12 Maggio 2022
Intervistati 5.000 studenti 16-19enni, rappresentativi dell’intero territorio nazionale
Roma, 12 maggio 2022 – Delusi da una classe politica ritenuta incompetente ed esibizionista, vedono nella democrazia diretta la soluzione all’attuale crisi di rappresentanza. Poco orgogliosi di un Paese in cui resistono pregiudizi e stereotipi, plaudono alla sola idea di una donna Presidente della Repubblica. Dopo due anni di DaD, si sentono molto meno preparati, ma soprattutto vivono un forte disagio psicosociale. Preferiscono il lavoro flessibile, che consenta l’autonoma gestione di tempo e guadagno. Temono hate speech e body shaming, così come il sempre più diffuso fenomeno delle baby gang. Aperti e inclusivi, non bocciano a priori il nucleare, ma ritengono che su questi temi non vi sia sufficiente informazione.
Questo il ritratto della “Generazione Proteo” tracciato dal 10° Rapporto di ricerca dell’Osservatorio permanente sui giovani della Link Campus University, che è stato presentato questa mattina nella sede dell’ateneo alla presenza, tra gli altri, di Barbara Floridia, sottosegretaria all’Istruzione, monsignor Andrea Lonardo, direttore Ufficio Pastorale Universitaria, Ilaria Cucchi e, in collegamento da Washington, Roberto Vittori, Astronauta ESA. La ricerca, realizzata in partnership con Grandi Scuole, ha visto intervistati circa 5.000 studenti italiani 16-19enni, rappresentativi dell’intero territorio nazionale.
«Quello che presentiamo oggi - spiega il rettore della Link Campus University, Carlo Alberto Giusti – è solo l’“ultimo miglio” di un progetto che vive una sua quotidianità lungo tutto il corso dell’anno. In questi dieci anni l’Osservatorio “Generazione Proteo” ha svolto un’importante funzione di ponte tra Scuola e Università, mettendo in relazione e comunicazione reciproca due universi spesso isolati nel percorso di crescita umana e culturale dei giovani, e dando così vita a un continuum conoscitivo e formativo di cui i giovani sono gli indiscussi protagonisti». «Il 10° Rapporto – dichiara il prof. Nicola Ferrigni, direttore dell’Osservatorio “Generazione Proteo” – ci consegna l’identikit di una generazione che rompe definitivamente gli indugi e, dinanzi a una società destrutturata, ormai sempre più povera di slanci, valori, relazioni e alla ricerca di un’identità, prende in mano le redini della situazione. Giovani che prendono le distanze da una società in cui non si riconoscono, desiderosi di riscrivere scuola, lavoro, stili di vita, politica. Senza dimenticare quell’attenzione verso l’altro di cui vogliono prendersi cura». «Questo slancio a prendersi cura di sé stessi e dell’altro – prosegue la prof.ssa Marica Spalletta, condirettore della ricerca – investe le molteplici e diverse dimensioni di una vita quotidiana oggi vittima di una vera e propria overdose digitale, cui i giovani reagiscono richiamando il bisogno di esperienze di vita reale, in cima alla cui lista svetta il bisogno di un ritorno a relazioni touch-to-touch».
LA RICERCA
“Effetto DaD”: è cresciuto il disagio psicologico. A due anni dallo scoppio della pandemia, i giovani italiani tracciano un bilancio della didattica a distanza: il 30,8% la ritiene responsabile di aver peggiorato la formazione, mentre il 32,1% ha evidenza che essa abbia creato molti disagi psico-sociali agli studenti. Di qui dunque la richiesta, formulata da 1 intervistato su 4 (26,3%), di investire i fondi del PNRR destinati alla scuola principalmente in attività di supporto psicologico agli studenti.
Insegnanti: promossi su competenze e preparazione. Bocciati su tecnologie. Chiamati a valutare i propri insegnanti, i giovani ne premiano la preparazione (48,6% buono; 31,1% ottimo) e le competenze didattiche (48,7% buono; 12,5% ottimo). Per contro, emergono giudizi più critici circa la padronanza delle tecnologie (24,2% insufficiente; 48,5% sufficiente) e la capacità di ascolto (24% insufficiente; 36,2% sufficiente). Nel complesso, il 36,5% ritiene che gli insegnanti più bravi lo siano per una propria vocazione personale, mentre il 23,4% li percepisce stressati. Per il 10,7% essi sono oppressi da troppa burocrazia.
1 giovane su 3 vuole studiare e lavorare insieme. «Paladini del learning by doing – dichiara il prof. Nicola Ferrigni – i giovani italiani rifiutano la tradizionale distinzione tra formazione e lavoro». Il 30,2%, infatti, svolge già un’attività (cameriere, allenatore, babysitter, ecc.) in concomitanza con lo studio, mentre è pari al 28% la percentuale di chi ha in programma di studiare e lavorare insieme durante l’università.
Il lavoro da “creare” (non da cercare) e la flessibilità contrattuale come “must”. Solo il 10% lavorerebbe nel pubblico. «Al lavoro i giovani si approcciano in modo diverso rispetto al passato», prosegue il sociologo Ferrigni: il 59,5% ritiene infatti che il lavoro vada creato, piuttosto che cercato (come sostiene invece il 30,5%). In questa prospettiva, non sorprende che il 34,5% guardi con favore al mondo della professione autonoma e il 33,6% alle piattaforme digitali, piuttosto che alle opportunità di impiego nel settore pubblico (che si attestano al 10,1%). A conferma di ciò, chiamati a valutare il proprio futuro lavorativo ideale, i giovani rifuggono dalla sicurezza del “posto fisso”: il 41,6% si dichiara a favore di un modello di lavoro che sia “continuamente rinnovato”, mentre il 19,6% ambisce a un lavoro “unico per tutta la vita”. Per le stesse ragioni, il 49,3% privilegia la prospettiva di un contratto di lavoro flessibile, a fronte di un 26,9% che preferirebbe invece un contratto di lavoro subordinato. Tra i vantaggi del lavoro flessibile, il 50,6% indica la possibilità di gestire in autonomia il rapporto tra tempo e guadagno, il 30,5% la possibilità di preservare la propria autonomia, l’11,8% l’assenza di vincoli.
L’interesse per la politica al suo “minimo storico”. «Il 10° Rapporto di ricerca – commenta la prof.ssa Spalletta – conferma il disinteresse dei giovani italiani nei confronti della politica e al contempo una drammatica crisi della fiducia». La curva ascendente del disinteresse, già registrata negli scorsi anni tocca infatti quest’anno il proprio picco, con il complessivo 63,6% dei giovani che si dichiarano “poco” (42,2%) o “per nulla” (21,4%) interessati alla politica, con un incremento complessivo di oltre 7 punti percentuali in tre anni. A questo disinteresse si abbina la sensazione di una politica dalla quale essi si sentono “poco” (23,3%) o “per nulla” (72,4%) ascoltati.
Politici italiani incompetenti ed esibizionisti. Opinione divise sul Governo Draghi. A finire sul banco degli imputati è in particolare la classe politica, che nell’opinione degli intervistati appare come incompetente (per il 28,6%), esibizionista (per il 25,2%), disonesta (per il 22%) e distante dai cittadini (per il 17,5%). La fiducia nei confronti di questa classe politica scende sensibilmente rispetto a un anno fa: il 67,5% dei giovani dichiara infatti che essa è peggiorata. I pareri tendono invece a dividersi per quanto concerne il giudizio sul Governo Draghi: i più critici rimarcano come sia stato solo un modo di spartirsi le poltrone (26,7%), cui si aggiunge il 17,1% per cui esso sancisce il fallimento dei partiti e il 13% per cui è stata tradita la fiducia degli elettori. Dall’altra parte, non mancano i giudizi positivi: il 27,3% ritiene che l’attuale Governo stia lavorando bene per il Paese, mentre il 9,1% considera questa esperienza come un modello replicabile nel futuro.
Il dissenso scende in piazza. Più spazio alla democrazia diretta. Netto cambio di rotta rispetto al passato quanto alle modalità attraverso cui esprimere il proprio dissenso: il 32,2% crede nelle manifestazioni di piazza, mentre scende al 22,3% la percentuale di chi continua a sostenere l’efficacia del dibattito in Rete. Per il 52,4% questa crisi della rappresentanza è altresì alla base del sempre più diffuso astensionismo. Pur non negando la propria propensione a recarsi alle urne (il 55,6%, in particolare, ritiene il voto un dovere civico), il 34,2% auspica tuttavia un più ampio ricorso a strumenti di democrazia diretta, quale il referendum.
Orgoglio italiano: a pesare sono pregiudizi e stereotipi. Alla sfiducia nei confronti della classe politica si accompagna un più generale sentimento di “distacco” nei confronti del Paese: a fronte di un 74,9% di intervistati che si dichiarano orgogliosi di essere italiani, solo il 35,9% ammette di essere orgoglioso dell’Italia. «A pesare sul giudizio degli intervistati – continua il prof. Ferrigni – è la difficoltà a riconoscersi all’interno di una società destrutturata, che si trova ancora a fare i conti con stereotipi e pregiudizi». I giovani reagiscono infatti con disappunto alla bocciatura del Ddl Zan, per il 33,5% ritenuta una mancata conquista di civiltà e per il 25,3% una vittoria dell’omofobia. E per lo stesso motivo il 21,2% si dichiara orgoglioso anche della sola idea di una donna alla Presidenza della Repubblica.
La violenza sulle donne e il difficile cammino della gender equality. Guardando nello specifico alle discriminazioni che investono l’universo femminile, il 30,1% chiama in causa maltrattamenti e violenza fisica. Per contro, la maggioranza ritiene invece che la condizione della donna nella società attuale risenta fortemente di stereotipi relativi all’inferiorità fisica o intellettiva (20,9%), delle differenze nei ruoli familiari o professionali (18%), di insulti di natura sessuale (16,5%) e delle disparità di trattamento economico (12,7%). «I giovani – commenta la prof.ssa Spalletta – hanno consapevolezza che la gender equality si costruisce nella quotidianità, pur senza dimenticare i gravi episodi di violenza di cui le donne continuano a essere vittime».
I “volti” della violenza e le insidie della Rete: svettano hate speech e body shaming, in calo il cyberbullismo. Tra i principali atti di violenza di cui gli intervistati temono di essere vittima, il 29,5% menziona l’hate speech e il 22,1% il body shaming, mentre bullismo e cyberbullismo si attestano al 17,2%. Tra le molteplici insidie che si celano nel mondo della Rete, a preoccupare maggiormente i giovani è la dimensione connessa alla propria sfera “identitaria”: il 30,5% teme in particolare l’eccessivo tracciamento dei dati personali, il 18,2% la clonazione delle proprie carte di pagamento, il 15,5% il furto d’identità, il 15,1% la violazione dei propri account social. In questo quadro dalle tinte fosche si inseriscono inoltre le valutazioni, perlopiù negative, associate al funzionamento degli algoritmi, che i giovani identificano principalmente con l’idea del controllo (29,6%) e della manipolazione (18,8%).
Baby gang: 1 su 3 teme di esserne vittima. «Guardando nello specifico agli atti di violenza a opera di coetanei – commenta il sociologo Ferrigni – a destare particolare preoccupazione è il fenomeno delle baby gang». Il 36,5% degli intervistati teme infatti di poter essere vittima di una baby gang, il cui “potere di attrazione” viene ricondotto al desiderio dei più giovani di “sentirsi parte del branco” (29,6%) e al fascino esercitato dal ruolo del cattivo (21,7%), oltre che a un vero e proprio “bisogno” di sfogare la rabbia repressa (18,1%). Il 22,3% degli intervistati dichiara inoltre di aver personalmente assistito a episodi di violenza a opera di baby gang, cui ha reagito ponendo in essere due modelli di comportamenti “opposti”: il 32,1% si è infatti allontanato per non rimanere immischiato, mentre il 31,9% è intervenuto cercando di risolvere la situazione e il 14,5% dichiara di aver chiamato le Forze dell’Ordine.
L’altruismo come stile di vita: oltre il 70% è impegnato (o vorrebbe impegnarsi) nel volontariato. I giovani italiani sono animati da un forte slancio altruistico: il 33,1% dichiara infatti di essere impegnato attualmente in attività di volontariato, mentre il 38,7% vorrebbe in futuro dedicarsi a questo tipo di attività. Questa generale apertura verso l’altro si riflette anche nel 92,3% di intervistati favorevoli alla donazione degli organi, e nel 58,8% che dice sì all’obbligo vaccinale.
Aperti e inclusivi: sì a unioni miste, stepchild adoption e scelte bioetiche. L’altruismo dei giovani italiani va di pari passo con una forte predisposizione all’inclusione. Il 91,3% si dichiara favorevole alle unioni miste, il 74,2% all’adozione di figli per coppie omosessuali. Questa larghezza di vedute investe anche le scelte bioetiche: l’85,7% dice sì alla fecondazione assistita, il 79,7% all’aborto, il 74% al suicidio assistito. Il 67,5% è infine favorevole alla legalizzazione delle droghe leggere.
Consumatori consapevoli. Sì al co-living come modello abitativo del futuro. Nelle scelte di acquisto, il 49% degli intervistati presta principalmente attenzione al rapporto qualità/prezzo, e solo in misura minore alle recensioni sui social (17,4%) e alla notorietà del marchio (10,8%). Questa consapevolezza emerge anche in relazione alla prospettiva del co-living quale modello abitativo del futuro, che il 36,8% considera funzionale per ridurre le spese, e il 31,1% utile per la costruzione di nuovi legami sociali. Oltre il 60% dei giovani si dichiara favorevole all’esperienza dell’“abitare condiviso”, sebbene nella maggior parte dei casi la stessa venga presa in considerazione solo come soluzione temporanea (27,5%), o a patto di poter avere a disposizione degli spazi propri (15,6%), a fronte del complessivo 18,9% che la considera come una scelta “senza riserve”.
“Green ambassador”: la tutela dell’ambiente come priorità. Gli intervistati si confermano una generazione sensibile alla sostenibilità ma anche molto pragmatica nelle proprie scelte. Oltre il 90% riconosce l’importanza dell’inserimento in Costituzione della tutela di animali e ambiente, che il 56,2% considera finanche prioritaria. Per il 33,4% degli intervistati la salvaguardia dell’ambiente passa principalmente attraverso la scelta di privilegiare fonti rinnovabili.
Divisi sul nucleare: manca un’adeguata un’informazione. Interrogati in merito al nucleare, il 24,2% ritiene che si tratti di un tema su cui non c’è adeguata informazione. E se il complessivo 19,1% ne riconosce i vantaggi – quali la minore dipendenza dal petrolio (12,7%) e la produzione di energia pulita (6,6%) –, la restante parte degli intervistati ne evidenzia, per contro, gli aspetti negativi: il 23,8% pone infatti l’accento sui potenziali “effetti collaterali” (attentati terroristici, rischi ambientali, ecc.), il 22,6% lo ritiene un pericolo per la salute.