. Un piccolo sacrificio per contribuire al rilancio dell’economia italiana, a cui seguirà una seconda collocazione rivolta direttamente ai risparmiatori italiani, detentori di una massa di liquidità pari ad almeno 1400 miliardi di euro, e alle famiglie italiane la cui ricchezza finanziaria è oltre 8 volte il Pil nazionale. Il titolo di Stato non avrà capital gain per tutta la sua durata.
Grazie al meccanismo di indicizzazione utilizzato, alla scadenza verrebbe attivata una grande operazione di fixed-income nella quale si riconosce ai possessori il recupero della perdita del potere di acquisto realizzatasi nel corso della vita del titolo, ma contestualmente viene avviata una grande opera di sostegno al paese, con l’abbattimento per 12 mesi del servizio all’extra debito, chiamando gli attori previdenziali, assicurativi e i cittadini a finanziare un piano di fiducia e di coesione per la stabilità finanziaria del paese. Ma anche chiamando le parti sociali e le parti datoriali unite nello spirito della bilateralità a contribuire al rilancio del sistema economico nazionale. Accanto a questo intervento di liquidità, auspichiamo, come già proposto da alcune personalità politiche, che si attivi un luogo di supporto bipartisan alle scelte strategiche ed economiche del Governo, per realizzare una proposta per il lavoro e un piano credibile di rilancio della nostra economia. La complessità delle scelte da effettuare nel nostro paese richiede di trovare un solido accordo di governance tra i partiti al governo e i partiti all’opposizione, sotto l’egida del Capo dello Stato, che rappresenta l’unità nazionale. Proponiamo l’istituzione di una Commissione strategica per il lavoro e per le imprese, come già avvenuto in passato per motivi differenti e in momenti diversi della storia repubblicana, presso la Presidenza della Repubblica Italiana.
Non si uscirà dalla recessione e dalla trappola della bassa crescita e, quindi del debito, se non attraverso la partecipazione e la collaborazione delle componenti più rappresentative dell’economia e della società italiana. Perché questa iniziativa abbia successo è importante che siano condivisi gli obiettivi che si intendono raggiungere e il ruolo che ogni istituzione partecipante potrà assumere. Lo Stato deve essere l’attore principale della proposta e deve intervenire con strumenti nuovi, dei quali si sarebbe già potuto dotare in precedenza. E se rassicura il Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), il nuovo programma di acquisto per l’emergenza pandemica varato dalla BCE che riforma la regola aurea dei limiti di acquisto per emittente, con la specificazione che gli oneri del sovraindebitamento ricadranno sui conti pubblici dei singoli stati Membri, dell’Italia in particolare, e solo in parte sull’Europa.
I decisori italiani si presentino ai partner europei e ai mercati con un credibile piano di rilancio e con un cambio di strategia nelle politiche di stabilizzazione del debito. Saranno allora ascoltati e avranno la forza per chiedere di cambiare le regole europee e per liberarci dalla trappola del debito. Il valore del lavoro e la tenacia degli italiani aspettano solo di essere indirizzati da una classe dirigente credibile per affrontare le sfide in campo energetico, per la promozione delle tecnologie abilitanti e dei cambiamenti climatici, per la tutela del patrimonio culturale e artistico, per il rilancio di un turismo unico al mondo, per lo sviluppo della sostenibilità ambientale e per l’eliminazione delle nuove povertà, per l’avvio di un piano di housing sociale e per la realizzazione di infrastrutture strategiche e innovative che ci ripongano al centro del Mediterraneo e dell’Europa. Non solo una richiesta per interventi di emergenza, ma una proposta accompagnata da un piano nazionale ed europeo per fare ripartire un paese fermo nella crescita da troppi anni e che intende onorare, come sempre ha fatto, i propri impegni.