Gli studenti italiani: “Basta Dad. Penalizza i più svantaggiati”
L’Osservatorio “Generazione Proteo” della Link Campus University ha presentato oggi il 9° Rapporto di ricerca sui giovani italiani.
Il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi: “La Dad è stata un’alternativa all’assenza
03 Giugno 2021
Roma, 3 giugno 2021 – Fiduciosi nella scienza e favorevoli al vaccino anti-Covid di cui auspicano di poter beneficiare al più presto. Manifestano un sensibile calo della fiducia nei confronti dell’Unione Europea, della magistratura, dell’informazione e della politica, da cui non si sentono ascoltati. Non lamentano un peggioramento del rendimento scolastico a causa della Dad, ma provano nostalgia della “cara vecchia scuola”, convinti di essersi persi qualcosa di importante nel corso dell’ultimo anno, e ritengono che la Dad penalizzi determinate categorie di studenti. Costretti a rimodulare le proprie giornate, rimpiangono il tempo libero e riscoprono l’importanza della libertà. Reagiscono all’incertezza del presente rifugiandosi negli affetti e tra viaggi, stadi e concerti associano al calore di un abbraccio il ritorno alla normalità.
Questo il ritratto della “generazione post-Covid” tracciato dal 9° Rapporto di ricerca dell’Osservatorio “Generazione Proteo” della Link Campus University, realizzato quest’anno in partnership con Grandi Scuole, e che ha intervistato circa 2mila studenti italiani, e che restituisce come sempre alle Istituzioni e al dibattito pubblico aspettative e paure, ambizioni e contraddizioni dei giovani italiani. I risultati sono stati presentati oggi alla Link Campus University alla presenza del Ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi.
“Dalla ricerca – ha spiegato Carlo Alberto Giusti, Rettore della Link Campus University - emerge una generazione di ragazzi profondamente lucidi, che hanno imparato a gestirsi adeguatamente anche con la didattica a distanza, ma che non vedono l’ora di riappropriarsi di una piena socialità e di quello scambio costante di visioni e di idee che solo la partecipazione fisica può garantire”.
“La Dad - ha detto il Ministro Bianchi - non è stata un’alternativa alla presenza, ma una risposta all’assenza, a un abbandono che sarebbe stato ancora più drammatico per tutti coloro che già vivevano una situazione di difficoltà. Ci sono molti casi in cui partendo dalla Dad si sono sviluppati percorsi didattici fortemente innovativi. Gli studenti di oggi sono nati con un telefono e un computer. Compito della scuola oggi è anche insegnare loro la capacità critica per usare gli strumenti a disposizione”.
«Il 9° Rapporto – secondo il sociologo Nicola Ferrigni, direttore dell’Osservatorio “Generazione Proteo” – ci consegna l’identikit della “generazione post-Covid”, che abbiamo definito come quella dei “giovani leopardi”, termine che evoca tanto il poeta quanto il felino. Da una parte infatti c’è il pessimismo che contraddistingue il poeta, dall’altra lo slancio felpato del predatore alla ri-conquista del proprio territorio. Il poeta e il felino, quindi, che vivono una costante tensione tra il subire e il reagire in tutti i diversi ambiti e contesti che definiscono una quotidianità infettata dalla pandemia. Ma con uno sguardo rivolto al futuro, e al recupero di una normalità che, come l’abbraccio che la identifica, non appartiene alla sfera dell’avere o del fare, quanto piuttosto a quella dell’essere».
LA RICERCA
Didattica a distanza. A un anno dalla sua introduzione, la Dad continua a non convincere appieno i giovani italiani: solo 1 su tre (30,5%) giudica infatti positivamente questa esperienza, laddove il 24,8% esprime un giudizio negativo e il 44,5% risponde “non saprei”. Tra le motivazioni addotte dagli intervistati, spicca la convinzione che online sia molto più facile distrarsi (67,4%), seguita dalla percezione di non sentirsi sufficientemente coinvolti (18,9%). Di qui dunque una serie di “consigli” per migliorare la Dad, in cima alla cui vetta svetta la necessità di adattare i programmi e le modalità didattiche all’online (33,6%) e di facilitare l’interazione tra studenti e professori (23,9%), ma senza dimenticare l’importanza di garantire un migliore accesso agli incentivi economici per l’acquisto dei device (16,9%).
Infrastrutture, spazi e tecnologie. Un aspetto che, a detta degli studenti, ha infatti reso problematica la Dad risiede nella disponibilità di una connessione adeguata così come di device e spazi “personali” per seguire le lezioni. Da questo punto di vista, un intervistato su tre circa (33,1%) dichiara di non aver avuto, nel corso dell’ultimo anno, una connessione adeguata per la Dad. Il complessivo 30,1% dichiara invece di aver dovuto condividere i device per la Dad con fratelli/sorelle o con i genitori. Infine, 1 intervistato su 4 (25%) dichiara di non aver avuto a disposizione uno spazio tutto suo per poter svolgere la Dad.
Gli svantaggi della Dad. Nel complesso, gli intervistati non lamentano un peggioramento del proprio rendimento scolastico durante l’ultimo anno trascorso in Dad (sebbene vi sia un significativo 23,8% i cui risultati, al contrario sono peggiorati). Negli intervistati vi è tuttavia la convinzione che la Dad penalizzi determinate categorie di studenti, in cima alla cui lista svettano quelli provenienti da famiglie economicamente svantaggiate (43,4%) e quelli con disabilità mentali e fisiche (33,6%). Ma, più di tutto, a lasciare l’amaro in bocca è la convinzione di essersi persi qualcosa di importante (44,9%).
Scuola in presenza. Di qui dunque l’auspicio di poter tornare presto alla didattica tradizionale, che emerge in particolare dalle risposte di quel 43,4% di intervistati che, pur abituatisi alla Dad, preferirebbero comunque tornare in presenza. A mancare di più della didattica tradizionale è, in particolare, il rapporto diretto con i compagni di classe (45,1%) e con gli insegnanti (18,5%), prima ancora che la routine giornaliera strutturata (18,6%) o lo stare fisicamente a scuola (12,4%). Una scuola nei confronti della quale gli intervistati provano in maggioranza nostalgia (50,3%), ma senza trascurare il 22,7% che nutre invece indifferenza e il 18,1% che dichiara invece di provare paura.
Relazioni. La pandemia ha senza dubbio sconvolto l’universo relazionale dei giovani, che infatti individuano proprio nello stare insieme liberamente con i propri amici/familiari (32,4%) e in particolare con i nonni (5,8%) ciò cui essi rinunciato più a malincuore. Ma la pandemia è stata anche un’occasione per ripensare taluni rapporti, che in alcuni casi sono usciti rafforzati da quest’ultimo anno: è il caso in particolare dei rapporti con i genitori, che per il 38,3% sono migliorati, complice soprattutto la maggiore quantità di tempo passata insieme (53,7%). Genitori che in molti casi hanno vissuto quest’ultimo anno in smart working, e che a causa di ciò gli intervistati hanno percepito tanto più indaffarati e distratti (30%) quanto più presenti con la famiglia (28,9%).
Smart working. Lo smart working è un altro tema salito agli onori delle cronache nel corso dell’ultimo anno, ma che tende a non convincere i giovani italiani. 6 intervistati su 10 dichiarano infatti che sarebbero “per nulla” (25,9%) e “poco” (38,6%) contenti di lavorare in smart working, ma solo il complessivo 16,8% associa questa valutazione all’esperienza vissuta dai propri genitori.
Tempo libero. La pandemia ha contribuito a mettere anche in discussione il concetto di “tempo libero”: il 22,8% ritiene infatti che esso non esista più, mentre il 26% che dichiara di non saper rispondere a questa domanda. Più in generale, a essere cambiata è – a monte – la percezione stessa del tempo, tra giornate che non passano mai (15,5%) e giornate che scorrono via troppo velocemente (21,5%), in entrambi i casi con la consapevolezza di non aver fatto nulla di costruttivo (26,4%). Un tempo di cui in giovani dichiarano invece di aver riscoperto l’importanza, sia esso il tempo per se stessi (16,6%) o per la propria famiglia (15,1%), così come oggetto di riscoperta è stata la libertà (32,8%).
Consumi. E che dire delle tante App che, nell’ultimo anno, hanno popolato i nostri smartphone? Al di là di Amazon e Netflix, ormai parti integranti del nostro DNA (e dunque servizi che rispettivamente il 91,7% e il 90,4% continueranno ad utilizzare), diverse sono le sorti di altre App, quali per esempio i servizi di delivery (dove si registra un significativo 40,6% dei giovani che sostiene di non voler più usufruire di tali servizi a domicilio dopo la pandemia) o le App di sport/fitness (57%).
Sport. Nella rosa delle attività quotidiane che più sono mancate ai giovani nel corso dell’ultimo anno, lo sport svetta in cima alla lista. E se nel complesso 3 intervistati su 4 dichiarano di aver trovato delle alternative (il 34,3% organizzandosi in casa con il supporto di app/tutorial, il 27% rimodellando l’attività sportiva all’aria aperta), spicca il 27,7% che dichiara di non aver più praticato alcuno sport. A mancare dello sport, in particolare, è sì il benessere che esso faceva provare (38,4%), ma anche gli spazi e l’ambiente (31,9%) così come le persone (25,9%) con cui esso veniva praticato.
Vaccini. Si tratta tuttavia di rinunce che i giovani giustificano nell’ottica di recuperare quella sicurezza che il complessivo 44,6% dichiara di aver smarrito, e il cui recupero passa in primis attraverso la vaccinazione di tutta la popolazione (42,1%) e l’allentamento delle misure e un relativo ritorno alla normalità (30%). In tema di vaccinazioni, in particolare, gli intervistati non mostrano esitazione, dichiarandosi assolutamente favorevoli al vaccino anti-Covid (84,6%), di cui auspicano di poterne beneficiare essi stessi al più presto (79,4%), e questo principalmente per uno slancio altruistico verso la sfera dei propri affetti (per il 46,4% il vaccino rappresenta infatti una forma di tutela nei confronti dei propri genitori/nonni).
Fiducia nella scienza. L’adesione piena al vaccino come principale antidoto alla pandemia trova conferma anche nella fiducia che gli intervistati dichiarano di nutrire nei confronti della scienza (il 44,1% dichiara che la fiducia è aumentata), considerata quel qualcosa grazie al quale il mondo evolve (56,4%). Una fiducia che si estende anche ai dati scientifici (56,7%), ma non agli scienziati, di cui i giovani lamentano in particolare il loro essere troppo “presenzialisti” in tv (13,9%) e altrettanto troppo in combutta con la classe politica (20,2%).
Politica e Istituzioni. All’incremento della fiducia nei confronti della scienza fa infatti da contraltare un sensibile peggioramento della fiducia dei giovani nei confronti della magistratura (59,6%) e dell’Unione europea (47,1%), ma soprattutto della politica (74,6%). Una politica nei confronti della quale i giovani si dichiarano per nulla (21,5%) e poco interessanti (42,4%) – a fronte di un complessivo 33,6% di interessati, in sensibile calo rispetto al complessivo 42,1% di un anno fa – e questo anche perché vi è la convinzione di una politica per nulla (41,1%) o poco (47,2%) disposta ad ascoltare le giovani generazioni.
Infodemia. Consapevoli della straordinarietà del momento storico che stiamo vivendo – e conseguentemente dell’importanza di informarsi quotidianamente (28,9%) e di approfondire (30,2%) – i giovani ritengono tuttavia che vi sia stato un eccesso di informazione sulla pandemia (per il 32,5% se n’è parlato troppo e in maniera esagerata) nonché un inutile allarmismo (41,2%). Non positiva nel breve periodo, l’infodemia diventa un disincentivo all’informarsi in una prospettiva di lungo periodo, stante il complessivo 58,6% di intervistati che ammette di aver avuto più volte voglia, nel corso dell’ultimo anno, di smettere di seguire le notizie sulla pandemia.
Futuro. Questa generazione – che definisce se stessa soprattutto con aggettivi negativi quali insicura (87%), demotivata (76,4%), impreparata (64,8%), sospesa (63,2%), individualista (64,5%) e solitaria (53,7%) – guarda tuttavia con fiducia al futuro: rispetto al 2019, cresce infatti al 36,5% (rispetto al 29,7% registrato dal 7° Rapporto di ricerca) la percentuale di coloro che, avendone la possibilità, vorrebbero andare nel futuro. In particolare, a dare speranza ai giovani – prima ancora del progresso tecnologico (23,2%) o dell’aver dimostrato di saper affrontare i problemi (13,8%) – è soprattutto la famiglia (32%). Una famiglia che i giovani sperano presto di poter tornare ad abbracciare, individuando proprio nel contatto fisico, e nello specifico nell’abbracciarsi, l’immagine che meglio identifica cosa è per loro la “normalità” (47%).