Ateneo

Quale futuro per l’Italia sullo scacchiere energetico?

1 MARZO 2018

Angelo Colombini, Segretario Confederale Cisl
Gabriele Natalizia, Link Campus University

I mercati energetici, soprattutto quelli del gas, registrano un grado di interdipendenza maggiore rispetto a quella di altri settori commerciali. L’Italia sperimenta direttamente questo dato, principalmente a causa di due ragioni.

La prima è la sua collocazione geopolitica, che la pone contemporaneamente nel cuore del Mediterraneo e in posizione centrale rispetto all’Unione Europea rendendola un hub naturale per lo smistamento e il rifornimento energetico dell’intero continente. La seconda ragione riguarda la sua dipendenza dagli approvvigionamenti esterni, in quanto figura tra i primi dieci importatori europei di energia (dati Eurostat marzo 2017).

L’elevato costo di costruzione e gestione dei gasdotti rende l’interdipendenza tra gli Stati ancor più stretta e articolata, divenendo una questione politica tra Stati fornitori, acquirenti e di transito. È proprio per questo che l’Italia e l’Europa guardano con estremo interesse ai processi politici presenti e futuri dei Paesi attraversati dalle pipeline, con l’obiettivo di contribuire al la stabilità politica dei loro territori e mantenere relazioni commerciali equilibrate. La Russia è tra i principali partner dell’Italia (tra gli altri Libia, Algeria, Qatar, Norvegia e Olanda) dalla quale, stando ai dati relativi al 2015, il nostro Paese ha importato il 45% del gas, il 16% dei prodotti petroliferi e il 21% dei combustibili solidi. Il gas russo, per raggiungere il territorio italiano, viene trasportato dai gasdotti di Soyuz, Yamal e Brotherhood che transitano tutti per l’Ucraina.

A seguito dell’annessione della Crimea nel 2014 e della guerra civile in Donbass, Mosca è stata sottoposta dall’UE a sanzioni economiche, prorogate semestralmente a causa della violazione degli accordi di Minsk. Le sanzioni imposte si possono dividere in due macro-categorie: le misure restrittive individuali (congelamento dei beni e restrizioni di viaggio di alcuni esponenti dell’élite politica ed economica russa); le restrizioni degli scambi commerciali in settori economici specifici nei confronti della Federazione Russa, della Crimea e della città di Sebastopoli. Questi provvedimenti sono stati recentemente rinnovati fino al 31 luglio 2018. In risposta alle sanzioni la Russia ha vietato le importazioni di prodotti agro-alimentari da Europa, Canada, USA, Australia e Norvegia e ha imposto, esclusivamente per gli enti statali, un veto su importazioni tessili, abbigliamento, calzature e veicoli.

Gli effetti delle sanzioni sull’economia russa non hanno tardato a manifestarsi. Tra il 2013 e il 2016 l’interscambio commerciale si è dimezzato, passando da 338 miliardi di euro a 191 miliardi di euro e il PIL russo ha subito un’importante diminuzione scendendo da 1.853 miliardi di euro a 1.066 miliardi di euro. Contemporaneamente il rublo ha perso il 70% del suo valore per l’aumento dell’inflazione ed è cresciuto il numero di persone che vivono al di sotto del livello di sussistenza. Sebbene né gli Stati Europei né la Russia abbiano sostanzialmente incluso il settore energetico nelle sanzioni, è evidente che il transito del gas russo sul territorio ucraino rappresenta una criticità. Per alleggerire la propria dipendenza dai Paesi di transito, Mosca già da tempo ha studiato nuovi percorsi per le sue esportazioni di gas. Nel 2000 è stata avviata la costruzione del Nord Stream, che unisce la Russia alla Germania, ed è stata proposta quella del South Stream che, se fosse stato realizzato, l’avrebbe unita alla nostra Penisola.

L’Italia, dal canto suo, si è messa alla ricerca di fonti alternative di approvvigionamento per essere meno dipendente dalla Russia. Il più importante progetto in tal senso è quello del gasdotto il Trans-Adriatic Pipeline (TAP) che, allacciandosi al TANAP (Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline), consentirebbe un collegamento tra l’Azerbaigian e l’Italia. Tuttavia, sebbene i lavori di costruzione siano già in corso, permane una forte opposizione politica interna al progetto. Nel complesso e articolato orizzonte energetico, tuttavia, una scoperta recente potrebbe modificarne gli equilibri. Si tratta della scoperta compiuta dall’ENI nelle acque territoriali dell’Egitto del giacimento supergiant Zohr. Quest’ultimo ha un’estensione di 100 chilometri quadrati e un potenziale di risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas. La notizia non ha reso felici tutti i nostri partner. Desiderando attestarsi quale principale hub europeo, la Germania sostanzialmente vorrebbe scongiurare la possibilità di un riequilibrio del baricentro del mercato del gas verso sud-est. La Russia, dal canto suo, è preoccupata che la nuova scoperta possa sottrarle importanti quote di mercato, con una conseguente flessione dei prezzi energetici. La Turchia, similmente, non vuole essere bypassata dai nuovi progetti relativi alle rotte meridionali del gas, che le farebbero perdere royalty relative al transito.

In questo contesto, infatti, l’individuazione di altri importanti giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo mediorientale, come quelli avvenuti nelle acque di Cipro e Israele (Leviathan e Aphrodite), potrebbe contribuire al rafforzamento strategico dell’Italia. I nuovi contorni che sta assumendo la partita energetica, quindi, impongono a Roma una riflessione sulle proprie politiche energetiche, ambientali e industriali. Secondo quanto riportato dal MISE-DGSAIE nel documento La situazione energetica nazionale nel 2016: «la composizione percentuale delle fonti energetiche impiegate per la copertura della domanda nel 2016 è stata caratterizzata, rispetto al 2015, dalla lieve flessione del petrolio (dal 34,6% al 34,2%) dei combustibili solidi (dal 7,7% al 7%), dalla diminuzione del saldo netto dell’energia elettrica importata (dal 6% al 4,8%, dall’aumento di quella del gas (dal 32,6% al 34,3) seguito da un lieve aumento del consumo delle fonti rinnovabili che passa dal 19,2% al 19,6%». Nello stesso periodo, va segnalata anche una diminuzione della produzione nazionale di energia pari al 4,1%, mentre le importazioni nette sono rimaste stabili pur con una diversa distribuzione delle percentuali di materie importate. Più nel dettaglio quindi, si è assistito a una «diminuzione delle importazioni nette di energia elettrica (-20,2%), del carbone (-10,4%) e delle fonti rinnovabili (-9,8%), si registrano aumenti nelle importazioni nette di gas naturale (6,7%) e di petrolio (0,35%)». Inoltre «La quota delle importazioni nette rispetto al fabbisogno energetico nazionale, che indica il grado di dipendenza del Paese dall’estero, cresce lievemente e passa dal 75,3 % nel 2015 al 75,6 % nel 2016».

Va comunque evidenziato che il territorio italiano presenta difformità e contraddizioni nella distribuzione e nell’utilizzo dell’energia. Tra le regioni nelle quali queste contraddizioni risultano più evidenti figurano certamente la Puglia e la Sardegna. La prima, che ha la più alta percentuale di energia prodotta da rinnovabili, è anche la regione dove s’inquina di più a causa dell’utilizzo del carbone. In Sardegna, invece, ancora non esiste una rete del gas. Ad oggi nell’isola ci sono solo studi di fattibilità per la realizzazione della rete dorsale di trasporto del gas, che impegnano le Istituzioni e importanti operatori nazionali, mentre i maggiori centri urbani sono alimentate da “aria propanata”.

Osservando quanto accade nel resto del mondo, appare necessaria una graduale evoluzione energetica e tecnologica. Come ogni cambiamento, anche quello dell’indipendenza energetica deve essere introdotto in modo progressivo e non traumatico, riconvertendo il sistema esistente in maniera sostenibile sia sotto il profilo ambientale che umano. Poniamo un caso estremo come quello della Polonia: se rinunciasse improvvisamente all’utilizzo del carbone, sua fonte energetica prevalente, molti lavoratori perderebbero il posto di lavoro, con ripercussioni gravissime sull’economia di tutto il Paese. L’Italia, quindi, dovrebbe continuare nella progressiva riconversione degli stabilimenti di Porto Marghera e Gela, dove le raffinerie “oil” sono passate alla produzione del “bio oil”.

Per il prossimo futuro, qualsiasi decisione non potrà non tener conto dello stretto legame tra industria ed energia, né dimenticare che lo scopo primario di qualsiasi provvedimento e scelta politica è, anzitutto,  il benessere dei cittadini. A guidare ogni decisione, pertanto, dovrà essere la volontà di fare un “buon business”, che sia attento all’ambiente e si inserisca nel quadro della economia circolare. In tal senso, i governi che si succederanno alla guida dell’Italia dovranno tenere presente che una visione politica lungimirante non può prescindere dallo sviluppo e dalla crescita competitiva del sistema-Paese.