Ateneo

L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Marco Emanuele

18 MARZO 2020

In virus veritas. Per una Europa-in-comune

di Marco Emanuele (18 marzo 2020)

Come di fronte a ogni virus che si rispetti, i confini fisici si sciolgono come neve al sole. Eppure la nostra idea di confine, di ciò che traccia una chiarissima separazione tra noi e gli altri, tra gli amici e i nemici, tra la civiltà e la barbarie, tra la purezza e l’impurità, è ancora lì a farla da padrona. Illusi che alzando i confini vinciamo la paura e guadagniamo in sicurezza, L’Europa rischia di essere solo una sommatoria di trincee.

Eppure abbiamo lottato tanto, creduto nell’Europa come possibilità transnazionale di ripensamento di democrazie rappresentative, e nazionali, in evidente crisi de-generativa. Ancora oggi, lo diciamo con amarezza, è con noi l’annoso problema di collettivi umani che non si sentono rappresentati, che faticano a sentirsi comunità. Perché, diciamolo chiaramente, nella politica che conosciamo abbiamo lasciato troppo poco spazio al sentimento, a quel “mistero istituente” che abbiamo sacrificato sull’altare di un realismo senza respiro storico.

Ed eccoci qua, società dedite alla esasperazione dell’immunitas verso un nemico molto spesso immaginato (i migranti) o invisibile ma molto reale (il virus). Ben considerando la pratica dell’immunizzarsi come un qualcosa che ci appartiene nel difenderci, scopriamo – attraverso il virus di turno – la nostra verità profonda. In virus veritas. Siamo impauriti, smarriti, incapaci di cogliere le possibilità in una incertezza che, volentieri, viviamo come insicurezza.

Un passo alla volta. È chiaro che, per uscire dal virus, occorre che i tutti Paesi europei si uniformino nell’adottare le misure che stiamo vivendo in Italia. Il virus, infatti, non ha preferenze di nazionalità: attacca indistintamente.

Ciò che non vorremmo, invece, è che il distanziamento sociale, necessario in questa fase, diventasse, nell’Europa del dopo-virus, una pratica di vita, che si cogliesse l’occasione per ribadire l’ “ognuno a casa propria”. Di fronte alle sfide planetarie, infatti, non vale più l’idea di “piccole Patrie” come zattere nell’oceano della storia.

L’appello libero che abbiamo sottoscritto, “Per l’esistenza dell’Europa”, chiama in causa ciascuno di noi. I decisori politici, i rappresentanti delle Istituzioni, i diplomatici, gli economisti, gli scienziati,  gli imprenditori, i comunicatori ma, soprattutto, noi intellettuali.  Se consideriamo il virus, fenomeno planetario, come un punto di svolta, ne viene che vi è la responsabilità di immaginare un “dopo” che è già nell’ “ora”.

Ogni voce si sente meglio se entra in dialogo con ogni altra e se, nell’elaborare contenuti e visioni, esce dall’autoreferenzialità e con-divide il “comune”. Per questa ragione, immergendoci nel dopo, val bene rivolgere un appello nell’appello. Si colga questa occasione per costituire una rete internazionale, informale e libera, di intellettuali per l’Europa-in-comune; va dato un segnale chiaro e forte da parte degli intellettuali che intendano, con gli uomini di buona volontà, assumersi il carico di costruire il futuro-nel-presente, aderendo all’idea mirabilmente espressa da Panikkar di “tempiternità”: è la nostra grande storia a essere messa in gioco come potenzialità che vorremmo diventasse possibilità.

Per fare questo è necessario aprirci a sguardi davvero e profondamente progettuali. Noi intellettuali possiamo lavorare insieme per far nuovamente respirare il realismo. Domandiamoci: di cosa ha bisogno l’Europa ?

Non basta più dire che la bellezza e la cultura salveranno il mondo, quasi che la loro sola esistenza costituisse una giustificazione alla inazione. La bellezza e la cultura devono uscire dai libri e dai musei per alimentare decisioni strategiche comuni in una Europa la cui realtà (solo) intergovernativa non è né sufficiente né inevitabile.

L’Europa ha bisogno, anzitutto, di ritrovare la sua anima. Chi scrive è allievo intellettuale di un Maestro che, da partigiano, ha combattuto per la libertà. Questo, insieme a molte altre cose che altri potranno sottolineare, basta per dire che chi firma questa riflessione intende rappresentare un tassello di un mosaico di responsabilità che va progressivamente allargato: la libertà non si costruisce chiudendosi in casa, al sicuro ma vive nell’oltre del livello di immunizzazione necessario. La libertà è un rischio e l’Europa deve correre il rischio di essere un soggetto strategico nella storia planetaria.

Il ruolo degli intellettuali e degli accademici può farsi storico in un’alleanza con i rappresentanti politici, delle istituzioni, dell’impresa e della scienza. Collocandoci noi sul piano di immaginare il principio di un’anima europea coesa perché con-divisa, vanno ripensati una serie di punti.

Come si può costruire un’Europa davvero comune dal punto di vista istituzionale ? Qui non è solo questione degli Stati (peraltro, l’idea stessa di Stato-nazione presenta evidenti limiti strutturali e forse è venuto il tempo di una sua problematizzazione) ma di immaginare anche nuove forme di rapporti tra il centro del potere europeo e i centri territoriali (le città, le regioni) in una logica complessa, non più solo top-down.

Le tecnologie dell’innovazione giocano un ruolo crescente, soprattutto in questa fase critica, per aiutare a trovare soluzioni sempre migliori per garantire il benessere dei cittadini. Se l’Europa deve avere un suo ruolo nella “guerra fredda” in atto a livello planetario per il controllo delle tecnologie dell’innovazione, attraverso queste ultime si possono migliorare possibilità di con-divisione critica del progetto europeo verso forme di cittadinanza più consapevoli e, come si diceva prima, per aiutare l’Europa a diventare progressivamente, dal punto di vista istituzionale, una “casa comune”.

A queste idee, naturalmente, vanno associati i grandi progetti strategici, e pluriennali, che il livello europeo richiede nei campi della politica estera e della diplomazia, della fiscalità, del mercato del lavoro, della difesa, dell’intelligence, delle infrastrutture.

Mai dimenticando, in conclusione, che l’Europa può reggere solo a condizione che la coesione e la resilienza dei singoli contesti nazionali siano inquadrate in più ampie resilienza e coesione transnazionali. Nell’essere realisti, con chi ci sta.

 

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