30 MARZO 2020
Cambiare tutto perché tutto cambi
di Evaristo Macci
In questo appello promosso dalla Link Campus University in cui fior d’intellettuali, professori e studenti, fanno delle proposte, muovono delle critiche, ragionano su l’Europa post-pandemica, ci dobbiamo chiedere se l’Unione Europea che abbiamo davanti è la concretizzazione di un sogno o se è una totale disillusione.
L’auspicio condiviso dalle varie riflessioni è che si possa arrivare, tenendo conto degli errori commessi sia nel passato ma soprattutto in questo straordinario momento storico, a una rifondazione dell’Unione affrancata dai mali che ora l’affliggono.
C’è un vizio di fondo che però rischia di vanificare le ore di riflessione e rendere inutili i fiumi di inchiostro che si stanno scrivendo su questo tema: gli attori ai quali vogliamo affidare questo faticoso compito di ricostruzione sono gli stessi consumati attori che oggi si rifiutano di recitare un testo condiviso da tutti e in una sola lingua comune; sono gli stessi che dopo cinque secoli stanno riproponendo una geografia dell’Europa divisa tra mondo cattolico e mondo protestante (a parte la cattolicissima ma poco misericordiosa Polonia); sono attori che hanno smesso di recitare e stanno mostrando il loro freddo volto.
In questo preciso istante si sta combattendo una guerra mondiale non convenzionale, senza cannoni, ma con migliaia di caduti, il cui teatro si sposta rapidamente. Ma solo perché l’odore della morte non ha raggiunto, o forse non raggiungerà, chi lo sa, le latitudini del Nord Europa, i loro burocrati girano le spalle a chi ora ha bisogno e vogliono condannare quelle nazioni che sono state più sfortunate ad un periodo di depressione economica di cui nessuno conosce le dimensioni perché nessuno conosce l’immediato futuro di questa pandemia. Come faremo a sederci in futuro allo stesso tavolo? E se un domani una di queste nazioni dovesse avere bisogno di aiuto che dovremmo fare allora, girarci anche noi dall’altra parte?
Non sarà forse giunto il momento di arrendersi? Non sarà questo il momento di chiudere questo capitolo storico, non per darla vinta ai sovrano-disfattisti di casa nostra o a quelle potenze che alla disgregazione dell’Europa ci stanno lavorando da tempo, ma solo perché è tempo ormai per una Neo-Europa?
Davanti a questa tragedia non è la figura mitologica orgogliosa e bella di Europa quella che abbiamo davanti, ma è il cadavere di essa, un corpo ancora integro, quasi vitale, ma ormai senza respiro, senza sentimento. E allora anche per noi europeisti convinti, che abbiamo sempre difeso questo sogno anche in situazioni francamente indifendibili, è giunto il momento di gettare la spugna e finire di distruggere quello che resta, ma avendo ben a mente il nuovo grande progetto. Compito invero assai semplificato dal fatto che tutti gli errori da non ripetere sono già scritti nella Storia.
E chi altri se non voi, intellettuali visionari, potete iniziare ad immaginare una nuova Unione, un’Unione di Stati empatici che condividano regole ferree valide per i vincoli economici ma anche per la gestione condivisa dei flussi migratori; capaci di occuparsi coralmente di ordine pubblico e antiterrorismo, ma anche capaci di immediato mutuo soccorso. Chi se non voi, esimi professori che state formando i nostri giovani cresciuti senza frontiere, e che in questo progetto dovrete anch’essi coinvolgere.
Sono gli europeisti convinti che dovranno assumersi l’onore e l’onere di farlo: dare a questa Europa il colpo di grazia e farla risorgere dalle proprie ceneri.
Cambiare tutto perché tutto cambi.