20 MARZO 2020
di Pierluigi Maria Dell’Osso
Europa o non Europa: questo è il problema, senza mezzi termini, in tempi di nefasto contagio virale dilagante.
L'Unione Europea, che è parte dell'Europa geografica, si trova di fronte a una di quelle prove storiche che temprano e rafforzano oppure uccidono. Nella seconda metà del secolo scorso, con il "patrocinio" dell'immane tragedia della guerra, dalla lungimiranza e e dall'alto intelletto di pochi, fra i quali illustri italiani, prese forma l'idea di inediti legami supernazionali: e ciò, in quella stessa area che era stata teatro di scontro titanico fra stati nazionali e di spargimento di sangue, quale mai s'era visto in passato in sì ristretto lasso temporale.
Per secoli, del resto, la storia europea era stata scandita da odi inesausti, da contrapposizioni insuperate, da guerre feroci. E, dunque, la scommessa dei progenitori dell'Unione Europea poteva apparire più un temerario volo intellettuale che una concreta prospettiva.
La storia millenaria le si ergeva contro, le negava, quasi ontologicamante, vie, perfino speranze, di sviluppo. Eppure, l'idea di imporre alla storia una svolta più che epocale sopravvisse, raccolse crescenti consensi, riuscì a progredire, passo dopo passo, un traguardo dopo l'altro, superando ostacoli formidabili e scetticismi d'ogni ordine e grado. In un pugno di decenni, si trasformò da rete di legami commerciali, inizialmente settoriali, in mercato comune; poi, con un mirabile salto in avanti, in Comunità europea, in Unione europea.
Innumerevoli sono stati i momenti di criticità, di ripensamento, di aperta ostilità, di egoismi nazionali paratisi sul difficile tragitto dell'Unione, ma il processo è andato avanti, la volontà di unione è stata superiore a quella di separazione.
Le lamentazioni sui ritardi, sulle contraddizioni, sulle discrasie di vedute si sono levate ad ogni piè sospinto, dimenticando il punto di partenza: l'atroce scenario di macerie prodotto dalla seconda guerra mondiale.
Non si può certo dare un'idea riduttiva del sofferto percorso, del divenire spesso impervio, della dialettica, non di rado caratterizzata da asperrime polemiche.
M'è occorso, quale componente, per molti anni, della Rete Giudiziaria Europea, di vivere i tempi delle interminabili discussioni su temi che urticavano la gelosa difesa delle sovranità nazionali. Non è stato facile giungere all'adozione del mandato di arresto europeo, delle squadre investigative comuni, di Eurojust e della stessa iniziale Rete Giudiziaria Europea.
Pure, ci siamo arrivati e, paradossalmente, non pochi dei paesi apertamente scettici, quando non ostili, hanno poi utilizzato gli strumenti comuni, provvidamente e con grandi risultati. Senza alcuna supponenza, si può osservare come l'Italia sia stata in primo piano, in virtù della esperienza di cui era portatrice: contro la criminalità di stampo mafioso, il terrorismo brigatista, i gravi delitti economico-finanziari.
L'assistenza giudiziaria endoeuropea è uno strumento, via via affinato, che va dimostrandosi sempre più imprescindibile, giacchè la grande criminalità organizzata ed i più complessi contenziosi civili non conoscono certo confini e frontiere. Ebbene, men che meno, li conoscono batteri, virus, epidemie.
Ed ancora una volta l'Italia si trova in prima linea, nella battaglia che coinvolge l'Europa ed il mondo intero, i quali guardano alla nostra dolorosa esperienza, sempre più spesso mutuandone linee di condotta e strategie.
E proprio questo è il punto. La guerra con l'inedito virus ingravescente non può essere vinta in solitario: tutte le evidenze conclamano l'esigenza di univocità di risposte e di solidarietà transnazionale. Ecco la tremenda congiuntura storica che ci si para innanzi, ben di là dei confini nazionali.
È in ciò stesso il senso delle parole che sono al principio di queste considerazioni. L'Unione Europea, che è tuttora in cammino, avendo davanti a sè un lungo percorso, non può, ora, indugiare né tollerare incertezze e divisioni. L'Europa, sorretta dall'unità d'intenti dei suoi paesi membri e dai relativi apporti convergenti, deve inderogabilmente mostrarsi all'altezza della saevitia temporum e dell'alto ubi consistam perseguito dai fondatori: deve essere centro fondamentale di resistenza e di riuscita, valore aggiunto straordinario allo sforzo dei singoli stati.
La pandemia, come tutto ciò che natura origina, ha avuto un inizio ed avrà una fine. Purtroppo, resteranno sul campo tante vittime incolpevoli. Il gravissimo rischio è che possa registrarsi fra tali vittime anche l'idea dell'Europa unita, la quale non ha scelta: o si dimostra strumento di forza e di forte capacità aggregatrice oppure perisce, lasciando la traccia di un nobilissimo ideale, che, dopo un difficile, ma tenace, percorso di crescita, si sarà, alfine, rivelato, per l'insipienza colpevole degli umani, un'utopia. E chi scrive confida fermamente che ciò non accada.
(19 marzo 2020)